di Flavia Petralia
Molti nodi sono venuti al pettine. Il “caso Palamara”, ha scoperchiato il vaso di pandora delle correnti nella magistratura italiana. Le intercettazioni, risalenti a tempi relativamente recenti – al 2018, per quanto è dato sapere – confermano che tribunali e procure, sono stati “sistemati ad hoc”, seguendo non un sistema meritocratico, ma una scelta “di partito” che ha privilegiato l’interesse di una corrente in particolare, quella “Unità per la Costituzione” di cui Luca Palamara era il leader indiscusso.
Vediamo di fare chiarezza.
Si è scoperto che Luca Palamara, giovane presidente del ANM e membro togato nel 2014 del CSM, ha creato una rete di procuratori dislocati nelle varie procure del territorio nazionale senza seguire la linea di merito, ma assecondando gli interessi della sua corrente e creando di conseguenza un muro di forza che ha penalizzato molti altri magistrati, appartenenti a correnti diverse, i quali, quando si sono sottratti e anzi hanno cercato di combattere questo “colpo di stato” basato su favoritismi e interessi personali, si sono spesso visti penalizzati non solo in termini di carriera, ma anche con invasivi provvedimenti che hanno danneggiato la loro immagine professionale, con gravi ricadute anche sulla loro vita privata e personale.
Questo, in estrema sintesi, il dato “ufficiale”.
Ci chiediamo se è, a questo pur già gravissimo dato, che bisogna fermarsi, o se si deve andare più in là.
In effetti, nonostante vi sia la certezza che questo ingranaggio fosse talmente ben collaudato da essere venuto alla luce già dalle prime intercettazioni effettuate nel 2018, nessuno ha indagato sulla reale tempistica che ha segnato l’inizio dell’organizzazione a tavolino di procure e tribunali.
In questo momento, conosciamo, dalle indagini in corso a Perugia, i nomi dei magistrati che si sarebbero avvantaggiati del sostegno di quel coagulo di interessi di potere di cui Palamara era il rappresentante e lo strumento operativo, ma non possiamo esimerci dal chiederci se questo meccanismo fosse in atto già dal 2014 e se le scelte di quel CSM di cui Palamara ha fatto parte per un quadriennio, furono in qualche misura condizionate da quel groviglio di pressioni e interessi che – le intercettazioni lo hanno dimostrato – inficiarono l’operato del Consiglio dal 2018.
A fronte di ciò che è emerso dalle intercettazioni, conosciamo un sistema di manipolazione delle procure già collaudato.
Diventa, dunque, legittimo chiedersi:
-Da quanto tempo le procure vengono organizzate per sopperire a interessi personali?
-Siamo realmente di fronte a sei anni di manipolazioni e di scelte dettate da esigenze di gestione del potere?
Intere procure in questo momento sono potenzialmente gestite da fedeli membri di un sistema che proprio in questi mesi si cerca (o si finge) di combattere.
Eppure, tutti sappiamo che se non si estirpa la radice fradicia e ci si accanisce solo col frutto marcio, il problema non si risolve. Che una rete così fitta di interessi non si costituisca in un mese, è un dato pressoché inconfutabile.
Potenzialmente, da sei anni ci troviamo davanti a selezionati servitori, scelti solo sulla base della loro permeabilità a perseguire (o a consentire che si perseguano) gli interessi del gruppo di potere rappresentato da Luca Palamara.
La magistratura, organo degno di rispetto e faro per i cittadini non può diventare una chimera.
Colpire – in tale contesto – Luca Palamara e i soli soggetti le cui logiche sono emerse dalle intercettazioni, non significa fare crollare un sistema, tutt’al più svia dal vero obiettivo che è quello di riportare ordine e dignità all’interno della magistratura.
Il rischio in cui si sta concretamente incorrendo, è quello di oscurare tutti gli altri colpevoli che in questo momento operano sottobanco, indisturbati.
Fare luce su come siano state organizzate le procure dalla nomina di Palamara al CSM, è un atto tanto necessario quanto dovuto.
Tratto da: Antimafiaduemila
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