Sono aspre le critiche sulla riforma della giustizia mosse dal magistrato Alfonso Sabella, tutt’ora impegnato al Riesame di Napoli e già cacciatore di latitanti a Palermo, riportate oggi dal Fatto Quotidiano.
“Purtroppo i gabinetti ministeriali sono pieni di magistrati cooptati dal sistema delle correnti e raramente ci trovi i peones che hanno passato la vita a buttar sangue nelle aule di giustizia e che, a differenza dei loro colti e amati (dal potere politico) colleghi, conoscono i reali problemi del quotidiano. Il risultato è che spesso abbiamo norme sulla carta apparentemente perfette ma che poi quando si scontrano con la realtà diventano inapplicabili” ha detto il magistrato, replicando come la riforma sia stata “un’occasione sprecata” fatta “solo per sostituire quella mostruosa figura dell’imputato a vita, con quella del condannato non prescritto, non innocente, non colpevole e non processabile, uno zombie 4.0 insomma. Ci si è attorcigliati a cercare un pasticciato compromesso sul tema della prescrizione, tralasciando invece le vere criticità della giustizia e del processo penale: depenalizzazione consistente, introduzione del doppio binario, semplificazione delle procedure, riduzione, seria, delle circoscrizioni giudiziarie”.
In particolare Sabella ha fatto riferimento ai problemi che si ritroverà ad affrontare la figura del G.i.p, “ma il gip quante cose deve fare? È già schiacciato così come sta, ora sarà anche peggio”, sottolineando che i giudici delle indagini preliminari “dovrebbero assicurare il primo e più efficace controllo di legalità sull’operato dei pubblici ministeri, ma già adesso non riescono a farlo bene perché sono pochissimi in rapporto ai compiti che sono chiamati a svolgere: intercettazioni, misure cautelari, abbreviati con 80-100 imputati, udienze preliminari, amministrazioni giudiziarie, liquidazioni… Non si può realisticamente pensare che i gip trovino anche il tempo di scrivere più sentenze di non luogo a procedere e a trattare un numero maggiore di riti alternativi”.
Inoltre sempre secondo il magistrato, la riforma della giustizia costituisce un sistema che “rischia di essere devastante per i maxi-processi di mafia laddove la riapertura del dibattimento in appello è pressoché una regola. È naturale che dopo la sentenza di primo grado intervengano nuovi collaboratori di giustizia o si acquisiscano nuovi elementi; e tre anni, tenuto conto delle innumerevoli garanzie di cui dispone la difesa, possono anche non bastare”.
Oltretutto sul meccanismo che oggi consente all’imputato di patteggiare una pena con il pm l’opinione di Sabella è chiara, “nessuno può ignorare l’assurdità di un meccanismo” che “consente all’imputato magari confesso, di patteggiare una pena con il pm, di sottoporre il loro accordo a un giudice che, se lo condivide, emette sentenza; quindi lo stesso imputato e lo stesso avvocato possono impugnare quella sentenza in Cassazione senza rischiare nulla; e lo stesso avviene per i concordati in appello. Facciamo almeno rischiare qualcosa all’imputato che impugna solo per prolungare il processo, magari in termini di azzeramento degli sconti di cui ha beneficiato o di pericolo di riportare una condanna a pena più elevata”.
E poi ancora “oggi come oggi non c’è nessun rischio per l’imputato a ricorrere in appello, ma solo vantaggi: nella peggiore delle ipotesi passerà più tardi in giudicato la sentenza e quindi sarà ritardata l’esecuzione della pena. Nella migliore, ammesso che non arrivi qualche amnistia (in Italia non si sa mai), si incasserà qualche sconto di pena. Ma c’è un rischio enorme che non si è tenuto in considerazione. Oggi esiste il concordato in appello con rinuncia ai motivi e rideterminazione della pena e già adesso assistiamo a consistenti riduzioni delle condanne in secondo grado, gradite anche ai giudici che evitano di scrivere la sentenza nel merito. Con il nuovo meccanismo è chiaro che i magistrati per non incorrere nella declaratoria di improcedibilità saranno costretti ad accettare condizioni ancora più capestro. Per avere una minima speranza di funzionare la riforma doveva prevedere limiti, reali e non discrezionali, per le impugnazioni dell’imputato e abrogare anche il divieto di reformatio in peius”.
In conclusione Sabella ha espresso anche delle constatazioni in merito alla destinazione dei soldi del Recovery nell’ambito dell’organigramma della giustizia, specificando che questo non apporterà nessun beneficio all’efficienza dei tribunali poiché “se io mando cento nuovi giudici al dibattimento posso creare dieci nuovi posti di presidente di sezione, merce di scambio preziosissima nel meccanismo di spartizione correntizia, ma se li mando all’ufficio Gip non produco nessun nuovo posto semi-direttivo oltre a quelli già esistenti”.
Fonte: ilfattoquotidiano.it, Antimafiaduemila
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