L’Indonesia ha annunciato lo stop alle esportazioni di olio di palma. Un problema che, associato alla carenza di olio di girasole dovuto al conflitto russo-ucraino, si ripercuoterà a livello globale e potrebbe far aumentare i prezzi di centinaia di prodotti di uso comune.
Di Francesca Biagioli
Il presidente indonesiano Joko Widodo ha annunciato che l’Indonesia sospenderà le esportazioni di olio di palma “fino a nuovo avviso”, nel tentativo di garantire le forniture locali.
La mossa dell’Indonesia, come ha dichiarato il presidente, è pensata per “garantire la disponibilità nazionale di olio da cucina” e contribuire a mantenerlo accessibile per la popolazione.
Una decisione che però è un problema non da poco per il resto del mondo. Tenete conto infatti che questo Paese del sud-est asiatico è il più grande produttore mondiale di olio di palma.
L’annuncio di venerdì ha già fatto salire i prezzi di questa materia prima. I futures sull’olio di palma grezzo in Malesia sono balzati di quasi il 7% ma si sono poi leggermente attenuati dopo l’annuncio che l’olio di palma grezzo sarà esentato dalle restrizioni. Dunque il blocco dell’export dall’Indonesia riguarderà esclusivamente il prodotto raffinato.
Si tratta dell’oleina di palma raffinata, sbiancata e deodorizzata (RBD), un prodotto più trasformato che rappresenta dal 40% al 50% delle esportazioni indonesiane, secondo gli analisti.
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La “tempesta perfetta” degli oli vegetali
Il divieto indonesiano arriva in un brutto momento per i consumatori globali. Già a marzo i prezzi alimentari mondiali sono balzati ai livelli più alti di sempre, ha affermato all’inizio di questo mese l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
Lo stop delle esportazioni di olio di palma dall’Indonesia non può che aggiungere benzina sul fuoco, considerando quanti prodotti richiedono per la loro realizzazione un olio vegetale come questo.
James Fry, presidente della società di consulenza sulle materie prime LMC International, ha definito questa situazione la “tempesta perfetta”. Un ulteriore aumento dei prezzi, infatti, sembra quasi fisiologico, considerando anche quanto le aziende siano già duramente provate dalla carenza di olio di girasole dovuta al conflitto russo-ucraino.
La carenza di semi di girasole, che arrivano principalmente dall’Ucraina, ha portato le aziende a cercare alternative da utilizzare nei propri prodotti e la scelta è ricaduta, come c’era da aspettarsi, principalmente sull’olio di palma. Ma ecco qui che si presenta un nuovo problema. Leggi anche: Così l’olio di palma sta per rientrare nei nostri cibi (ma non era mai davvero andato via)
Inoltre, anche altri oli alternativi come soia e canola non se la passano molto bene, dato che le forniture di Sud America e Canada sono minori a causa della siccità e della scarsità dei raccolti.
Come ha dichiarato Fry:
La decisione dell’Indonesia non riguarda solo la disponibilità di olio di palma, ma anche degli oli vegetali in tutto il mondo. Questo sta accadendo quando i tonnellaggi di esportazione di tutti gli altri principali oli sono sotto pressione: olio di soia a causa della siccità in Sud America; olio di colza a causa dei disastrosi raccolti di colza in Canada; e olio di girasole a causa della guerra.
Insomma, i prezzi di tutti gli oli vegetali sono destinati a salire. Le alternative sono sempre più scarse e costose.
Importatori come India, Bangladesh e Pakistan cercheranno di aumentare gli acquisti di olio di palma dalla Malesia, ma il secondo produttore mondiale di olio di palma non può colmare certo il divario creato dall’Indonesia.
Il piano B di sostituire l’olio di girasole con l’olio di palma potrebbe quindi fallire. La Coldiretti consiglia di approfittare della situazione per utilizzare prodotti locali e più salubri:
La decisione dell’Indonesia di vietare l’export di olio di palma deve essere l’occasione per accelerare la sua sostituzione con prodotti più salubri ed a minor impatto ambientale come il burro, l’olio di oliva o quello di nocciola utilizzato storicamente nelle prime creme spalmabili.
Cosa accadrà e di quanto aumenteranno i prezzi lo scopriremo, probabilmente a nostre spese, nei prossimi mesi.
Tratto da: GreenMe
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