Lotta alle mafie: non bastano le buone intenzioni, la situazione è drammatica

Lotta alle mafie: non bastano le buone intenzioni, la situazione è drammatica

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Piero Innocenti

Con una lettera a firma congiunta, pubblicata il 13 dicembre scorso sul Corriere della Sera, la ministra dell’interno Lamorgese ed i colleghi Di Maio degli Esteri e Bonafede della Giustizia, hanno ricordato il ventennale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (dicembre 2000, Palermo), ritenuta strumento efficace di cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia nella lotta al crimine internazionale.
Richiamati alcuni strumenti normativi introdotti con la citata Convenzione, i Ministri parlano di “un significativo innalzamento qualitativo” della risposta alle molteplici manifestazioni della criminalità organizzata con l’impegno che verrà preso, in occasione del XIV Congresso sulla prevenzione del crimine e la giustizia che si terrà a Kyoto (marzo 2021), di “un ulteriore rafforzamento della cooperazione nella lotta alla criminalità organizzata (..) un contrasto senza tregua alle mafie”, un fronte in cui “lo Stato italiano è in prima linea”.
Le buone intenzioni, come è capitato più volte di rilevare in passato, anche in questa circostanza ci sono tutte, ma non si possono dimenticare le recenti dichiarazioni del Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, secondo cui “la politica non ha mai considerata prioritaria la lotta alle mafie”. E Gratteri è un magistrato che di mafie, in particolare di quella calabrese, la più potente e pericolosa, è grande esperto, protagonista di numerose importanti inchieste giudiziarie di rilevanza nazionale e internazionale.
Ci si chiede, poi, come sia stato possibile, nonostante le asserite “pesanti sconfitte alle mafie”, la loro proliferazione e diffusione (in particolare la ‘ndrangheta) non solo su tutto il territorio nazionale, ma anche in almeno una trentina di Stati europei ed extraeuropei.
Imprese mafiose che, con i proventi stimati derivati dal commercio degli stupefacenti, dalla prostituzione e dal contrabbando di tabacchi lavorati, contribuiscono, sin dal settembre 2014 (con una sconcertante decisione dell’UE che lasciava questa possibilità ai singoli istituti di statistica), alla ricchezza nazionale.
Insomma, “la mafia (..) sarebbe una componente della ricchezza nazionale” come sottolineava nella sua relazione di oltre 500 pagine, di fine Legislatura (febbraio 2018) la Commissione Parlamentare antimafia, auspicando “una profonda riflessione da parte della politica su quella che è una “forma di legalizzazione statistica” dei proventi mafiosi”. Riflessione mai fatta, naturalmente, e così siamo al paradosso che ogni azione di contrasto al narcotraffico con il sequestro di droghe è, di fatto, come se fosse un atto contro l’economia nazionale.
Se, poi, si vuole vedere la realtà criminale mafiosa (anche di quella straniera) alla luce delle tante importanti indagini degli ultimi anni, si potrà rilevare come le battaglie vinte non hanno minimamente scosso le mafie – su tutte la ‘ndrangheta – e la grande criminalità, il loro profondo radicamento sui territori, la potenza finanziaria, la loro capacità di essere anti-Stato senza mettersi, però, in aperta competizione, ma infiltrandosi nei suoi apparati vitali.
Una realtà criminale molto triste, messa bene in evidenza anche dalle più recenti relazioni della DIA presentate al Parlamento, l’ultima delle quali proprio dalla Lamorgese, nel giugno scorso.
Lottare contro le mafie non vuol dire solo reprimere ma anche costruire una maggiore giustizia sociale e, soprattutto, bonificare la politica dalle mafie. E su questo punto sono troppi quelli che fanno ancora orecchie da mercante.

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Le mafie italiane sempre agguerrite


L’Italia è diventato il paese dove c’è ampio spazio di “manovra” per i criminali, per tutti, anche per quelli stranieri che da noi si sono trovati a proprio agio e con il passar degli anni hanno fatto strada e carriera riuscendo a metter su strutture delinquenziali che in diversi casi hanno assunto le caratteristiche di vere associazioni mafiose, con profitti anche notevoli. Un ottimo risultato verrebbe da dire se si parlasse di attività legali, in un “paese sempre più appetibile per i criminali” come ebbe a sottolineare nel 2018 la stessa Commissione Parlamentare antimafia nella sua corposa relazione di fine Legislatura.
Nel panorama nazionale della criminalità mafiosa la ’Ndrangheta è senza dubbio quella più poderosa e ramificata in tutto il paese (presente anche in una trentina di paesi europei ed extraeuropei), “silente” ma, come rileva la DIA nella sua ultima relazione del 2019, “molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale e sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga” (le spetta il primato nel narcotraffico internazionale come ha dichiarato lo stesso Ministro dell’Interno in sede di audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare antimafia il 30 ottobre 2019), quindi in costante ascesa per ricchezza e “prestigio”.
Nonostante importanti successi nell’azione di contrasto delle forze di polizia, della DIA e della magistratura degli ultimi anni, la mafia calabrese continua ad essere “l’organizzazione criminale più “referenziata” sul piano internazionale, in grado di instaurare interazioni e forme di collaborazione con interlocutori di qualsiasi tipo” e, l’aspetto forse più angosciante, è quella capacità adattiva che le ha consentito di relazionarsi “sia con esponenti politici, imprenditori o professionisti in grado di favorire la produttività dei propri business” come accertato in diverse indagini di polizia e in sede giudiziaria. Un radicamento sul territorio di appartenenti alla ‘ndrangheta insidioso e pericolosissimo che ha indotto il Procuratore Generale della Repubblica di Torino, in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario 2020, a sottolineare come, purtroppo, talvolta si sia rilevata “una certa “neutralità” del territorio e di sue componenti sociali, che hanno avuto nei confronti di questi personaggi un atteggiamento spesso ambiguo, altre volte di soggezione, altre volte, come le indagini hanno dimostrato, una accettazione ed una condivisione di fini e strumenti criminali”.
I mandamenti e le famiglie sono sempre l’ossatura di Cosa Nostra che si presenta “ancora oggi come un sistema criminale attento a tutte le opportunità di guadagno (..) da sempre strutturata secondo articolazioni gerarchiche” (rel. DIA, cit.) mentre nella provincia di Agrigento si è fatta strada la cosiddetta “stidda” originaria del comprensorio di Gela, che è pure attiva nel ragusano con il clan Dominante-Carbonaro. Nella Sicilia Orientale primeggiano sempre, spesso con minacce e metodi violenti, la famiglia Santapaola Ercolano (Catania), il gruppo criminale Lo Duca (a Messina), i clan Cappello e Cursoti (attivi in alcuni quartieri catanesi), la famiglia Rinzivillo di Caltanisetta. Un panorama criminale siciliano per nulla tranquillizzante.
In Campania tutte le attività illegali sono controllate dalle organizzazioni camorristiche dei Mazzarella, Licciardi, Contini (attivi a Napoli), dei Mallardo, Moccia, Nuvoletta, Polverino, Orlando (nella provincia), dei Casalesi (nel casertano). Ci sono, poi, aggregati delinquenziali di minore entità, costituiti per lo più da giovani, che la DIA indica come “realtà criminali subalterne alle grosse organizzazioni” e sono quelli ai quali attribuire buona parte delle azioni violente (c.d. stese) concretizzatesi in agguati, sparatorie e intimidazioni registrate negli ultimi tempi, in particolare nel capoluogo campano. Anche da queste parti, insomma, una situazione penosa nonostante una accentuata attività di repressione delle forze di polizia (almeno negli ultimi tempi).
Nella provincia di Foggia c’è una criminalità riconducibile sostanzialmente a tre organizzazioni – la cui mafiosità è stata riconosciuta anche da sentenze definitive – e cioè quella della “società foggiana” articolata in “batterie” ed operativa a Foggia e nei comuni del centro nord della provincia; quella di Cerignola dei Piarulli-Mastrangelo-Ferraro, a struttura verticistica ed articolata in “squadre” e quella dei Montanari egemone nel Gargano, di tipo federativo, facente capo alle famiglie Li Bergolis e Romeo-Ciavarella. Un quarto gruppo criminale – Bayan-Ricci-Papa-Cenicold – opera a Lucera con una propria autonomia operativa e organizzativa. Nella realtà criminale pugliese oltre alla mafia foggiana (la DIA ha sottolineato come nella provincia di Foggia, dove è presente con una sua articolazione, nel corso del 2019 e nel 2020, “il fenomeno mafioso ha manifestato le forme più acute di violenza e aggressività”), ci sono la criminalità barese e la Sacra Corona Unita, che operano nelle rispettive aree di origine ma con “una tendenza ad operare fuori regione, specie per il traffico di stupefacenti e per il riciclaggio di capitali” (rel. DIA, cit.). Così, a Bari e provincia oltre ai clan dominanti (Parisi-Palermiti, Capriati- Strisciuglio e Mercante-Diomede), si sono formati gruppi criminali di minore spessore abbastanza autonomi sul piano organizzativo nelle loro aree “ma controllati nei commerci illegali più remunerativi come quello degli stupefacenti” che può sempre rappresentare il motivo principale di contrasti tra criminali (rel. DIA, cit.).
Anche nella tranquilla, per lungo tempo, Basilicata, la criminalità lucana è “cresciuta” grazie alle fitte interazioni con la criminalità confinante pugliese (in particolare foggiana, andriese, barese, tarantina), campana e calabrese, in particolare nel traffico degli stupefacenti che rappresenta sempre la principale fonte di guadagno e con la novità di collegamenti anche con criminali stranieri, in particolare nigeriani (presenti ormai in gran parte delle regioni italiane) e gambiani. E, a testimoniare la gravità della situazione nella regione, le parole pronunciate dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Potenza all’ inaugurazione dell’anno giudiziario (1 febbraio 2020) quando ha sottolineato che “nessuna zona del Distretto è immune da associazioni criminali di tipo mafioso”. Ridimensionati anche dall’azione di contrasto delle forze di polizia alcuni clan storici come Scarcia, Mitidieri-Lopatriello, Schettino e Russo, stanno emergendo giovani leve criminali mentre sono sempre operativi il clan Martorano-Stefanutti, quello di Riviezzi nella zona di Pignola e Potenza, dei Zarra e Martucci a Rionero in Vulture e Venosa, del clan Cassotta contrapposto a quello Di Muro-Caprarella e dei gruppi indipendentisti Gaudiosi e Barbetta. Insomma, una situazione in evoluzione che richiede un innalzamento del livello di attenzione investigativa.
Qualche considerazione a parte va fatta per la Capitale che continua ad essere particolarmente attrattiva per il riciclaggio e il reinvestimento di capitali illeciti e dove è possibile, grazie alla alta densità abitativa, un buon livello di mimetizzazione criminale. Roma e provincia sono, dunque, “un unicum nel panorama nazionale, una sorta di “laboratorio criminale” nel quale le mafie tradizionali proiettate convivono e interagiscono con associazioni criminali autoctone, molte delle quali caratterizzate dall’utilizzo del metodo mafioso” (rel. DIA, cit.) come emerso anche in recentissime indagini coordinate dalla DDA di Roma.
Così, sono di casa nella Capitale e in provincia (per esempio a Pomezia, Anzio) da alcuni decenni, ndranghetisti affiliati alle ‘ndrine Tegano, De Stefano, Gallico, Molè, Piromalli, Pesce, Bellocco, Pelle-Vottari, Morabito, Scriva, Ligato e anche nella provincia di Latina oltre ai calabresi sono presenti elementi dei clan camorristici dei Casalesi, dei Bidognetti, dei Bardellino, dei Moccia, dei Mallardo, dei Senese, dei Giuliano, tutti con interessi che vanno dal settore degli stupefacenti alla gestione degli esercizi commerciali, al mercato immobiliare, ai servizi finanziari, agli appalti pubblici, allo smaltimento dei rifiuti ecc.. Sul territorio romano ci sono, inoltre, le cosiddette “mafie locali” o “piccole mafie” come le ha definite la Cassazione. Si tratta di gruppi criminali, ben evidenziati nel “V° Rapporto sulle mafie nel Lazio” del 2020 (a cura della Regione Lazio), dedite, per lo più, a estorsioni, usura, recupero crediti oltre che al narcotraffico. Incrostazioni criminali accumulatesi negli anni anche per le sottovalutazioni e le disattenzioni di quegli apparati della sicurezza che avrebbero dovuto controllare il territorio.

La progressiva crescita delle organizzazioni criminali straniere


Sulla criminalità organizzata albanese, già ventuno anni fa la DIA metteva in guardia annotando nel Progetto Shqiperia (dal nome originario dell’Albania), l’esigenza di analizzare, nel dettaglio “le caratteristiche peculiari di questa nuova mafia la cui aggressività suscita un sempre maggiore allarme sociale”. E le tante operazioni di polizia compiute nel tempo e, soprattutto in questi ultimi cinque anni, hanno confermato come erano azzeccati i timori che avanzavano gli analisti della DIA, non solo nel settore antidroga e in quello dello sfruttamento della prostituzione ma anche nei rati contro il patrimonio con condotte violente talvolta anche per risolvere problemi e controversie tra gruppi rivali.
“Caratteristiche tipiche della criminalità mafiosa” (come le affiliazioni al gruppo, la condivisione degli stessi codici di comportamento) annota la DIA nella relazione del 2019 anche se, ricorda, “la connotazione di mafiosità non è stata, ad oggi, sancita in alcuna sentenza”. E la stessa Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) sottolineava nella relazione del 2017 come la criminalità albanese fosse “interlocutrice privilegiata delle organizzazioni mafiose, essendo in grado di operare con schemi caratterizzati da elevata proiezione transnazionale, e con la garanzia costituita dall’organizzazione interna caratterizzata da vincoli associativi di tipo mafioso”. Mafia albanese che mantiene eccellenti rapporti con la criminalità organizzata pugliese nel traffico di stupefacenti provenienti dalla vicina Albania e dai Balcani.
La criminalità nigeriana nel nostro paese è andata sempre più diffondendosi e consolidandosi riuscendo ad associare alla gestione manageriale del traffico di stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione una dimensione strutturale tipicamente mafiosa (riconosciuta in sede giudiziaria con sentenze anche definitive) nella quale il potere di controllo sulla comunità di connazionali è favorito da vincoli tribali, da una radicata presenza sul territorio e da infiltrazioni nelle associazioni etniche sorte in diverse città italiane. Sono quattro le “confraternite” a connotazione mafiosa presenti in Italia: The Supreme Eiye Confraternity o semplicemente Eiye (presenti a Torino, Brescia, Verona, Padova, Napoli, Caserta, Roma Palermo e in Sardegna), i Black Axe (presenti soprattutto in Piemonte, Campania, Puglia, Palermo), i Maphite (presenti in ben dodici regioni con le “famiglie” attive in Toscana e Marche, a Roma, in Abruzzo, Campania e Calabria, Liguria, Lombardia, Sicilia e Sardegna), i Vikings (presenze più consistenti rilevate in Piemonte, Marche, Emilia Romagna, in particolare a Ferrara e Reggio Emilia, nella provincia di Bari, in Sicilia e Sardegna). I Maphite, inoltre, hanno proiezioni in diversi Stati europei oltre che in Canada, Regno Unito, Olanda, Germania, Malesia e Ghana. A queste associazioni criminali si affiancano gruppi cultisti minori come i Buccaneers, gli Aye ed altri. Una situazione generale della criminalità organizzata nel nostro paese inquietante dove la mafia nigeriana si è diffusa in tutto il territorio nazionale, fino in Sicilia trovando “un proprio spazio anche con il sostanziale placet di Cosa nostra” e riuscendo persino “a impressionare i mafiosi italiani” come ha sottolineato la DIA nella sua relazione del 2019.
Anche la criminalità cinese si è andata sempre più espandendo in Italia. La Corte di Cassazione, sin dal 2001, ha sancito la mafiosità di un’organizzazione cinese rilevando un modello di comportamento assimilabile a quello dei tipo mafioso e in questa direzione anche la recente sentenza del 16 marzo 2020 sempre della Cassazione che ha ribadito il principio della possibile sussistenza delle cosiddette “mafie non tradizionali” purché la specifica organizzazione criminale si sia manifestata in modo tale da esercitare in concreto la forza di intimidazione richiesta dalla norma incriminatrice e di essersene poi avvalsa. Le diverse operazioni di polizia effettuate negli ultimi due anni in Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e nel Lazio, regioni dove insistono le comunità cinesi più numerose, confermano come la criminalità cinese occupi nel nostro paese una posizione di rilevo tra quelle di matrice etnica.
Particolarmente attiva la criminalità romena nella tratta di donne da avviare alla prostituzione, nei furti nelle abitazioni e negli esercizi commerciali (in particolare nel nord Italia), nello sfruttamento della manodopera lavorativa (il c.d. caporalato) e, in misura minore, nello spaccio di stupefacenti. Anche per la criminalità romena si è annotata una evoluzione verso le tradizionali associazioni mafiose e, almeno in una circostanza, la Corte d’Appello di Torino, nel gennaio 2019, ha riconosciuto la connotazione tipica dell’agire mafioso alla organizzazione criminale denominata “Brigada” operativa in diverse attività illecite nel torinese.
Sulla presenza nel nostro paese della criminalità nord africana, una menzione particolare va riservata alle organizzazioni marocchine in grado di gestire l’intera filiera del narcotraffico, dalla acquisizione dello stupefacente (hashish) nelle zone di produzione nella regione del Rif, al trasporto e alla distribuzione all’ingrosso e al minuto. In Italia, i marocchini rappresentano il maggior numero degli stranieri denunciati per droga a livello nazionale; ben 2.669 nel 2019, il 19,38% sul totale (13.775) degli stranieri denunciati. E questo “primato” i marocchini lo detengono da anni come si rileva dalle relazioni annuali della DCSA. Contatti sono, poi, emersi anche con le mafie nostrane come nella operazione Carthago (settembre 2019), a Trento, conclusa con l’arresto di 36 persone, principalmente marocchini, che importavano ingenti quantitativi di hashish e di cocaina dalla Spagna e dal Marocco in collegamento con la “Nuova camorra organizzata” e con la “Quarta mafia foggiana”.
Ci sono, infine, bande e gruppi isolati (in gran parte composti da romeni, albanesi, georgiani, serbi, moldavi) che i sono specializzati nei furti e nelle rapine nelle abitazioni, negli assalti ai bancomat e ai portavalori e, in generale, in quelle attività criminali etichettate come “predatorie”. Sono reati che suscitano grande allarme sociale e che si verificano con una certa ripetitività in alcune aree del paese.
Insomma, dovrebbe essere chiaro a tutti che le organizzazioni criminali straniere stanno vivendo una fase di espansione geografica oltre che nelle varie attività delinquenziali.
Nessuna parte del territorio nazionale può essere più considerato immune dalla presenza della criminalità organizzata e mafiosa che, anzi, in molti casi pur “affollando” determinate zone, riesce a convivere spartendosi le aree e, comunque, evitando contrasti che non gioverebbero a nessuno. Va avanti, così, quella “colonizzazione” delle mafie nel nostro paese nella diffusa disattenzione di una classe politica dirigente alle prese con altri problemi ritenuti prioritari.

Tratto da: Antimafiaduemila

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