Il presidente della Repubblica appena rieletto non potrà più contare sull’ampio sostegno dell’Assemblée National come durante lo scorso mandato. Ora guarda ai Repubblicani, che però si dichiarano all’opposizione
di Martina Castigliani
Persa la maggioranza assoluta all’Assemblée National, sconfitti nelle urne tre ministri appena incaricati e un’ondata senza precedenti di eletti di estrema destra. Senza contare la sinistra di Jean-Luc Mélenchon, primo gruppo d’opposizione. Lo schiaffo che Emmanuel Macron ha evitato alle scorse presidenziali, è arrivato con il voto per rinnovare il Parlamento. Non che i suoi avversari non gliel’avessero giurato, ma fino all’ultimo la maggioranza presidenziale aveva contato di riuscire a strappare, almeno al pelo, i 289 seggi necessari per non dover contare su altre forze politiche. Così non è stato e ora per l’appena rieletto presidente francese le cose si complicano e non poco. Stando alle ultime proiezioni, la coalizione presidenziale Ensemble si è infatti fermata a 234 seggi contro i 141 della sinistra. Subito dopo viene il Rassemblement National di Marine Le Pen che passa addirittura da 8 a 90 eletti (compresa la leader) e tocca un record mai raggiunto prima. Se non è una coabitazione, ovvero quando il Parlamento è in mano a un’altra maggioranza, poco ci manca. Perché d’ora in poi, ogni progetto di legge e ogni singolo atto dovranno per forza ottenere l’appoggio di deputati al di fuori dei macroniani. Elisabeth Borne, la premier che è riuscita a essere eletta, non ha nascosto la preoccupazione dell’Eliseo: “E’ una situazione inedita” che “rappresenta un rischio per il nostro Paese viste le sfide che dobbiamo affrontare, sia sul piano nazionale che internazionale”. Quindi ha lanciato un appello alle forze politiche “di buona volontà” a “unirsi” e a lavorare per “costruire una maggioranza d’azione” per il Paese, costruendo dei “compromessi”. I primi indiziati sono i Repubblicani (75 seggi), ma per il momento hanno garantito che resteranno all’opposizione gelando le prime trattative. Per le analisi complete bisognerà aspettare la conclusione degli spogli, ma per ora c’è una certezza: l’astensione si conferma altissima. Stando alle ultime stime si attesterà al 54%, quindi più alta di domenica scorsa (52 per cento). Nel 2017 votarono ancora meno persone (57%), ma in quel caso Macron aveva trionfato e gli oppositori non avevano interesse a presentarsi alle urne. Stavolta si poteva ribaltare il tavolo e comunque in tanti, tantissimi, hanno scelto di non andare.
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La sconfitta di Macron
Era solo il 24 aprile e Macron si presentava esultante per mano con la moglie Brigitte sotto la Torre Eiffel: aveva vinto per la seconda volta contro Marine Le Pen e prometteva di rispondere alla rabbia del Paese. Così non è stato e quel malumore degli elettori evocato e mai veramente preso in considerazione dal presidente della Repubblica, si è manifestato al momento di votare per il Parlamento. E ora, nel bel mezzo della crisi Ucraina-Russia, la botta per Macron è destinata ad avere grosse conseguenze. Per dare un’idea delle proporzioni, la République en Marche, il partito di Macron, solo cinque anni fa aveva preso da solo più di 300 parlamentari, mentre in questa tornata se ne deve accontentare di meno della metà. Senza contare che, nelle urne, sono stati sconfitti ben tre ministri appena scelti del capo dello Stato: la ministra della Transizione Ecologica Amélie de Montchalin, quella della Salute Brigitte Bourguignon e quello degli Affari marittimi Justine Bénin. Sconfitti anche altri due volti simbolici del macronismo: il presidente dell’Assemblea Nazionale, Richard Ferrand, e il capogruppo di En Marche in Parlamento, Christophe Castaner. Ora per prima cosa ci sarà un rimpasto: i ministri che hanno perso, l’aveva detto Macron settimane fa, non possono restare (almeno in teoria). Poi si dovrà aggiustare il programma e capire chi può sostenere i progetti di riforma del capo dello Stato. Per dirla con il ministro delle Finanze Bruno Le Marie: “La Francia non è ingovernabile, ma ci vorrà molta immaginazione per agire”.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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