È probabile che lo scioglimento della calotta polare e dei ghiacciai in genere abbia influito sull’innalzamento del livello del mare, ma nessuno può negare che l’opera di difesa della laguna chiamata Mose, in costruzione da 50 anni, con una spesa pari a 6 miliardi di euro, non è ancora entrata in funzione.
Cosa farebbe oggi Zaia, se fosse stato già approvato il suo disegno sulle autonomie differenziate, secondo il quale il “governo del territorio”, “l’ambiente, l’ecosistema e i beni culturali” dovrebbero essere competenza esclusiva delle regioni?
Con quali mezzi Zaia oggi potrebbe far fronte all’attuale tragica situazione, senza l’aiuto dello Stato e cioè di tutti i cittadini italiani?
Comunque, il punto centrale della questione, che lega il caso di Venezia a quello dell’Ilva di Taranto, è sempre lo stesso: è l’affermazione del sistema economico predatorio neoliberista, che si estrinseca nell’esaltazione del privato, a danno del pubblico.
La costruzione del Mose è stata affidata ad una società privata che ha dissipato il denaro pubblico con innumerevoli tangenti e tutt’ora mantiene fermi i lavori, pur essendoci in cassa 800 milioni più che sufficienti per portare a termine l’opera.
Possiamo affermare che le concessioni, le privatizzazioni, la prevalenza accordata in ogni caso all’iniziativa privata hanno portato l’Italia alla deriva. A questo punto vanno individuati i responsabili di questo disastroso evento, i quali ovviamente sono tenuti a risarcire i danni che hanno provocato.
Paolo Maddalena