Di Luca Grossi
Unità di Informazione Finanziaria (Uif): sistema di antiriciclaggio molto lacunoso e limitato
C’è il rischio concreto che le mafie potrebbero riuscire a mettere le mani su una parte consistente dei 235,12 miliardi di euro destinati al Pnrr, Piano Nazionale di ripresa e resilienza. In un clima di generale malcontento originato dalle conseguenze socioeconomiche portate dalla pandemia Covid – 19 le mafie si stanno muovendo, nello specifico, per cercare di inquinare i procedimenti di autorizzazione e concessione degli appalti o di erogazioni finanziarie. L’Unità di Informazione Finanziaria (Uif), come riporta ‘il Sole 24 Ore’ in un articolo a firma di Ivan Cimmarusti, nel suo rapporto ha evidenziato che in Italia circa 150 mila imprese sono sospettate di avere “connessioni a contesti di criminalità organizzata” e, sempre secondo il rapporto dell’Uif, “l’avviso della fase operativa del Pnrr rende ancor più necessario che le Pa (Pubbliche Amministrazioni) accrescano la loro sensibilità per evitare che le risorse pubbliche vengano di fatto sottratte alla loro destinazione e che l’intervento di supporto rappresenti l’occasione per un rafforzamento delle mafie” all’interno dei circuiti economici.
Questo concetto è rafforzato ulteriormente dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli in un’intervista pubblicata su ‘la Repubblica’ a firma di Luca Serranò: “In un Paese come il nostro nel quale la pandemia fa crescere la paura e la ripresa economica è timida, l’azione invisibile della criminalità, soprattutto mafiosa, trova linfa vitale. Ed è pronta a drenare le risorse che il Piano nazionale di ripresa e resilienza porterà con sé. Per questo è fondamentale alzare l’attenzione investigativa, in modo da intercettare il prima possibile gli investimenti illeciti e affermare la presenza dello Stato”. L’allarme lanciato dal magistrato fiorentino (e non solo) non sembra essere stato raccolto dai vari enti preposti al controllo della gestione delle risorse del Pnrr.
L’Uif, infatti, ha portato alla luce la mancanza di un sistema di prevenzione antiriciclaggio proprio nel punto più debole del Progetto governativo, gli enti locali: Regioni, Provincie e Comuni. I numeri non lasciano scampo. In dieci anni le varie Pubbliche Amministrazioni hanno istituito solamente 151 uffici addetti alla segnalazione di presunti casi di riciclaggio di denaro sporco. Inoltre sette regioni (Basilicata, Calabria, Liguria, Marche, Sardegna, Sicilia e Umbria) non hanno mai mandato nemmeno una segnalazione tra il 2011 e il 30 novembre 2021 mentre nella Valle D’Aosta e il Molise tali uffici non stati neanche istituiti. Eppure non sono stati pochi i danni finanziari dedotti dai procedimenti giudiziari. Tra il 2018 e l’estate del 2021 la Guardia di finanza e le procure regionali della Corte dei Conti hanno contestato 15,6 miliardi di danni erariali imputabili a 19.417 persone, tra i quali alcuni dipendenti della stessa Pubblica Amministrazione e imprenditori compiacenti.
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“‘Ndrangheta e camorra, ma anche la criminalità cinese” si piazzano sul podio delle mafie più presunti sul territorio toscano ha detto il magistrato, ribadendo che “gli affari sono molto variegati, e i settori più ambiti il traffico di rifiuti, i contratti pubblici, il commercio, le costruzioni e i servizi, il manifatturiero del tessile e della lavorazione delle pelli. Il traffico di droga, poi, che ha uno snodo importante nel porto di Livorno. Basti pensare al sequestro del 27 febbraio 2020 di circa tre tonnellate di cocaina, proveniente dalla Colombia”. A fronte di queste operazioni illecite la misura di prevenzione patrimoniale rimane uno strumento assai efficace. Tescaroli ha infatti ricordato che tali misure “vengono definite in modo più veloce rispetto al processo penale, con i vantaggi che ne conseguono. Il nuovo codice antimafia, inoltre, ha previsto la priorità assoluta nella trattazione dei procedimenti di prevenzione patrimoniale”. Ed è grazie a questi provvedimenti che è stata portata alla luce una parte dell’imprenditoria predatoria in Toscana, Regione nella quale, purtroppo, risultano operativi 19 uffici di controllo a fronte di un magro bilancio di segnalazioni, tre in dieci anni.
Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, ha detto che il numero delle misure di prevenzione richieste in Toscana, e il valore equivalente dei beni sequestrati, a carico di imprenditori considerati contigui alla mafia “dimostrano l’interesse economico di professionisti e di imprenditori toscani nel legarsi a sodalizi mafiosi, dall’altro il crescente impegno dello Stato. La Procura di Firenze, tramite l’ufficio misure di prevenzione e contrasto ai patrimoni illeciti, ha aumentato in modo significativo i procedimenti”.
Questa analisi si accorpa perfettamente con quella del procuratore generale di Firenze Marcello Viola presentata durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Le numerose indagini – ha ricordato Viola – hanno delineato un quadro simile a quello degli anni precedenti, laddove l’attività delle mafie e delle altre organizzazioni criminali è continuata senza sosta nel territorio della Toscana, confermando l’esistenza di meccanismi di infiltrazione nel tessuto economico della regione, sviluppatisi a tal punto da indurre a doversi chiedere se, in tempi di pandemia, pur nella perdurante assenza di insediamenti tipici delle mafie tradizionali, abbia ancora senso parlare di semplici infiltrazioni o debba invece ritenersi di essere di fronte a una presenza ormai strutturata, stabile e consolidata”.
“Firenze non è Palermo, Caltanissetta o Reggio Calabria” – ha detto Tescaroli – “ma il procuratore generale ha fotografato la situazione sulla base di dati oggettivi.
L’infiltrazione mafiosa esiste, è un pericolo per la collettività, la libera concorrenza e settori della pubblica amministrazione, inquina il mercato e il sistema economico, mina la fiducia nei confronti dello Stato. Occorre esserne consapevoli, dalle istituzioni ai cittadini. Che se ne parli pubblicamente, perché questi gruppi, i loro garanti e chi trae vantaggio dalla contiguità mafiosa, prediligono il silenzio”. Infatti, ha detto il magistrato fiorentino, “Sono emersi numerosi contatti tra imprenditori e professionisti ed esponenti della ‘Ndrangheta, della camorra e di Cosa nostra.
Contatti che si sono tradotti in episodi di corruzione, coinvolgendo uomini della pubblica amministrazione, e in reati tributari, in alcuni casi commessi per agevolare direttamente i consorzi mafiosi. Non solo, sono stati anche individuati soggetti organici alle associazioni, destinatari di sequestri di prevenzione per valori significativi”.
Uno degli aspetti più importanti infine è la gestione dei beni confiscati. Su questo punto il procuratore di Firenze ha detto che “voglio intanto ricordare l’importanza della legge del 7 marzo 1996, varata grazie all’iniziativa di Libera, che ha previsto la destinazione sociale dei beni confiscati.
Personalmente mi piacerebbe che quei beni venissero destinati alle esigenze delle persone fragili. Anziani, donne che hanno subito violenze, emarginati e ultimi nella società”.
Tratto da: Antimafiaduemila
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