Di Carlo Scognamillo
per ComeDonChisciotte.org
In un silenzio mediatico quasi assoluto è in corso una guerra invisibile. Non viene combattuta attraverso armi o sanzioni, ma nonostante questo i suoi effetti rimbombano in modo assordante all’interno di Wall Street. Infatti, la curiosa indifferenza che si registra all’esterno, non si replica sui mercati finanziari. C’è una vera e propria rivoluzione in atto e riguarda il mondo dei social media.
Non è una coincidenza che tutto ciò stia accadendo in questo momento. Se ripensiamo a questi ultimi due anni, il bombardamento mediatico applicato alla pandemia o alla guerra in Ucraina non è stato solo martellante, ma anche unilaterale. Tutto lascia pensare che i tempi siano ormai maturi per un cambiamento.
È opinione comune che i social media giochino un ruolo fondamentale nella vita di ognuno di noi. Sappiamo che le Big Tech raccolgono i nostri dati senza soluzione di continuità e gli algoritmi con i quali operano conoscono i nostri gusti ed i nostri desideri meglio di chiunque altro. Ma non solo. Non sono solamente in grado di conoscere i nostri pensieri, ma persino di indurli.
Secondo l’ultimo report di Global WebIndex, effettuato nel 2016, i social hanno rimpiazzato prepotentemente la televisione soprattutto nella fascia di età 16-34. I giovani trascorrono ore intere davanti agli schermi degli smartphone. Ogni momento libero è buono per fare il carico di serotonina ed immergersi nei più disparati contenuti offerti, riducendo al minimo il tempo trascorso con i propri pensieri. In una società ultra-capitalistica appare evidente che chi controlla questi strumenti possa non utilizzarli sempre a fin di bene. Spesso, infatti, le informazioni che vengono veicolate dalla propaganda implicano un certo grado di occultamento, manipolazione e selettività rispetto alla verità.
Chi è a capo dei social detiene un potere immenso. È come poter maneggiare una bacchetta magica ed indurre le popolazioni ad effettuare una certa scelta di consumi, di stili di vita e, in casi estremi, indicargli per chi parteggiare in un conflitto armato. Questo Elon Musk lo sa bene e la notizia che abbia acquisito la totalità delle azioni di Twitter ne è la prova. La conferma arriva il pomeriggio del 25 Aprile sul Wall Street Journal alle 16:30, ore locali, mentre in Italia la Festa della Liberazione volgeva al termine. Sono trascorsi 77 anni dalla liberazione ed il filo rosso che collega l’Italia agli USA è più saldo che mai. È lapalissiano però quale Nazione eserciti maggior dominio sull’altra. La presenza USA nel Bel Paese è sempre aumentata, basti pensare al numero delle basi americane nei territori del Friuli e della Sicilia. Inoltre, il governo italiano ha sempre manifestato un atteggiamento di sottomissione nei loro riguardi. La sensazione è che più di qualcuno si auspica in futuro l’istituzione di un’ulteriore Festa della Liberazione, che sancisca l’indipendenza proprio da chi in passato ha svolto il ruolo di liberatore.
25 aprile. La Resistenza è una cosa seria. E’ la Nato ad essere fuori posto
Tornando a noi, Twitter Inc. ha quindi accettato l’offerta di Elon Musk di rilevare la società, determinandone così il controllo totale. Dopo una prima fase di stallo, dove il Consiglio di Amministrazione della società sembrava non cedere, arriva la fumata bianca in cui Twitter accetta l’offerta dal valore di 44 miliardi di dollari (21 miliardi provenienti direttamente dal suo patrimonio personale).Twitter è stata fondata nel 2006 da Jack Dorsey. Poco dopo le dimissioni del suo creatore, date nel Novembre del 2021, Musk si è insediato in Twitter, acquisendo inizialmente il 9,2% delle azioni a fronte di una cifra di quasi 3 miliardi di dollari. Una percentuale che non gli ha concesso fino a quel momento il controllo assoluto dell’azienda, seppure lo abbia elevato in cima alla lista degli azionisti facendolo entrare di diritto nel Consiglio di Twitter.
L’amministratore delegato di Tesla sin da subito ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di figurare semplicemente come uno dei tanti all’interno del Consiglio di Amministrazione. Il suo obiettivo è sempre stato il controllo totale. La sua mega offerta si è posizionato considerevolmente al di sopra del prezzo di mercato. Viene riportato da più fonti che il CDA di Twitter abbia assunto Goldman Sachs come consulente finanziario, al fine di avere una stima del prezzo delle azioni. Tale stima effettuata in quel momento si aggirava intorno ai 36 dollari per azione, mentre Musk ne aveva offerti 54. In pratica Musk ha sovrastimato il valore di Twitter del 38%, probabilmente per evitare che qualcuno potesse accusarlo del fatto che l’offerta non fosse congrua.
A fronte di un’offerta così rilevante, gli altri azionisti di Twitter, tra i quali alcuni dei grandi fondi di investimento, hanno da subito manifestato un certo grado di disappunto. L’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA) di Musk ha scosso le pareti dell’azienda sin dalle fondamenta ed il CdA è immediatamente corso ai ripari. Venerdì 15 Aprile ha infatti ricorso ad un piano noto come “poison bill”, termine inglese che in borsa esprime una strategia per impedire l’acquisizione di un’azienda. In pratica questo piano comporta la vendita a sconto di azioni agli altri soci se un azionista supera il 15% del capitale dell’azienda. Una mossa difensiva di questo calibro è apparsa sintomatica di una profonda preoccupazione che circolava nei piani alti degli uffici di San Francisco. Si rendevano conto che le loro poltrone non erano mai state così a rischio.
A seguito di quell’offerta, Musk ha affermato in un’intervista di voler liberare lo “straordinario potenziale” della società al fine di sostenere la libertà di espressione, caposaldo della democrazia. Queste parole non sono risuonate rincuoranti però nemmeno in un certo ambiente globalista. L’apprensione di Mike Rothschild, appartenente alla nota famiglia di banchieri, è emersa chiara proprio in un twitt di qualche giorno fa, nel quale palesava la sua preoccupazione sul fatto che la libertà di parola fosse a rischio.
Dalle dichiarazioni delle parti in causa sembra evincersi che la preservazione dei principi democratici sia al centro dei loro pensieri. Sarebbe una bella notizia se fosse così, ma la magnanimità di questi Paperoni non sembra convincere la massa critica. C’è il forte rischio che, come ultimamente capita, dietro i soliti slogan perbenisti ed illusori, vengano omesse le reali intenzioni. Non è in pericolo la libertà di espressione, perché quella non è mai esistita. L’unica variante è in quali mani venga accentrato il potere propagandistico. Prima che Musk prelevasse Twitter nella giornata di lunedì, non risulta che i precedenti detentori si facessero molti scrupoli nel censurare in modo indiscriminato chi provasse ad ostacolare il pensiero dominante. Non c’è quindi da meravigliarsi se le parole di questi grandi magnati vengano accolte con diffidenza. La logica capitalistica insegna che i capisaldi che contano sono il potere ed il profitto e questi sono in evidente contrasto con i principi democratici.
Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti dell’anno scorso hanno ben palesato la strumentalizzazione che può essere perpetrata dalle piattaforme social. Ricordiamo come tra i due candidati, Joe Biden e Donald J. Trump, prevalse il primo. Sarebbe lecito chiedersi che ruolo abbia rivestito Twitter nell’esito di quelle elezioni. Infatti, proprio nel mezzo della campagna elettorale, l’azienda con l’uccellino blu come logo ha censurato ed oscurato il profilo social del Presidente in carica Trump, con l’accusa di diffondere “fake news”. Destò un certo stupore che la società abbia interferito, di fatto, con l’elezione alla presidenza di uno dei Paesi più potenti al mondo. Alcuni esponenti del popolo Repubblicano hanno interpretato quel gesto come una presa di posizione politica da parte di Twitter, che avrebbe strizzato l’occhio al Partito Democratico. In questi termini non sarebbe azzardato affermare che la sconfitta di Trump sia stata coadiuvata anche dal cinguettio del colosso di San Francisco.
Probabilmente neanche Elon Musk rappresenta quel protettore della democrazia che vuole lasciare intendere. È necessario tenere a mente che l’imprenditore frequenta gli stessi salotti di quella élite finanziaria che ha introdotto il paradigma di un Nuovo Ordine Mondiale. Non è rassicurante, peraltro, che il suo core business sia improntato sullo sviluppo tecnologico. La reazione che sta suscitando l’operazione di acquisizione di Twitter porta però a pensare che egli non sia in realtà così allineato a quei poteri finanziari sovranazionali a cui si pensava facesse parte. Difatti Musk ha sempre dimostrato di essere un “lupo solitario” e, pur frequentando certe cerchie gerarchiche, non ha mai dato l’impressione di identificarsi in pieno con esse. Elon Musk forse rappresenta una terza via, inesplorata, che si sta facendo largo a spallate nel panorama mondiale e che secondo alcuni è presieduto da due forze contrastanti: quella dell’unipolarismo, dove il potere si concentra nelle mani dei circoli mondialisti di Washington al soldo della finanza internazionale e quella del multipolarismo, dove il potere è concentrato esclusivamente nelle mani degli Stati nazionali. Una partita a scacchi planetaria che sembra però accogliere un terzo giocatore al tavolo, un cinquantenne che viene etichettato dal Bloomberg Billionaires Index come l’uomo più ricco del mondo.
Quattro giorni prima dell’ufficialità Elon Musk ha fatto sapere che se la sua scalata a Twitter fosse stata un successo (come poi si è rivelata) si sarebbe liberato di tutti i bot e dei profili falsi. Non sorprende che alcuni azionisti abbiano tentato fino all’ultimo di impedire la cessione della proprietà di Twitter. Molti utenti, per lo più quelli che sono stati vittime di censura, si lamentano di come i bot e i profili falsi costituiscano una risorsa molto importante per la piattaforma. Secondo loro questi bot vengono sguinzagliati contro coloro che si discostano dalla narrazione dei media ufficiali. Le stesse correnti che denunciano che la libertà di espressione è messa a repentaglio, sono le stesse che oscurano la critica, sia in Italia che all’estero. Twitter viene da tempo accusata di oscurare profili dietro lo scopo nobile di mantenere intatta la libertà di espressione. Un ossimoro che si commenta da solo. In questo momento Musk rappresenta un’incognita ancora non perfettamente decifrabile, soprattutto nella modalità di gestione di quelle delicate informazioni intorno alla censura. Se dovesse essere scoperchiato il calderone contenente le indiscrezioni nascoste dietro questa vicenda, potrebbe saltare più di una testa.
In concomitanza con la sua offerta, Musk aveva dato un ultimatum al CdA di Twitter per una risposta ufficiale. Esattamente dieci giorni dopo il CdA ha deciso di riconsiderare la sua posizione ed accettare l’OPA di Musk, di fatto consegnandogli le chiavi dell’intera società. Esiste una chiave di lettura interessante. Se gli altri azionisti, quali BlackRock, avessero deciso di rifiutare l’offerta presentata, Musk avrebbe venduto sui mercati il suo pacchetto di azioni del 9% con un prevedibile effetto domino sul valore dei titoli, determinando un tracollo in borsa potenzialmente senza precedenti. Piuttosto probabile che i vecchi detentori della proprietà di Twitter abbiano fatto le medesime considerazioni. Se avessero continuato a fare ostruzionismo, Musk si sarebbe liberato di tutto il pacchetto delle sue azioni e fatto affondare il prezzo di Twitter. Sarebbe stato un bagno di sangue per tutti.
Non si fa attendere il primo twitt in veste da proprietario di Musk sulla piattaforma. Si rivolge ai suoi critici più severi, augurandosi che non abbandonino il social, rimarcando il vero significato di libertà di parola. È un invito ai più scettici di verificare direttamente come le promesse preannunciate vengano fatte seguire dai fatti. Sicuramente come inizio è promettente.
Molti repubblicani sperano di poter ritrovare Trump nuovamente operativo sulla piattaforma, anche se le sue ultime dichiarazioni smentiscono questa ipotesi, persino con Musk al comando. Trump ha definito Twitter un social “noiso”. La possibilità però che si tratti di un bluff non è da escludere. Esistono infatti almeno due ragioni per le quali non c’è da fidarsi di quelle parole. Il primo è che un’eventuale partnership tra Twitter e Truth potrebbe risultare profittevole per entrambe le controparti. Si ritroverebbero a collaborare due social in grado insieme di offrire una nuova linfa al mondo dell’informazione e della comunicazione. Anche se non è mai apparso palese, la possibilità che i due personaggi siano accomunati da una visione comune e che abbiano già parlato di affari non è da scartare. Il secondo motivo è più romantico: riaffiorare in Twitter rappresenterebbe una severa lezione per chi gli ha chiuso la bocca durante la campagna elettorale. L’insegnamento di Donald J. Trump al mondo sarebbe che la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Di Carlo Scognamillo per ComeDonChisciotte.org