Di Luca Grossi
Per gli esperti si tratta di una riforma salvaladri. Barbacetto: “Amnistia mascherata”
Il Consiglio dei ministri ha dato via libera unanime alla riforma della giustizia penale che include un cambio della delicatissima normativa sulla prescrizione e cambiamenti significativi nell’ambito del processo penale. In pratica sono stati rimodulati i tempi di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato ed è stata confermata l’attuale disciplina, che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione), ma il nodo principale rimane la durata massima stabilita per i processi in Appello e Cassazione, due anni per il primo, un anno per il secondo. Un giorno in più e i reati rientrano nella categoria degli improcedibili mandandoli di fatto al macero. È stata inoltre prevista la possibilità di un’ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per processi complessi relativi a reati gravi, come esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione). Decorsi tali termini, interviene l’improcedibilità, da cui sono esclusi i reati imprescrittibili quelli puniti con ergastolo.
Ed è proprio su questo punto che il movimento 5Stelle ha ceduto, barattando quella che era stata la sua riforma formulata dall’ex guardasigilli Bonafede con un risibile compromesso, cioè che tra i reati prorogabili (senza però rientrare nella categoria degli imprescrittibili) fossero inseriti quelli contro la pubblica amministrazione. Non più cioè solo due anni in appello e uno in Cassazione ma tre anni in secondo grado e 18 mesi alla Suprema Corte. “Su corruzione e concussione non arretriamo di un millimetro” hanno detto i pentastellati, garantendosi nuovamente un “nuovo posto al sole” dell’esecutivo di Mario Draghi.
Infatti il fatidico ok dei 5stelle è arrivato dopo una lunga discussione e una breve sospensione. Nel corso della seduta del Cdm, il presidente del Consiglio è intervenuto per sbloccare la situazione di stallo facendo appello al “senso di responsabilità”.
Ma, come riporta il Fatto Quotidiano, a pesare sui delicati equilibri decisionali del parlamento sarebbe stato anche il fondatore del movimento 5S Beppe Grillo, il quale contattato da Draghi nello stesso giorno, prima della riunione del consiglio dei ministri, sarebbe intervenuto sui componenti del governo al fine di spingerli a votare sì alla riforma della Giustizia.
Sempre nel testo è stata confermata in via generale la possibilità, tanto del pubblico ministero, quanto dell’imputato, di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. Il testo recepisce il principio giurisprudenziale dell’inammissibilità dell’appello per specificità dei motivi, di conseguenza si prevedono, seppur limitate, ipotesi di inappellabilità delle sentenze di primo grado, per esempio in caso di proscioglimento per reati puniti con pena pecuniaria e di condanna al lavoro di pubblica utilità.
Nella riforma vi è scritto oltretutto che per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale il legislatore dovrà individuare quali sono i reati più importanti, segnalarli alle Procure e sottoporti al vaglio del Consiglio Superiore della Magistratura.
Tuttavia non sono mancati i commenti e le esternazioni di perplessità, come quelle sollevate dal noto giornalista e saggista Gianni Barbacetto il quale ha spiegato i tre punti per cui secondo lui la riforma è incompatibile con le odierne esigenze processuali del Paese: “Fa tornare la prescrizione, peggiorata addirittura in ‘improcedibilità’. L’Appello dura più di 2 anni e la Cassazione più di 1 anno. Poiché le Corti d’Appello hanno un arretrato di 2 anni, questa proposta è una amnistia mascherata” inoltre il testo “reintroduce il berlusconiano divieto di fare appello in caso di assoluzione, già due volte dichiarato incostituzionale” e infine “la direttiva annuale del Parlamento per scegliere le priorità dei reati da perseguire è incostituzionale, perché viola l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 della Costituzione)”.
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Dubbi arrivano anche dall’attuale presidente dell’Anm Luca Poniz il quale ha detto di sentirsi “perplesso sulla nuova prescrizione” e che “i processi non sono uguali, un tempo unico non va bene”.
A rompere il silenzio è stato anche l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte il quale ha detto che “siamo tornati a quella che è un’anomalia italiana” schierandosi di fatto contro i ministri M5s che hanno votato a favore del provvedimento in cdm, “apprezzo il lavoro fatto dalla ministra Cartabia ma io non canterei vittoria” ha detto Conte intervenendo a sorpresa all’evento organizzato da Confindustria Giovani a Genova, “non sono sorridente su questo aspetto della prescrizione” poiché “se un processo svanisce nel nulla per una durata così breve non può essere una vittoria per lo stato di diritto”.
Tuttavia l’ex premier ha messo le mani avanti specificando di non voler andare contro l’attuale presidente del Consiglio: “Commentare e fare proposte non significa andare contro il governo Draghi”, ha detto, “si cerca sempre la contrapposizione Conte-Draghi. Ma qui non è un Conte contro Draghi, si tratta di confrontarsi su principi e trovare delle soluzioni e dei meccanismi anche in Europa restituiscano all’Italia la possibilità di mettersi in linea con le soluzioni degli altri Paesi”.
Estremamente soddisfatti invece sono il centrodestra e i renziani con Lucia Annibali, capogruppo di Iv in commissione Giustizia alla Camera, la quale dice “siamo soddisfatti perché oggi si chiude definitivamente l’era Bonafede. I 5 Stelle hanno voluto un contentino last minute per digerire la loro sonora sconfitta”. Anche Matteo Salvini si è unito al coro dicendo che “la riforma della giustizia è necessaria e urgente. I 5 Stelle fanno le bizze, per loro la prescrizione non esiste e siamo 60 milioni di presunti colpevoli”.
Applausi anche da Forza Italia, “la riforma è necessaria e urgente – ha detto Anna Maria Bernini – il Movimento non ha la maggioranza assoluta in Parlamento e non ci sono più alleati disposti a seguirlo nella deriva pangiudiziaria. Ne prendano atto”.
I tempi morti del processo
“Ci stanno arrivando ora processi conclusi in primo grado nel 2015-16” e “una sola sezione su 6 di Corte d’Appello a Napoli ha più processi dell’intera Corte d’Appello di Milano. E riuscire a fare un processo di 2° grado in due anni, con le attuali risorse umane, è praticamente impossibile”.
Ha commentato Giuseppe De Carolis, presidente della Corte d’Appello di Napoli in merito alle nuove tempistiche decise dalla riforma Cartabia.
I dati nazionali infatti dicono che prevedere 2 anni per l’Appello, pena l’improcedibilità, è un’impresa nella gran parte dei casi impossibile per via della montagna di arretrati e per la durata media di un procedimento in Italia: quasi 3 anni. I numeri come detto poc’anzi sono spaventosi, “57mila processi pendenti, affrontati da 15 collegi coperti solo grazie alle applicazioni di magistrati del Tribunale” ha detto il presidente.
In merito a questo si è espressa anche la commissione tecnica presieduta da Giorgio Lattanzi – ex presidente della Corte costituzionale – voluta dal Guardasigilli, “il giudizio di Appello si connota per una durata media ben al di sopra delle statistiche europee (secondo l’ultimo Rapporto CEPEJ, la durata stimata è pari a 851 giorni, a fronte della media europea di 155 giorni) e per il progressivo accumulo di un arretrato assai preoccupante, pari a 260.946 fascicoli, ndr nel 2019”.
Oltretutto secondo i dati della relazione presentata dal presidente della Cassazione Pietro Curzio all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, nelle Corti d’Appello le cose vanno sempre peggio: nel 2019-2020, la durata media nazionale è di 1.038 giorni, ben più dei 2 anni previsti dalla riforma. E il trend è peggiorato: nel 2018-2019 ne servivano 840 e nel 2017-2018 ce ne volevano 861.
Tratto da: Antimafiaduemila