Il consigliere togato su La Stampa: “Più ombre che luci”
Una riforma che presenta “più ombre che luci” che presenta una “volontà di una reazione improntata alla velocità, per lo più apparente, e l’intento demagogico di dimostrare all’opinione pubblica di voler porre fine a fenomeni degenerativi nel Csm e in parte della magistratura. Ma senza individuare e intaccare le patologie: correntismo, collateralismo con la politica, carrierismo, burocratizzazione e gerarchizzazione degli uffici di Procura”. Non usa mezzi termini il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, per commentare le norme della riforma elettorale del Csm approvate dal consiglio dei ministri e che dovranno essere discusse in parlamento.
Secondo il magistrato intervistato sul quotidiano La Stampa il sistema elettorale previsto è “inadeguato alla soluzione del problema” e non è “spazzacorrenti”, così come è stato presentato dal Guardasigilli.
“Suggestiva formula mediatica, ma la realtà è tutt’altra – ha detto Di Matteo rispondendo alle domande – A scapito di minoranze e candidati indipendenti, favorirà le correnti a più forte radicamento territoriale. Il cui potere, che non si esplica solo alle elezioni, non sarà scalfito senza riforme radicali”.
Così come aveva fatto le scorse settimane a Catania per la presentazione del libro di Sebastiano Ardita “Cosa nostra S.p.a” ha parlato del sistema di sorteggio da prevedere in forma temperata. Nello specifico riferendosi ad un “sorteggio per selezionare i candidati da sottoporre alle elezioni del Csm”, indicato come “l’unico modo per scardinare in radice il potere delle correnti, senza incorrere nell’incostituzionalità”.
La rotazione degli incarichi direttivi
Di Matteo ha poi rilanciato anche un’altra proposta, ovvero la “rotazione triennale per azzerare la folle corsa agli incarichi direttivi e semidirettivi, che rischia di trasformare i dirigenti degli uffici in capi, con i nefasti effetti ormai di dominio pubblico”. Rispondendo alle domande di Giuseppe Salvaggiulo ha spiegato ulteriormente il proprio pensiero: “Il capo può ritenersi investito del potere di condizionare le scelte dei suoi sostituti, trasformandoli in oscuri funzionari attenti a non dispiacere i vertici dell’ufficio. Il che confligge col disegno costituzionale di potere diffuso in cui i capi coordinano i magistrati, senza comprimerne autonomia e indipendenza”. E poi ha aggiunto: “L’eventuale potere oscuro di un procuratore si misura in quello che fa, non fa e non consente di fare. Per chi teme il controllo di legalità sul potere è più facile controllare 10 procuratori in assetto gerarchico che 200 pm autonomi”.
Quindi ha denunciato come oggi ci sia una “corsa ad appuntarsi le cosiddette medagliette” tra “collaborazioni organizzative, incarichi di supporto informatico, docenze alla scuola della magistratura. Titoli non legati alle indagini e ai processi, ma preziosi per far carriera” e a certe indagini, soprattutto quelle scomode, non pensa più nessuno. Perché? E’ presto detto: con esse “ti puoi solo bruciare”.
Poche luci
Tra le luci della riforma individuate dal magistrato c’è lo stop alle “porte girevoli” tra magistratura e politica, ma anche la “separazione nel Csm tra sezione disciplinare e importanti commissioni (incarichi direttivi e trasferimenti per incompatibilità). E il ritorno al concorso aperto a tutti i laureati, per non penalizzare giovani brillanti ma senza una famiglia benestante alle spalle”.
Diversa la valutazione sulle “quote rosa” che, messe in questa forma, vengono considerate come “un’offesa al valore oggettivo delle donne magistrato. Alcune (6 sui 16 togati) già meritoriamente nel Csm. Tanto più ora che finalmente le donne iniziano a ricoprire importanti incarichi apicali”.
Intento punitivo
Ma c’è un altro allarme che Di Matteo lancia e riguarda il divieto per chi va al Csm di concorrere a incarichi direttivi per 4 anni. “Oltre che demagogico e ingiusto, trasuda finalità punitive dei consiglieri che hanno assolto o assolveranno il compito con coraggio, disciplina e onore. Come se entrare al Csm significhi di per sé brigare, trafficare, sporcarsi le mani” ha commentato. Secondo il consigliere togato vi sarà un effetto “disincentivo a candidature di colleghi autorevoli, per non vedersi pregiudicata la carriera. Finiranno per candidarsi al Csm solo magistrati inesperti o a fine carriera” ed ha subito chiarito di non parlare per la sua persona, ma per “magistrati stimati e perbene che intendono candidarsi al Csm non rivendicando vantaggi ma non dovendo nemmeno temere svantaggi”.
Fonte: Antimafiaduemila
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