di Aaron Pettinari – Pdf
La scarcerazione dei boss “un vulnus al sistema antimafia”
Durante e post lockdown per l’emergenza Covid le mafie hanno drizzato le antenne, fiutato la possibilità di affari e valutato un’occasione di arricchimento ed espansione che è paragonabile “ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”.
E’ questa l’allarmante valutazione che si legge all’interno della seconda relazione semestrale della Dia, riferita all’anno 2019, trasmessa al Parlamento italiano.
Ciò avviene proprio in contemporanea con la firma del ministero dell’Interno sul decreto da 3,5 miliardi di euro destinati agli enti locali, anche in relazione al contenimento del virus, assicura la “massima attenzione” proprio rispetto le possibili infiltrazioni criminali nelle pubbliche amministrazioni locali.
Da più parti vengono evidenziati i pericoli della crisi economica post-emergenza Covid-19 con Coldiretti che ha parlato di gravissimi problemi nella filiera agroalimentare e della ristorazione (con un rischio crack da 34 miliardi nel 2020).
Il nuovo welfare delle mafie
E la criminalità organizzata sguazza dal momento che a differenza di altri non ha problemi di liquidità disponibile. Di fronte a questi dati, dice la Dia, le mafie, “nella loro versione affaristico-imprenditoriale immettono rilevanti risorse finanziarie, frutto di molteplici attività illecite, nei circuiti legali, infiltrandoli in maniera sensibile” dimostrandosi capaci di “intellegere tempestivamente ogni variazione dell’ordine economico e di trarne il massimo beneficio”.
In questo forte stato di disagio sociale, si legge ancora “è evidente che le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud. Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico. Si tratta di un vero e proprio investimento sul consenso sociale, che se da un lato fa crescere la ‘rispettabilità’ del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come ‘pacchetti di voti’ in occasione di future elezioni”.
Doppio scenario
Gli analisti ipotizzano “un doppio scenario. Un primo, di breve periodo, in cui le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio, specie nelle aree del Sud, il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali. Un supporto che passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti. Un secondo scenario – si legge ancora nella relazione – questa volta di medio-lungo periodo, in cui le mafie, specie la ‘Ndrangheta, vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale. L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie”.
“Non è improbabile – scrivono gli analisti – che aziende di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva su capitali mafiosi”. Ed ugualmente non è improbabile che “altre aziende in difficoltà ricorreranno ai finanziamenti delle cosche”, senza sottovalutare il fatto che la semplificazione delle procedure di appalto “potrebbe favorire l’infiltrazione delle mafie negli apparati amministrativi”.
A dimostrazione del dato i numeri di enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, mai così tanti dal 1991, anno di introduzione della normativa sullo scioglimento per mafia degli enti locali. Ai 51 enti Locali già indicati nella Relazione nei primi mesi del 2020 (25 sono in Calabria, 12 in Sicilia, 8 in Puglia, 5 in Campania e uno in Basilicata) se ne sono aggiunti altri 6 tra cui quello di Saint Pierre in Valle d’Aosta, il primo in assoluto in questa regione.
Inoltre 16 sono stati sciolti più volte, fatto che conferma – spiega la Dia – “una continuità nell’azione di condizionamento delle organizzazioni mafiose in grado di perpetuarsi per decenni e a prescindere dal posizionamento politico dei candidati”.
L’infiltrazione negli Enti locali, dicono gli analisti, “si conferma come irrinunciabile” per le organizzazioni criminali: perché attraverso i funzionari pubblici le cosche riescono a mettere le mani sulle risorse della pubblica amministrazione e perché consente loro di rendersi “irriconoscibili, di mimetizzare la loro natura mafiosa riuscendo addirittura a farsi ‘apprezzare’ per affidabilità imprenditoriale”. Un elemento che viene valutato in maniera “positiva”, soprattutto nelle regioni del Nord, con decine di professionisti e imprenditori che si “propongono alle cosche”.
Sanità a rischio
Secondo la ricostruzione della Dia il settore in questo momento più appetibile in seguito all’emergenza Covid per le mafie è quello della sanità.
“La semplificazione delle procedure di affidamento, in molti casi legate a situazioni di necessità ed urgenza – si legge nel documento – potrebbe favorire l’infiltrazione delle organizzazioni criminali negli apparati amministrativi, specie di quelli connessi al settore sanitario. In proposito, la massiccia immissione sul mercato di dispositivi sanitari e di protezione individuale, in molti casi considerati ‘infetti’ dopo l’utilizzo in ambienti a rischio, pone un problema di smaltimento di rifiuti speciali, settore notoriamente d’interesse della criminalità organizzata”. Inoltre si evidenzia che “sono prevedibili, pertanto, importanti investimenti criminali nelle società operanti nel ‘ciclo della sanità’, siano esse coinvolte nella produzione di dispositivi medici (mascherine, respiratori, ecc) nella distribuzione (a partire dalle farmacie, in più occasioni cadute nelle mire delle cosche), nella sanificazione ambientale e nello smaltimento dei rifiuti speciali, prodotti in maniera più consistente a seguito dell’emergenza. Non va, infine, trascurato il fenomeno della contraffazione dei prodotti sanitari e dei farmaci. Un polo di interessi, quello sanitario, appetibile sia per le consistenti risorse di cui è destinatario, sia per l’assistenzialismo e il controllo sociale che può garantire, come dimostrano i commissariamenti per infiltrazioni mafiose, nel 2019, delle Aziende Sanitarie di Reggio Calabria e Catanzaro”.
Operazioni finanziarie sospette
Dai dati fin qui raccolti dalla Direzione investigativa antimafia “nel secondo semestre 2019 sono state 57.145 le segnalazioni di operazioni sospette. Ciò ha “comportato l’esame di 269.987 soggetti segnalati o collegati, di cui 180.879 persone fisiche e 89.108 persone giuridiche, correlate a 286.445 operazioni finanziarie sospette”. La descritta attività di analisi ha consentito di selezionare, nel semestre in esame, 6.914 segnalazioni di interesse della Dia di cui 1.392 di diretta attinenza alla criminalità mafiosa e 5.522 riferibili a fattispecie definibili reati spia/sentinella – si prosegue nella relazione – L’analisi condotta sulle segnalazioni relative al 2° semestre 2019 ha confermato che la maggior parte è stata effettuata da enti creditizi (60%), mentre ancora poco significativo risulta essere il contributo dei professionisti (4%)”.
Le operazioni finanziarie riconducibili alle segnalazioni di operazioni sospette analizzate nel periodo in questione sono per la maggior parte riferibili a operazioni di trasferimento fondi (37%) e per una percentuale significativa riferibile a bonifici a favore di ordine e conto (15%).
Le attività di verifica sulle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti pubblici hanno riguardato, oltre ai lavori di demolizione e ricostruzione del ponte Morandi di Genova, la “Ricostruzione post sisma 2016” e le “Grandi Opere” e più in generale, tutti gli appalti di opere pubbliche ritenuti particolarmente sensibili. Sono stati eseguiti, in particolare, 988 monitoraggi, nei confronti di 192 imprese del nord, 57 del centro e 739 del sud. Eseguiti anche accertamenti nei confronti di 18.201 persone fisiche, a vario titolo collegate alle imprese stesse. Sempre tra luglio e dicembre 2019, le articolazioni territoriali della Dia hanno evaso 3.370 richieste di accertamenti antimafia, nei confronti di 4.810 imprese che hanno permesso di estendere i controlli a 20.010 persone fisiche collegate. Gli accessi ai cantieri sono stati 45, con il controllo di 1.699 persone fisiche, 346 imprese e 883 mezzi. I provvedimenti interdittivi emessi dagli uffici territoriali del governo nel secondo semestre e comunicati all’Osservatorio centrale appalti sono stati 279.
Domiciliari ai boss: un “vulnus” al sistema antimafia
Un altro argomento affrontato nella relazione è quello delle scarcerazioni avvenute nel periodo di emergenza Covid. Scrive la Dia che “Qualsiasi misura di esecuzione della pena alternativa al carcere per i mafiosi rappresenta un vulnus al sistema antimafia”. L’uscita dei mafiosi, dunque, ha “indubbi e negativi riflessi”: rappresenta l’occasione per “rinsaldare gli assetti criminali sul territorio anche attraverso nuovi summit e investiture. Il ‘contatto’ ristabilito può portare alla pianificazione di nuove strategie affaristiche (frutto anche di accordi tra soggetti di matrici criminali diverse maturati proprio in carcere) e offrire la possibilità ai capi meno anziani di darsi alla latitanza” e al contempo si possono favorire “faide tra clan rivali, latenti proprio per effetto della detenzione”. Ma soprattutto, sottolinea la Dia, “la scarcerazione di un mafioso, addirittura ergastolano, è avvertita dalla popolazione delle aree di riferimento come una cartina di tornasole, la riprova di un’incrostazione di secoli, diventata quasi un imprinting: quello secondo cui mentre la sentenza della mafia è certa e definitiva, quella dello Stato può essere provvisoria e a volte effimera”.
Senza dimenticare che di per sé “la concessione della detenzione domiciliare contraddice la ratio di quella in carcere, che punta ad interrompere le comunicazioni e i collegamenti tra la persona detenuta e l’associazione mafiosa di appartenenza”. In quest’ottica, secondo la Dia il decreto legge numero 29 del 10 maggio ha rappresentato da parte del governo “una correzione di rotta fondamentale per contemperare l’esigenza di tutelare la salute dei detenuti mafiosi, con la necessità che questi non ristabiliscano pericolosi contatti con l’esterno”.
Non solo droga: il gioco
Se il traffico di stupefacenti resta il settore che garantisce il maggior guadagno “nel ‘paniere’ degli investimenti criminali, il gioco rappresenta uno strumento formidabile, prestandosi agevolmente al riciclaggio e garantendo alta redditività: dopo i traffici di stupefacenti è probabilmente il settore che assicura il più elevato ritorno dell’investimento iniziale, a fronte di una minore esposizione al rischio”. E qui Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa nostra e criminalità pugliese si spartiscono una ricchissima ‘torta’ (106 miliardi di euro nel 2018 sono le sole giocate legali) che porta anche ad un'”alleanza funzionale” tra differenti clan.
Il settore, inoltre, rileva la Dia, crea un reticolo di controllo del territorio, senza destare allarme sociale, come nel caso dello spaccio di droga. La disseminazione dei punti di raccolta scommesse è paragonabile alla rete di pusher di una piazza di spaccio, con l’evidente differenza che i primi raccolgono denaro virtuale – senza destare clamore – immediatamente canalizzato all’estero e quindi più facile da riciclare”. I secondi raccolgono somme minime, con forte esposizione all’azione di Polizia. Denari che per essere riciclate nei circuiti legali comportano costi notevoli.
Tratto da: Antimafiaduemila
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