Oggi in tutta Italia lavoratori e lavoratrici addetti alla filiera Amazon, proveranno a “fermare la macchina” ed a rivendicare i propri diritti.
Amazon ha concluso il quarto trimestre del 2020 con un fatturato record, pari a 125,56 miliardi di dollari, (circa 105 miliardi di euro) superando per la prima volta nella sua storia la soglia dei 100 miliardi. Gli utili netti della società sono stati pari a 7,2 miliardi di dollari, con l’utile per azione a 14,09 dollari, quasi il doppio dei 7,23 dollari per azione attesi dagli analisti.
Le società che si occupano di circolazione e distribuzione delle merci (logistica) negli ultimi anni stanno macinando utili enormi, in molti casi assai di più di chi le produce.
Le restrizioni dovute alla pandemia di Covid non solo non hanno fermato o rallentato la macchina, al contrario ne hanno aumentato a dismisura i ritmi, gli ordinativi, il fatturato e i profitti.
Lo sciopero è stato proclamato dai sindacati Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti ma anche dall’Usb, secondo cui ora anche Cgil, Cisl e Uil “si accorgono del problema, oppure hanno paura che tutti i lavoratori gli voltino definitivamente le spalle?”. Per l’Usb la proclamazione dello sciopero nella filiera Amazon arriva con imperdonabile ritardo ma è anche il frutto delle mobilitazioni e dei presidi di questi mesi che Usb ha organizzato dentro e fuori i cancelli della multinazionale.
Il sindacato ha realizzato in occasione dello sciopero un breve video che equipara le condizioni dei lavoratori Amazon di oggi a quelle degli operai alla catena di fine ottocento.
In Italia per le consegne di Amazon lavorano complessivamente lavorano tra le 30 e le 40mila persone. Con lo sciopero si punta ad uno stop della consegna a domicilio dei pacchi ordinati in rete negli ultimi giorni e con conseguenze anche nei prossimi giorni.
“Per un giorno ci vogliamo fermare, ci dobbiamo fermare. E’ una questione di rispetto del lavoro, di dignità dei lavoratori, di sicurezza per loro e per voi. Per questo, per vincere questa battaglia di giustizia e di civiltà abbiamo bisogno della solidarietà di tutte le clienti e di tutti i clienti di Amazon”. Questo è quanto scrive l’appello rivolto ai cittadini e ai consumatori dai lavoratori di Amazon, tra driver, addetti agli hub e ai magazzini. “Voi che ricevete un servizio siete le persone cui chiediamo attenzione e solidarietà, perché continui ad essere svolto nel migliore dei modi possibili”, si legge ancora nell’appello che rivendica per questi lavoratori impegno e dedizione.
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In occasione della giornata di sciopero saranno organizzati presidi di fronte agli stabilimenti, ai magazzini e ai centri Amazon in tutta Italia.
Replicando ai sindacati, la multinazionale ha affidato un comunicato alla stampa nel quale decanta tutte le opportunità offerte dal lavorare in Amazon (salari, regolarità del contratto etc.) insomma secondo la multinazionale lavorare per Amazon sarebbe come fare un terno al lotto.
Ma chi ci lavora racconta una storia diversa. E denuncia ritimi forsennati; 26 domeniche lavorative obbligatorie per i drivers; estensione oraria a 44 ore settimanali articolate su 6 giorni invece che 5 (con un solo giorno di riposo); giornate festive lavorative da inserire nella normale turnazione; primi 3 giorni di malattia senza retribuzione; controllo dei drivers attraverso GPS e dei magazzinieri attraverso telecamere (con possibilità di utilizzo del controllo a fini disciplinari); aumento del numero dei lavoratori a tempo determinato, interinali e a chiamata, limitazione del diritto di sciopero.
Insomma un quadro completamente diverso da quello disegnato dalla multinazionale contro la quale vengono rivendicate 39 ore settimanali per tutti; reali aumenti retributivi; stop al rimborso dei danni e delle franchigie dei mezzi a carico dei drivers; stop al controllo ossessivo dei lavoratori attraverso telecamere e satellitari; la stabilizzazione dei moltissimi lavoratori precari.
Fermare la macchina, per respirare, per affermare i diritti di chi lavora e produce ricchezza. Il capitalismo dipinge se stesso come forza progressiva ma qui siamo veramente tornati alle condizioni dell’Ottocento.
Tratto da: Contropiano.org