L’istituto del salario minimo, li dove è stato introdotto, funziona. Non solo: aumenta la qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori che ne usufruiscono, non ha ricadute occupazionali negative e non ostacola l’ammodernamento degli stabilimenti produttivi.
A riportarlo è un articolo pubblicato su Il manifesto, che cita lo studio “Reallocation Effects of the Minimum Wage” curato dal dipartimento di Economia dell’università di Harvard pubblicato dalla Oxford University Press,. La ricerca degli studiosi Christian Dustmann, Attila Linder, Uta Schonberg, Matthias Umkehrer e Philipp Vom Berge, analizza gli effetti del salario minimo introdotto in Germania dal 2015.
In Germania il salario minimo nel gennaio 2015 era di 8,5 euro ed è arrivato nel 2019 a 9,19 euro. La misura, secondo lo studio, ha aiutato le fasce di popolazione più fragili, come gli immigrati in Germania Est, in prevalenza donne, con scarse qualifiche personali, di età inferiore a 24 anni e spesso disoccupati da oltre un anno.
Grazie al salario minimo, continua la ricerca, questi lavoratori non solo sono stati riallocati “dalla fascia di stipendio minimo al livello superiore”, ma anche “dalle realtà meno produttive a quelle più competitive“. Tutto questo senza causare perdite occupazionali, se non limitate.
Appare interessante rilevare come la conseguenza dell’introduzione del salario minimo sia stata l’aver messo fuori mercato i lavori retribuiti con meno di 8,5 euro l’ora, che sono diminuiti subito dopo la sua introduzione.
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A questo si è affiancato l’aumento degli impieghi maggiormente retribuiti, che si è riversato anche su aziende e comparti che hanno beneficiato maggiormente della misura, ovvero pulizie, trasporti, e logistica alimentare.
In queste aree, prosegue lo studio dell’Università di Oxford, si è registrato un “innalzamento della qualità media degli stabilimenti”. I ricercatori di Harvard sottolineano come “la popolarità del salario minimo sta crescendo”, e questo sia gli Stati Uniti sia nei Paesi europei.
Unica eccezione – negativa – è l’Italia dove qualche volta è stato evocato, ma subito seppellito da Confindustria e dalla codardia di Cgil Cisl Uil.
Lo studio indubbiamente smentisce ancora una volta le analisi fatte da economisti liberal, secondo cui la misura avrebbe un impatto negativo sul Pil e sulla “concorrenza” nel mercato del lavoro.
Occorre segnalare che lo studio registra gli effetti positivi del salario minimo in un paese come la Germania, dove lavoratrici e lavoratori usufruiscono obiettivamente del surplus che il capitalismo mercantilista tedesco ricava dall’export massiccio e dai benefici della moneta unica.
Per l’Italia e i paesi euromediterranei della Ue sono due condizioni non agenti, anzi sono questi paesi quelli che ne pagano le maggiori conseguenze.
Ciò non toglie che l’introduzione del salario minimo sia anche in Italia una battaglia decisiva di civiltà e di lotta contro il lavoro povero dovuto alle basse e bassissime retribuzioni. Di fronte agli starnazzamenti contro il reddito di cittadinanza – che in qualche modo e quasi involontariamente ha spezzato il ricatto del lavoro scarsamente retribuito – si comprende bene come la battaglia per il salario minimo non potrà che essere uno scontro frontale con le imprese e i loro manutengoli in Parlamento e nel Governo.
Tratto da: Contropiano.org
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