Il paradosso della produttività

Il paradosso della produttività

Spread the love
Tempo di lettura: 7 min

DI FABIO CONDITI

comedonchisciotte.org

Il paradosso è che l’aumento della produttività distrugge la produzione.

Come illustra bene Fabio Di Lenola, del CSEPI (Centro Studi Economici per il Pieno Impiego) in questo articolo per CDC dal titolo “Il mito della produttività” https://comedonchisciotte.org/il-mito-della-produttivita/, l’aumento della produttività è un mito del neoliberismo, perché si accompagna all’idea che in un regime di libero mercato, abbassando i prezzi dei beni e servizi prodotti, si possa aumentare la capacità del sistema economico di soddisfare i bisogni individuali e collettivi.

Vedremo invece che aumentando la produttività, si sta generando il paradosso che si riduce la capacità del sistema economico di soddisfare i bisogni individuali e collettivi.

Il paradosso della produttività

Semplificando, la produttività, può essere considerata come il rapporto tra i prodotti realizzati (o i servizi erogati), e gli occupati totali (o meglio le ore totali lavorate). In pratica la produttività è la quantità di beni e servizi generata da un’ora di lavoro umano: aumento di produttività significa maggiore produzione di beni e servizi a parità di ore lavorate, oppure minore impiego di ore lavorate a parità di beni e servizi prodotti.

L’aumento della produttività è legato all’aumento esponenziale del grado di automatizzazione ed informatizzazione del processo produttivo, per cui quello che sta accadendo è che riusciamo a produrre molti più beni e servizi, ma con sempre meno occupati (o meglio con sempre meno ore lavorate).

Segui Vivere Informati anche su Facebook, Twitter e Instagram per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie dall’Italia e dal mondo

Proviamo allora ad immaginare dove ci potrà portare nel futuro prossimo venturo, questa tendenza all’automatizzazione ed informatizzazione dei processi produttivi, perché attraverso l’impiego massiccio di robot e di intelligenza artificiale, saremo capaci di produrre i beni ed i servizi di cui abbiamo bisogno con un minor numero di ore lavorate.

Ma se questo si realizza riducendo gli occupati, chi potrà acquistare i beni e servizi prodotti?

Il paradosso è che l’aumento della produttività dovrebbe generare un aumento della produzione di beni e servizi, ma se questo risultato viene ottenuto con la riduzione di salari e di occupati, genero anche una riduzione della domanda interna perché le persone hanno una minore capacità di spesa complessiva.

In pratica viene “aumentata la produttività”, ma contemporaneamente viene anche “ridotta la capacità di acquisto” di ciò che produco. Viviamo in un paradosso, dove i prezzi tendono a calare perché non c’è domanda interna sufficiente per acquistare tutti i beni e servizi che siamo in grado di produrre.

Questo è il motivo per cui rischiamo di distruggere il nostro tessuto produttivo.

In Italia oggi abbiamo una disoccupazione pari al 10% e una capacità produttiva inutilizzata pari al 30%, siamo come una Ferrari costretta ad andare piano perché gli manca il carburante, cioè il denaro. Anzi in questo momento addirittura stiamo spingendo la Ferrari a mano perché il carburante non lo possiamo utilizzare.

Ci stiamo dimenticando che l’obiettivo dell’economia è “l’organizzazione dell’utilizzo di risorse scarse (umane e materiali limitate o finite), quando attuata al fine di soddisfare al meglio bisogni individuali o collettivi”.

Quindi se vogliamo risolvere il paradosso, non basta aumentare la nostra capacità di produrre beni e servizi, necessari a soddisfare i bisogni individuali e collettivi delle persone, ma bisogna al contempo aumentare corrispondentemente la capacità di spesa delle persone, altrimenti la maggior parte di esse non riuscirà ad acquistare i beni e servizi di cui ha bisogno.

La riduzione dell’orario di lavoro

La soluzione è semplice e come abbiamo spiegato più volte non è neanche originale, perché ipotizzata e realizzata molte volte prima di noi, si chiama riduzione dell’orario di lavoro e si conosce da più di un secolo:

  • Henry Ford nel gennaio 1914, applicò ai dipendenti della sua fabbrica di automobili negli Stati Uniti, la riduzione del turno di lavoro giornaliero da 9 a 8 ore e l’aumento del salario giornaliero da 3 a 5 dollari. “Ci siamo risolti a pagare salari più alti per creare fondamenta solide su cui costruire l’azienda. Cinque dollari per una giornata lavorativa di otto ore è stata una delle più efficaci strategie di riduzione dei costi che abbiamo mai messo in atto“;
  • John Maynard Keynes sosteneva nel 1930 che nell’arco di cento anni la ricchezza disponibile sarebbe quadruplicata e allo stesso tempo la settimana lavorativa si sarebbe progressivamente ridotta fino ad arrivare a 15 ore, consentendo così alle persone di avere tempo per le passioni, il tempo libero e la salute.

La riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, sembrerebbe una soluzione banale, ma quando la proponi ad un neoliberista convinto … apriti cielo, è come parlare di sesso con un puritano.

Proviamo ad affrontare il problema seriamente, analizzando questa ipotesi non solo da un punto di vista ristretto dell’imprenditore, ma allargando la visione a tutta la società nel suo complesso.

Una Repubblica fondata sul lavoro

L’articolo 1 della nostra Costituzione ci dà qualche indicazione sul fatto che l’obiettivo è il lavoro e non il profitto, ma quando arriviamo agli articoli 3 e 4 capiamo anche perché:

  • articolo 3 – “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”;
  • articolo 4 – “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Quindi la piena occupazione è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, che come ha affermato la Corte Costituzionale in varie occasioni: “Le norme dell’Unione europea vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite dell’intangibilità dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti dalla Costituzione” (Sentenza n.86 del 2012).

Ma non è solo un problema di rispetto dei principi costituzionali, è anche l’unica soluzione al paradosso di cui abbiamo parlato, perché aumenta la produttività, salvaguardando la domanda interna, cioè la capacità delle persone di acquistare i beni e servizi prodotti.

Costi per disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata

Partiamo da un presupposto che molti dimenticano o fanno finta di dimenticare, avere in Italia oggi una disoccupazione del 10% e una capacità produttiva inutilizzata del 30% ha come conseguenza una serie di costi enormi per la nostra società:

  • costi diretti per lo Stato, perché deve finanziare ammortizzatori sociali e/o elargire redditi di cittadinanza o similari, che hanno un costo elevato, perché a fondo perduto e senza alcun ritorno in termini di produzione di beni e servizi;
  • costi indiretto per lo Stato, perché aumenta il costo per le cure sanitarie (le persone disoccupate si ammalano di più), per il mantenimento dell’ordine pubblico (aumento della delinquenza), per il sostegno alle imprese (che non riuscendo a vendere i prodotti che producono vanno in crisi), per il sostegno alle banche (la crisi impedisce la restituzione dei prestiti erogati e quindi lo Stato deve intervenire a salvarle);
  • costi sociali dovuti all’aumento esponenziale delle disuguaglianze e della disoccupazione, che produce un peggioramento della vita dei cittadini ma anche la distruzione del nostro tessuto produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese;
  • costi ambientali, perché per rimanere competitivi in un sistema economico che riduce sempre di più la capacità di spesa delle persone, la qualità dei prodotti passa in secondo piano e la produzione non può preoccuparsi di essere sostenibile da un punto di vista ambientale;
  • costi finanziari sistemici a medio lungo termine, perché la recessione espone il sistema Italia ad una colonizzazione finanziaria da parte di soggetti “stranieri” (multinazionali, grandi banche, corporation, istituzioni finanziarie, fondi d’investimento, ecc…), che hanno la possibilità di acquistare pezzi strategici della nostra economia a prezzi di saldo.

Vantaggi della riduzione dell’orario di lavoro

Proviamo ora ad analizzare e senza pregiudizi neoliberisti, quali potrebbero essere le conseguenze di una riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio.

Facciamo anche una ipotesi concreta, visto che la disoccupazione in Italia è pari al 10% e l’orario di lavoro è fissato a 40 ore settimanali, facciamo l’ipotesi di ridurlo del 10% portandolo a 36 ore settimanali. In questo modo potremmo teoricamente arrivare alla piena occupazione, perché le ore lavorate complessive sarebbero invariate. Supponiamo che il maggior costo dei dipendenti (ne devo assumere un 10% in più per avere le stesse ore lavorate) sia tutto a carico dello Stato, il quale riducendo i contributi e le imposte sul reddito da lavoro dipendente, può fare in modo che il costo dell’impresa rimanga invariato.

Ci sarà per lo Stato un minore gettito fiscale, che verrà compensato dalla riduzione dei costi che prima abbiamo elencato :

  • lo Stato risparmia i costi diretti per finanziare ammortizzatori sociali e/o elargire redditi di cittadinanza o similari;
  • lo Stato risparmia i costi indiretti per l’aumento del costo per le cure sanitarie, per l’aumento della delinquenza, per il sostegno alle imprese e per il sostegno alle banche;
  • si riducono i costi sociali dovuti all’aumento esponenziale delle disuguaglianze e della disoccupazione, con notevole miglioramento della vita dei cittadini e la salvaguardia delle nostre piccole e medie imprese;
  • si riducono i costi ambientali, perché l’aumento della capacità di spesa delle persone, genera anche una maggiore richiesta di qualità dei prodotti e della loro sostenibilità ambientale;
  • si evita di esporre il nostro sistema Italia alla colonizzazione finanziaria da parte di soggetti “stranieri”, impedendo la svendita delle nostre aziende strategiche.

Ma ci sono anche vantaggi per le imprese, perché una riduzione dell’orario di lavoro aumenta la produttività del lavoratore, perché gli permette di mantenere una maggiore concentrazione e di ridurre lo stress da lavoro.

Importanza delle politiche espansive

Inoltre c’è un altro aspetto, non meno importante da considerare.

La riduzione dell’orario di lavoro permette alle persone di dedicarsi maggiormente ad altre attività perché hanno più tempo a loro disposizione, per cui è anche facilmente prevedibile un aumento della richiesta di beni e soprattutto di servizi, con conseguente aumento della necessità di nuove attività e di nuovi occupati.

Quindi in generale una misura di questo tipo deve essere anche accompagnata da politiche espansive che immettano maggiore denaro all’interno dell’economia, favorendo appunto la crescita economica soprattutto nel settore dei servizi, quelli legati alla persona, alla cultura ed al turismo.

In un mondo dove abbiamo più tempo a nostra disposizione, una volta che abbiamo soddisfatto i bisogni essenziali, è naturale desiderare il soddisfacimento di altri meno essenziali ma non meno importanti per migliorare la qualità della nostra vita.

Lo Stato dovrà quindi aumentare gli investimenti nel campo dei servizi, con politiche espansive che dovranno avere come obiettivo principale, definito ormai da qualche anno, all’interno delle politiche economiche del Governo, un aumento consistente del BES, cioè di un benessere equo e sostenibile per tutti.

Il risultato è un circolo virtuoso nel quale la richiesta di soddisfare nuovi bisogni individuali e collettivi, accompagnato da un aumento della quantità di denaro in circolazione nell’economia reale, produce una crescita economica equilibrata e sostenibile, permette di raggiungere la piena occupazione ed il  progresso sociale, come impone non solo la nostra Costituzione, ma anche l’art.3 del Trattato sull’Unione Europea.

Pensi che alle tue amiche e ai tuoi amici possa interessare questo articolo? Condividilo!

Conclusioni

Abbiamo ancora 10 anni per vedere realizzate le previsioni di John Maynard Keynes sulla settimana di lavoro da 15 ore, ma nonostante negli ultimi decenni siamo andati “fuori rotta”, credo ce la possiamo ancora fare.

Dobbiamo solo liberarci dei paradigmi neoliberisti che fino ad oggi ci hanno convinto che le politiche di austerity, la produttività ed il profitto a tutti i costi, fossero la soluzione alla crisi economica sistemica che abbiamo da anni.

Invece erano la causa.

Perché LORO non molleranno facilmente, ma NOI NON MOLLEREMO MAI.

Fabio Conditi – Presidente dell’associazione Moneta Positiva

Economia Italia