Il documento redatto da Marcos Orellana accusa la Regione Veneto di non aver effettuato screening sulla popolazione di tutte le località dove è stata o viene ancora oggi attinta acqua dalla falda contenente le sostanze perfluoroalchiliche. Inoltre i cittadini non avrebbero ricevuto informazioni adeguate per evitare l’utilizzo dell’acqua contaminata
Il resoconto ricorda come ad accorgersi della gravità della situazione fu il Consiglio Nazionale delle Ricerche che informò le autorità sanitarie. Poi la Regione Veneto intraprese una serie di azioni, ad esempio l’utilizzo di filtri per purificare gli scarichi e l’acqua da bere, e segnalò l’inquinamento alla Procura che ha poi avviato l’inchiesta da cui è scaturito il processo che si sta celebrando a Vicenza ai manager che si sono susseguiti alla guida della Miteni.
“Nonostante siano state prese queste misure – continua il rapporto – le autorità hanno dimenticato di informare i residenti delle aree interessate dell’inquinamento in corso e dei rischi per la salute”. È vero che la Regione ha avviato un piano di sorveglianza sulla salute della popolazione, “ma solo nella zona rossa e quindi non tutti i cittadini esposti ai Pfas sono stati in grado di determinare la concentrazione delle sostanze nel loro sangue”. Le analisi hanno infatti riguardato i nati dal 1951 al 2014 nei 30 comuni della Zona Rossa, mentre “sono stati esclusi i residenti nelle zone limitrofe, Arancione e Gialla (rispettivamente 12 e 45 Comuni, ndr)”.
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Inoltre la Regione non ha ancora esteso le analisi ai prodotti alimentari provenienti dall’area interessata dopo il 2017. L’unica indagine, con dati allarmanti sulla presenza di Pfas in ortaggi, carne e latte, risale infatti a quell’anno.
L’Onu segnala come gli studi fatti eseguire da organizzazioni della società civile continuino a mostrare la presenza di Pfas nell’acqua da bere, inclusa quella delle scuole. Gli studi hanno stimato in oltre 800mila i cittadini che siano stati esposti e abbiano bevuto l’acqua nel tempo. La produzione e l’utilizzo dei Pfas non si è limitata alla Miteni, ma riguarda moltissime piccole e medie aziende del Veneto. L’inquinamento è riscontrabile, in misura diversa, in altre regioni italiane, a cominciare da quelle del bacino del Po. Infine in Piemonte l’attività della società Solvay a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, rischia di causare un disastro ambientale simile a quello scoperto dalle popolazioni del Veneto.
Cristina Guarda, consigliere regionale di Europa Verde, ha commentato la relazione:
“Ora la Giunta regionale farà ciò che ci nega da anni? Ovvero un’informazione libera e controlli sanitari per tutti gli esposti? La giunta Zaia continuerà a fare orecchie da mercante, anche di fronte all’Onu? In gioco c’è la prevenzione sanitaria specie di giovani donne, bambini e neonati!”. Continua la consigliera: “La responsabilità politica a livello regionale risiede nel mancato ascolto di chi da tempo denunciava morti o malattie sospette. Ora è necessario fare in modo che tutto questo non sia accaduto invano. Ho presentato una mozione per chiedere alla Giunta regionale di impegnarsi con urgenza. I diritti umani si rispettano garantendo la prevenzione sanitaria e non nascondendo dati o impedendo conoscenza e controlli”.
Il commento di Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace:
“La relazione dell’Onu certifica il fallimento delle autorità italiane, soprattutto regionali, nel tutelare la salute della popolazione e garantire il diritto a vivere in un ambiente pulito e non contaminato. Ancora oggi migliaia di persone continuano ad essere esposte ai Pfas e lottano quotidianamente per ottenere le informazioni e l’accesso agli screening sanitari. Tutto ciò è di una gravità inaudita”. Un riferimento all’attualità: “L’inerzia istituzionale è confermata anche nell’attuale campagna elettorale, in cui il tema Pfas è completamente assente, nonostante sia sempre più urgente che l’Italia adotti una legge che vieti definitivamente l’uso di queste sostanze”.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
Fonte foto: ilsestantenews
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