Il New York Times rivela i momenti precedenti e successivi all’attacco. Per le forze armate si è trattato di un errore, poi nascosto
“Abbiamo appena bombardato su 50 donne e bambini…”. Questo era il tragico messaggio, circolato il 18 marzo 2019. nell’affollato Combined Air Operations Center dell’esercito degli Stati Uniti, presso la base aerea di Al Udeid in Qatar.
Era in una chat utilizzata dai piloti di droni che operavano vicina alla città siriana di Baghuz, ultima roccaforte dell’Isis in Siria.
I loro apparati video, avevano appena filmato un caccia americano F-15E che sfrecciando a tutta velocità, sganciava una bomba da 500 libbre su una folla inerme, inghiottendola in una tremenda esplosione. Mentre il fumo si diradava e alcune persone si allontanavano barcollando in cerca di riparo, un secondo caccia lanciava un’altra bomba da 2.000 libbre, e poi una terza, uccidendo la maggior parte dei sopravvissuti rimasti.
A rivelare questi particolari raccapriccianti è una recente inchiesta del New York Times, in cui emerge che quel fatidico giorno avrebbero perso la vita 80 persone, in maggioranza donne e bambini, vittime di uno dei peggiori crimini di guerra statunitensi degli ultimi anni, celato al pubblico fino a pochi giorni fa.
Nonostante la gravità dell’incidente, mai è stato riconosciuto pubblicamente dalle forze statunitensi: in sostanza “i militari hanno compiuto mosse atte a nascondere l’attacco”, si legge nelle pagine del Times.
Solamente questa settimana, a seguito della denuncia del quotidiano, il Comando centrale degli Stati Uniti, ha riconosciuto la veridicità degli attacchi per la prima volta, ammettendo che almeno 80 persone erano rimaste uccise, ma che gli attacchi aerei erano “giustificati”.
“La leadership sembrava così determinata a insabbiarlo. Nessuno voleva avere niente a che fare con questo”, ha affermato Gene Tate, ex ufficiale della Marina che aveva lavorato per anni come analista civile con la Defense Intelligence Agency e il National Counterterrorism Center.
Un altro testimone degli eventi, l’avvocato dell’Air Force, tenente colonnello Dean W. Korsak, aveva ripetutamente sollecitato la sua leadership e gli investigatori criminali dell’Air Force ad agire, senza mai ottenere risposta, allertando anche l’ispettore generale indipendente del Dipartimento della Difesa. Due anni dopo l’attacco, appurato che l’agenzia di vigilanza non stesse agendo, Korsak ha inviato un’e-mail al Comitato dei servizi armati del Senato, rilevando di avere materiale top secret a disposizione che lo poneva a “grande rischio di rappresaglia militare”.
“Ufficiali militari statunitensi di alto livello hanno intenzionalmente e sistematicamente aggirato il bombardamento deliberato”, ha riportato nell’e-mail, ottenuta dal Times.
L’inchiesta del quotidiano ha anche accertato che la sortita era stata richiesta da un’unità americana riservata per le operazioni speciali in Siria, la Task Force 9, già sospettata di aggirare deliberatamente tutte le misure atte a limitare le morti di innocenti, e di farlo in modo sistematico.
Le regole di ingaggio permettevano infatti alle truppe statunitensi e agli alleati locali di intervenire non soltanto quando affrontavano il fuoco nemico diretto, ma, secondo un ex ufficiale, anche contro chiunque avesse mostrato “intenti ostili”. Secondo questa definizione, qualcosa di banale come una macchina che guidava a chilometri dalle forze alleate avrebbe potuto rappresentare un obiettivo da abbattere.
Sembra di rievocare i giorni successivi alla pubblicazione del celebre video pubblicato da Wikileaks nel 2010, “Collateral Murder”; un materiale che ha condotto Julian Assange ad essere incarcerato e perseguitato da tutto il mondo occidentale, colpevole di aver mostrato che il 12 luglio 2007, un elicottero Apache AH-64 statunitense aveva aperto il fuoco contro un gruppo di civili iracheni a Baghdad. Tra le vittime ci furono il fotografo della Reuters Namir Noor-Eldeen e il suo autista Saeed Chmagh.
Oggi quegli stessi crimini emergono in Siria, e come allora le “vittime collaterali” di una presunta guerra contro il terrorismo internazionale/stato islamico, nascondo in realtà, l’orrore di un conflitto che è esso stesso un crimine contro l’umanità architettato contro uno stato sovrano.
Basti ricordare come nel 2014 il Congresso degli Stati Uniti tenne una seduta segreta, nel corso della quale votò, in violazione del diritto internazionale, il finanziamento di Jabhat al-Nusra, gruppo già a libro paga di Turchia e Qatar.
Nel 2014 lo stesso vice Presidente statunitense Joe Biden, aveva ammesso che alcuni alleati della coalizione internazionale a guida americana avevano versato centinaia di milioni di dollari e migliaia di tonnellate di armi a tutti coloro coinvolti nella lotta contro il presidente siriano Bashar Al Assad, compresi al-Nusra, al-Qaida ed elementi estremisti jihadisti provenienti da altre parti del mondo.
Il quotidiano britannico “The Indipendent”, basandosi su una conferenza tenuta al Royal United Services Institute dall’ex capo del Servizio di intelligence estero britannico (MI6) e attuale docente dell’università di Cambridge, Richard Dearlove, ammetteva che l’Arabia Saudita (alleato statunitense) aveva “aiutato l’Isis a prendere il controllo del nord dell’Iraq, dove sono stati massacrati le donne e i bambini sciiti e yazidi, senza contare il massacro degli studenti della Facoltà dell’Aria (base Spiker)”.
Una grande farsa atta a destabilizzare una regione ostile alle mire espansionistiche atlantiste, un grande business per i produttori di armi; ecco il volto dell’apocalisse di cui siamo responsabili ed i cui detriti roventi, insanguinati oramai non possono essere più celati all’opinione pubblica. Pagheranno mai gli esecutori di questi eccidi in un futuro “tribunale di Norimberga”?
Fonte: ilfattoquotidiano.it, Antimafiaduemila
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