Il Garante bacchetta l’INPS
Ottime notizie per gli onorevoli e per i consiglieri regionali che hanno fatto richiesta del bonus Covid (circa 600 euro). Il Garante per la protezione della privacy ha sanzionato l’INPS con una multa da 300mila euro per aver “violato i principi di liceità, correttezza e trasparenza stabiliti dal Regolamento UE in materia di protezione dei dati personali”.
Inoltre, il Garante ha deciso che l’INPS dovrà provvedere a cancellare le informazioni personali dei soggetti interessati non necessarie finora trattate. Le personalità coinvolte sono i leghisti Elena Murelli e Andrea Dara, l’ex M5S Marco Rizzone e numerosi consiglieri regionali.
Certamente la legge sulla privacy non vieta all’INPS di rendere noti i nomi di quanti hanno chiesto i 600 euro destinati alle partite Iva, ma secondo il Garante l’ente sociale avrebbe raccolto in maniera illegittima i dati personali dei richiedenti.
Come si legge su un articolo del Fatto Quotidiano, con questo provvedimento si può dire “addio alla trasparenza sui tre onorevoli e su chissà quanti consiglieri regionali”.
Nella sentenza sanzionatoria, infatti, c’è scritto che l’INPS ha effettuato controlli incrociati fra i dati di coloro che avevano richiesto il bonus e chi era in funzione di un incarico politico “ben prima di aver definitivamente determinato se, in base al complesso quadro normativo (…), gli incarichi di parlamentare e di amministratore regionale o locale costituissero una condizione ostativa alla spettanza del bonus Covid”. In altre parole, l’Istituto avrebbe effettuato i controlli prima di aver valutato se gli incarichi istituzionali costituissero un ostacolo alla richiesta e all’eventuale riscossione del bonus.
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Oltretutto – sempre secondo quanto evidenziato dal Garante – l’Istituto “non ha rispettato neppure il principio di minimizzazione dei dati”, avendo eseguito controlli finalizzati al recupero dei soldi su “tutti coloro che hanno richiesto il bonus Covid, compresi quelli” le cui domande “già in sede di controllo di primo livello erano state esaminate e rigettate”. Infine, l’ente è stato imputato di aver sottovalutato “i rischi collegati a un trattamento di dati così delicato”, non effettuando “la valutazione di impatto sui diritti e le libertà degli interessati”. A questo punto è necessario fare un passo indietro nella narrazione per spiegare gli antefatti della vicenda.
Il tutto è nato durante la primavera 2020 quando il Covid cominciò ad intaccare il delicato sistema economico del nostro Paese, nonché del mondo. L’INPS dovette elaborare milioni di pratiche legate agli effetti del primo lockdown: tra queste anche quelle del bonus da 600 euro al mese per le partite Iva.
Ma il quotidiano La Repubblica, nell’agosto dello stesso anno, scoprì che tra i richiedenti ci furono anche 5 parlamentari e molti consiglieri regionali, i quali si mossero per ottenere il bonus nonostante il già abbondante stipendio (10.000 euro lordi) tra l’altro mai calato, anche in periodo di chiusura totale.
La politica, pervasa da un sacro furore, chiese a gran voce i nomi dei responsabili finché si scopri l’identità di tre deputati, i leghisti Elena Murelli e Andrea Dara e l’ex pentastellato Marco Rizzone, (oltre a qualche consigliere regionale che decise di auto-denunciarsi).
Il punto caldo di tutta la vicenda fu il Referendum Costituzionale per decidere il taglio del numero dei Parlamentari che si sarebbe tenuto il 20 e 21 settembre 2020. Secondo il Garante, infatti, le operazioni dell’INPS sarebbero state “rischiose” poiché “considerato l’impatto mediatico derivante dalla divulgazione, a mezzo stampa, di indiscrezioni sull’esito dei controlli effettuati dall’Istituto, in prossimità della celebrazione, del referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari”. In poche parole, le operazioni di trasparenza svolte dall’INPS avrebbero orientato l’opinione pubblica a favore del “Sì”.
Per questo motivo il Garante ha stabilito che i controlli svolti dall‘INPS fossero “riconducibili a compiti di interesse pubblico rilevante” e quindi sanzionabili.
L’istituto, dal canto suo, ha cercato di difendersi assicurando di non aver mai utilizzato “dati sensibili non visibili al pubblico” e segnalando che “l’applicazione delle richieste del garante” possa creare “molte incertezze nel funzionamento dell’amministrazione e dell’anti-frode”. Anche il presidente dell’INPS Pasquale Tridico (anche lui sottoposto all’inchiesta del Garante) si è espresso spiegando come l’antifrode dell’ente abbia già svolto milioni di controlli, spesso a posteriori rispetto a una erogazione dei soldi.
Per ora la sentenza resta, ma l’Istituto ha già fatto sapere che ricorrerà all’Appello.
Infine, la politica dopo le flagellazioni, i mea culpa e i rosari, non ha compiuto nulla di nuovo.
All’inizio Matteo Salvini (noto cristiano) promise di sospendere e non ricandidare i suoi fratelli peccatori, Elena Murelli e Andrea Dara, Nicola Zingaretti si strappò le vesti definendo la vicenda “una vergogna” e Luigi di Maio un caso “indecente”. Il Movimento cacciò dalla porta Marco Rizzone, che rientrò prontamente della finestra trovandosi un posto nel Centro Democratico. Mentre i due fratelli Leghisti vennero riabilitati e, con loro, numerosi consiglieri regionali: primo fra tutti il veneto Riccardo Barbisan, spedito a Bruxelles come assistente di un eurodeputato.
A nulla, quindi, è servita la tirata di orecchie del deputato pentastellato Francesco Silvestri: “Prendiamo atto della decisione del Garante. Ma non cancella il disgusto nei confronti di chi ha approfittato di una misura destinata agli italiani in difficoltà. Noi abbiamo immediatamente espulso Rizzone, altri hanno fatto diversamente: la Lega in qualche caso li ha pure promossi sul campo”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, Antimafiaduemila
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