Di Aaron Pettinari
Berlusconi? Draghi? Cartabia? La corsa al Colle mostra il peggio della politica
La corsa al Colle è iniziata da tempo e da lunedì 24 gennaio il Parlamento, in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali, sarà chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.
I nomi sul tavolo sono noti e lo scenario che si manifesta agli occhi del popolo è di quelli che fa tremare i polsi.
Perché con il passare del tempo, complice anche una campagna mediatica senza precedenti che ha contribuito a “ripulire” la sua immagine agli occhi dell’opinione pubblica, si sta facendo sempre più largo l’ipotesi di Silvio Berlusconi come Capo dello Stato.
La sola proposta non è solo indecente, ma vergognosa. E come scrivemmo un anno fa, non c’è crisi politica che tenga. Pensare all’ex premier Silvio Berlusconi come possibile candidato al Quirinale è un’offesa a tutti gli italiani onesti.
La scusa venduta al popolo è che Silvio Berlusconi ha segnato la storia della Seconda Repubblica. E’ vero, ma non certo per aver incarnato quei valori che un Presidente della Repubblica dovrebbe avere.
E’ assolutamente inaccettabile che possa essere considerato un pregiudicato, condannato in via definitiva a quattro anni per frode fiscale (pena scontata), salvato da numerose leggi ad personam e prescrizioni in altri processi ed oggi ancora indagato dalla Procura di Firenze, assieme a Marcello Dell’Utri (già condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa), come mandante esterno delle stragi del 1993.
In questi giorni di tam tam televisivo e politico nessuno, salvo pochi giornali come Il Fatto Quotidiano, ha ricordato questo dato o la sentenza Dell’Utri in cui si certifica che Silvio Berlusconi ha pagato alla mafia “cospicue somme di denaro”.
Nelle motivazioni della sentenza i giudici scrivono nero su bianco che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore Dell’Utri (cofondatore di Forza Italia e braccio destro dell’ex Premier) è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.
Di questo i nostri politici e diversi giornalisti prezzolati fanno finta di niente.
Ma l’ineleggibilità morale e sociale del pregiudicato Silvio Berlusconi si riscontra anche da altri fatti che, magicamente, spariscono nel racconto quotidiano.
L’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex premier, Silvio Berlusconi © Imagoeconomica
Come il decreto Biondi (anche noto come “Salvaladri”) promosso dal primo governo dell’ex Cavaliere e poi ritirato dopo la sollevazione popolare che convince Lega ed An a ritirare il proprio consenso.
Non si ricordano le leggi ad personam promosse per cancellare le prove giunte dall’estero per rogatoria ai magistrati italiani, nel 2001, o quelle nel 2002, quando Berlusconi aveva in corso cinque processi per falso in bilancio. Al tempo la sua maggioranza approvò i decreti delegati riformando i reati societari, depenalizzando alcune fattispecie di reato e anestetizzando proprio il falso in bilancio. Il risultato ovvio è che quei processi finirono in malora.
E come dimenticare la legge che nel marzo 2010 rese automatico il “legittimo impedimento” a comparire nelle udienze per motivi istituzionali che allungarono oltremisura i processi Mediaset e Mills.
Fiumi di inchiostro sono stati scritti sul “bunga bunga” e le innumerevoli gaffe istituzionali che l’ex Premier ha messo in scena nel corso della sua storia. Dal Presidente Usa Barack Obama, definito come “l’abbronzato”, agli insulti all’europarlamentare tedesco Martin Schulz, a cui diede del kapò.
L’ex Cavaliere è colui che nel 2003, in un’intervista del settimanale britannico “The Spectator” disse: “Mussolini non uccise nessuno, Mussolini mandava la gente in vacanza all’estero”.
Del resto per Berlusconi il revisionismo storico non è mai stato un problema.
Qualche anno addietro in un convegno di Forza Italia sulle pensioni, alla vigilia del suo 83esimo compleanno, con la sua solita spocchia si vantava di aver raccolto attorno a sé il centrodestra: “Lega e fascisti li abbiamo fatti entrare noi al governo, li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi. Siamo ancora nel centrodestra, di cui siamo il cuore, il cervello e la spina dorsale. Siamo obbligati a stare nel centrodestra, se loro non avessero noi in coalizione non sarebbero centrodestra, sarebbero una destra estremista, non avrebbero la capacità di vincere e sicuramente sarebbero incapaci di governare”.
Chissà se Matteo Salvini e Giorgia Meloni, quando si recheranno ad Arcore per fare il punto della situazione in settimana, ricorderanno queste parole.
Ma veniamo ai giorni nostri. Perché negli ultimi due mesi la supponenza del Caimano (così lo aveva identificato Nanni Moretti in un suo celebre film) si è fatta sempre più evidente.
E pur di raggiungere il Colle ha messo in campo strategie subdole. Basti pensare alle decine e decine di quadri donati a deputati e senatori. Pezzi meno pregiati di quella sua collezione che, si dice, arriverebbe a 30mila dipinti. Omaggi che, a quanto è dato sapere, sarebbero giunti anche ai “nemici” pentastellati. Luigi Di Maio compreso.
Berlusconi, come nel 1994, è sceso in campo in prima persona chiamando uno ad uno i parlamentari, avversari e non, nel tentativo di convincerli a votare per lui.
Come al mercato. Ma la “mossa” più grave è andata in scena quando è stata fatta trapelare una voce dalle sponde di Forza Italia: “Se Draghi va al Quirinale, noi usciamo dal governo e si vota”.
Ecco il ricatto politico. Quello che, come ricorda Marco Travaglio oggi nell’editoriale su Il Fatto Quotidiano, ha sempre messo in atto per convincere alleati ed oppositori per farsi votare le sue leggi ad personam.
Anche così si genera il terrore del voto anticipato che per i grandi elettori si traduce nel timore di non raggiungere l’agognata pensione.
Ed ecco che l’eventuale promessa di un “futuro” politico, in questa o nella prossima legislatura, diventa una manna.
La ministra della Giustizia, Marta Cartabia e il presidente del Consiglio, Mario Draghi © Imagoeconomica
Mancanza di alternative?
Il centrodestra si riunirà, come tutti i partiti, per fare la conta e definire, una volta per tutte, se ci sono i numeri per completare l’operazione “B. al Colle”. Matteo Renzi per il momento sta a guardare, ma le interlocuzioni avute con Gianfranco Micciché e Marcello Dell’Utri per generare un asse tra Italia Viva e Forza Italia in Sicilia fanno intravedere quella che potrebbe essere la scelta dei suoi.
Ma Renzi è così trasformista che potrebbe anche sorprendere, appoggiando la candidatura di Mario Draghi per il Colle.
Anche questa un’ipotesi sciagurata per tutto ciò che l’ex Presidente della Bce ha rappresentato e rappresenta, con la sua vicinanza alle grandi lobby finanziarie ed economiche del Paese, con ruolo chiave nella svendita del nostro patrimonio nazionale. Per il momento il Presidente del Consigilio si nasconde, rifiuta di rispondere a domande sull’argomento nella speranza che siano gli stessi partiti a chiedere il suo intervento salvifico.
In tutto questo marasma il centrosinistra tace. E già si vocifera che nelle prime tre chiamate per il Colle, quelle che per eleggere il Capo dello Stato prevedono la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto, potrebbero votare scheda bianca.
Nessun nome da indicare come contraltare ai candidati fin qui nominati.
L’unica idea che sta prendendo forma nelle ultime ore è quella di fare “pressing” sul Presidente uscente, Sergio Mattarella. Nonostante il suo “saluto” ufficiale nel discorso di fine anno, Pd e Cinque Stelle hanno lanciato un appello per indurlo a rimanere in regime di prorogatio, verosimilmente fino alla conclusione della legislatura. Un altro nome, gettato nella mischia nel mese di dicembre, è quello di Giuliano Amato, ma anche in questo caso parliamo di una persona che è stata braccio destro di Bettino Craxi, che si prodigò per le prime leggi ad personam per le televisioni di Berlusconi nell’’83-’84. Sarebbe il simbolo di un ritorno definitivo alla Restaurazione.
E certamente non sarebbe meglio il nome di Marta Cartabia, ipotizzato con sempre più forza anche come eventuale Premier nel caso in cui Draghi passasse al Quirinale.
Il suo nome è quello più gettonato quando, in maniera generica, si parla di “una donna” per il Quirinale.
Lei, che ha appena sviluppato una delle peggiori riforme della Giustizia di sempre, si ritroverebbe ad essere anche a capo del Consiglio superiore della magistratura. In questa prospettiva avere lei come Capo dello Stato, o Berlusconi, sarebbe come passare dalla padella alla brace.
La scrittrice Anna Vinci, biografa di Tina Anselmi, aveva evidenziato la sciatteria politica e peggio ancora mentale che si nasconde dietro la terminologia “una donna”, “come se fosse necessaria la nomina di una Presidente donna, solo in base al genere. Tralasciando ogni tipo di valore”.
Siamo nel 2022 e sono tornati i tempi di un fascismo becero, silenzioso, strisciante. Tra i nostri governanti è sempre più palese il deterioramento del senso civico, vi è una decadenza dei costumi, e si assiste sempre più spesso alla corruzione degli apparati pubblici e giudiziari.
Ecco, forse sarebbe ora che la nomina del Capo dello Stato passi da una scelta etica e morale, nel pieno rispetto del ruolo di rappresentante dell’unità nazionale; garante dell’indipendenza e dell’integrità della nazione, e garante del rispetto della Costituzione. Ci vorrebbe una Tina Anselmi, un Gino Strada, se fossero ancora in vita.
Donne e uomini capaci anche di fare scelte Costituzionalmente Partigiane.
Tutto il resto è Indegnità Quirinale.
Foto di copertina: rielaborazione grafica by Paolo Bassani
Tratto da: Antimafiaduemila