Le microplastiche sono ormai ovunque, sia sulla terra che nel mare, ed è tristemente noto che riescono anche ad entrare nella catena alimentare, arrivando nei cibi che consumiamo ogni giorno. Un nuovo studio spiega nel dettaglio come, a partire da un ciuffo di lattuga
Di Francesca Biagioli
L’inquinamento da plastica è un problema molto diffuso e non si tratta solo della montagna di rifiuti presenti in tutto il mondo ma anche di quei piccolissimi ed invisibili pezzi, noti come microplastiche, che si trovano altrettanto numerosi nell’ambiente.
Diversi studi precedenti hanno individuato la presenza di microplastiche praticamente in ogni dove, ed è probabile che queste, a causa delle loro piccole dimensioni, riescano ad attraversare le barriere fisiologiche ed entrare negli organismi. Una recente ricerca di cui vi abbiamo parlato ha trovato microplastiche addirittura nei polmoni.
Nonostante siano molte le prove che tale presenza in piante, animali ed esseri umani sia potenzialmente tossica, la comprensione di come queste piccolissime particelle riescano ad entrare nella catena alimentare è ancora parecchio limitata.
Ad esempio, si sa poco delle microplastiche negli ecosistemi del suolo e di come queste vengano assorbite dalle piante e poi trasferite ad altri organismi. Un nuovo studio, condotto da un team di ricerca dell’University of Eastern Finland, ha voluto approfondire proprio questo aspetto, misurando l’assorbimento di nanoplastiche dal suolo da parte della lattuga, per poi vedere se queste vengono trasferite ad alcuni animali.
Si tratta di un passaggio fondamentale per rivelare se, e in che misura, le microplastiche possono contaminare le coltivazioni e di conseguenza arrivare nella catena alimentare.
Per valutare ciò, i ricercatori finlandesi hanno sviluppato una nuova tecnica per rilevare e misurare le microplastiche negli organismi e, in questo nuovo studio, l’hanno applicata a una catena alimentare modello composta da tre livelli:
- lattuga (come produttore primario)
- larve di mosca soldato nera (come consumatore primario)
- pesce insettivoro (come consumatore secondario)
Per lo studio sono stati utilizzati rifiuti di plastica molto comuni nell’ambiente, tra cui le nanoplastiche di polistirene (PS) e cloruro di polivinile (PVC).
Come spiegano i ricercatori:
Le piante di lattuga sono state esposte alle nanoplastiche per 14 giorni attraverso il suolo contaminato, dopodiché sono state raccolte e sono servite da nutrimento per gli insetti (larve di mosca soldato nera, utilizzate come fonte di proteine in molti paesi). Dopo cinque giorni di alimentazione con lattuga, gli insetti sono serviti poi a nutrire i pesci per altri cinque giorni.
Utilizzando la microscopia elettronica a scansione, i ricercatori hanno analizzato le piante, le larve e i pesci. Così si è potuto vedere che le nanoplastiche venivano assorbite dalle radici delle piante e si accumulavano nelle foglie. Poi le microplastiche venivano trasferite dalla lattuga contaminata agli insetti (sia PS che PVC erano presenti nella loro bocca e nell’intestino).
Anche nei pesci, che si erano nutriti degli insetti contaminati, sono state rilevate particelle nei tessuti delle branchie, del fegato e dell’intestino, nessuna particella è stata trovata invece nel tessuto cerebrale.
Così ha commentato il dottor Fazel Monikh, autore principale della ricerca:
I nostri risultati mostrano che la lattuga può assorbire le nanoplastiche dal suolo e trasferirle nella catena alimentare. Ciò indica che la presenza di minuscole particelle di plastica nel suolo potrebbe essere associata a un potenziale rischio per la salute degli erbivori e dell’uomo se si scoprisse che questi risultati sono generalizzabili ad altre piante e colture e alle impostazioni del campo. Tuttavia, sono ancora urgentemente necessarie ulteriori ricerche sull’argomento.
Fonte: University of Eastern Finland / Nano Today, GreenMe
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