L’ex agente di poliza penitenziaria Pietro Riggio che di recente ha rilasciato una serie di dichiarazioni alle Procure di Caltanissetta e Firenze sulle stragi e le sue conoscenze con esponenti deviati dei servizi di sicurezza, sarà sentito nel processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia.
Lo ha deciso la Corte d’assise d’appello, presieduta da Angeli Pellino, che nella giornata di ieri si è espressa sulle nuove richieste istruttorie e di acquisizione di documenti presentate dalla Procura generale e dalle difese.
Così come chiesto alla scorsa udienza dai sostituti Procuratori generali, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, il pentito sarà sentito “nello specifico in riferimento alla cattura di Bernardo Provenzano e su quel che gli sarebbe stato riferito da un tale Peluso, ovvero ‘che i carabinieri non sono di fatto interessati alla cattura di Provenzano‘”, ma anche sui fatti inerenti le stragi.
Sentito in precedenti processi Riggio aveva raccontato che durante la sua detenzione nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove si trovava assieme ad altri appartenenti di varie forze di polizia che avevano pendenze varie, venne coinvolto, in una prospettiva di successiva scarcerazione, per una attività parallela a quella delle forze di polizia ufficiali: un’attività di cattura latitanti.
“Lui – aveva ricordato Fici – dice che tramite le sue conoscenze in ambito mafioso nisseno avrebbe potuto fornire informazioni per la cattura di Bernardo Provenzano. Una volta uscito avrebbe iniziato ad operare a riguardo. Questi soggetti reclutati tra appartenenti di forze di polizia iniziano a collaborare per la cattura. E Riggio dà notizie che portano effettivamente ad individuare un funzionario della cancelleria di Caltanissetta. E questa squadra diventa operativa. In questo contesto succedono, dice Riggio, circostanze diverse e più significative. Dice lui che lo avrebbero voluto coinvolgere in un progetto omicidiario nei confronti del giudice Guarnotta e sostiene di aver saputo da un appartenente di questo gruppo che questi era stato coinvolto nella strage di Capaci”.
La Corte d’assise ha anche accolto la richiesta di audizione del funzionario di polizia Giustolisi, che ha collaborato ai riscontri del narrato del collaborante. Entrambi saranno sentiti il prossimo 19 ottobre. All’udienza successiva, invece, saranno sentiti l’ex prefetto Luigi Rossi, la dottoressa Liliana Ferraro e Cinzia Calandrino, al tempo coordinatrice dei servizi presso la segreteria generale del Dap e responsabile della sezione quarta.
Saranno ascoltati a completamento del segmento di isturttoria inerente la vicenda del mancato trasferimento di Riina e dell’appunto del Sisde in cui si riferiva del possibile utilizzo di un cellulare da parte del Capo dei Capi quando questi era detenuto nel carcere Rebibbia di Roma.
La Corte d’assise ha inoltre accolto la richiesta di acquisizione della sentenza di revisione con cui il 15 marzo del 2017 la Corte d’Appello di Perugia ha assolto Domenico Papalia per l’omicidio di Antonio D’Agostino.
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“La richiesta – ha letto Pellino – è accolta a completamento della documentazione già acuqisita sul tema relativo alla presunta prassi di accordi collusivi di settori deviati dei servizi di intelligence, o degli apparati di sicurezza, con esponenti di spicco di associazioni mafiose. Nello specifico per il ruolo, in tale contesto, di Domenico Papalia, personaggio menzionato nella lettera testamento Antonino Gioé proprio in riferimento all’omicidio D’Agostino”. Acquisiti anche i documenti sugli approfondimenti effettuati rispetto le dichiaraizoni del pentito Armando Palmeri ed il verbale delle dichiarazioni rese dal collaboratore Francesco Di Carlo, recentemente deceduto.
Tra i documenti acquisiti anche le audizioni dei magistrati sentiti davanti al Csm dopo la strage di via d’Amelio “per ricostruire i contrasti all’intenro della Procura di Palermo e le divergenze di valutaizone su mafia-appalti e le scelte investigative effettuate su quel versante giudiziario”.
Sul fronte delle nuove prove acquisite vi è anche l’intercettazione telefonica captata il 20 luglio 2018 in cui l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia arrestato nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott, commentava un articolo de Il Fatto Quotidiano in cui si parlava della sentenza trattativa Stato-mafia.
Per la Corte è una “prova sopravvenuta” e nell’ottica accusatoria “potrebbe assumere rilevanza sull’imputato Dell’Utri nel punto relativo contestato in atto d’appello sul perfezionamento del reato di minaccia a corpo politico dello Stato in pregiudizio del governo presieduto da Silvio Berlusconi.
Nel’ordinanza sono state rigettate le acquisizioni inerenti gli approfondimenti della Procura generale sulla cosiddetta “vicenda Bianchi” tenuto conto che le “indicazioni in ordine a presunte o accertate collusioni di Marcello Dell’Utri con l’organizzazione mafiosa e Cosa nostra sono senza alcuna specifica connessione per i fatti per cui qui si procede a carico del medesimo imputato” e che lo stesso Alberto Maria Salvatore Bianchi, sentito dalla Procura generale, si avvalse della facoltà di non rispondere, dimostrando di “non avere volontà collaborativa”.
Tra gli altri documenti acquisiti vi sono poi i verbali a sommarie informazioni di Vardaro, De Pascalis e Piercamillo Davigo.
Tratto da: Antimafiaduemila
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