Il consigliere togato: “La verità storica interessa a pochi sul piano istituzionale”
Tratto da: Antimafiaduemila
“Il patto tra mafia e affari e politica” non si può debellare con “un intervento ‘esterno’, come quello di una indagine giudiziaria, per sua natura frammentaria, occasionale e riferibile solo ad una frazione di soggetti che tengono lo stesso genere di condotte. Chi pensa questo si illude, sopravvaluta la possibilità di intervento della giustizia ed è destinato a rimanere deluso. La possibilità di andare incontro ai rigori della legge è un possibile deterrente. Ma chi ambisce al potere deviato è disposto ad andare anche incontro alla morte pur di poterlo esercitare. E dunque i rimedi devono partire dall’interno della società”.
Sono state queste le parole del consigliere togato al Csm Sebastiano Ardita in un’intervista rilasciata a Rosario Sorace per ‘Clessidra 2021’.
Questi rimedi non possono essere limitati alla sola verità giudiziaria. Poiché quest’ultima “non può coincidere con quella storica perché nella prima l’ambito di conoscenza è per forza di cose ristretto a ciò che è penalmente rilevante e non è prescritto o improcedibile. Inoltre sembra perdere peso specifico col passare del tempo a causa di una sorta di assuefazione alle condotte illegali”. “La verità storica interessa a pochi sul piano istituzionale e gli storici o gli amanti della verità storica sono diventati troppo pochi, per non dire che stanno scomparendo“.
Tale assuefazione può essere combattuta facendo memoria, soprattutto ricordando i tanti giudici uccisi dal terrorismo e dalle mafie, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992. Un anno, questo, descritto da Ardita come “scenario di guerra“.
“La loro memoria – ha detto il magistrato – potrebbe rinvigorire la vocazione al bene pubblico. Per questo la loro memoria a volte viene abusata da chi vorrebbe apertamente accostarsi alla loro integrità senza esserne degno, e spesso detesta e combatte chi si impegna a proseguire nei fatti quella memoria”.
Durante l’intervista il consigliere togato si è accostato anche al discorso delle riforme, in particolare della giustizia:
“La stella polare di ogni riforma dovrebbe essere l’interesse dei cittadini ed il bene della democrazia, così come lo è per il corretto esercizio di ogni funzione pubblica. L’indipendenza e l’autonomia esercitate dai magistrati in questa precisa ed unica direzione – ed avvertite come tali dai cittadini – ci metteranno al riparo da riforme ingiuste”.
Rispondendo alle domande di Rosario Sorace sullo ‘scontro’ tra giustizialisti e garantisti, il consigliere togato ha spiegato che si tratta di un “falso tema:
in uno stato democratico nessuna persona intelligente e in buona fede può prescindere dalle garanzie individuali dei cittadini; con la stessa attenzione bisogna evitare che un garantismo strumentale si spinga fino ad impedire che la giustizia funzioni, cancellandone ogni effetto pure dinanzi alla accertata responsabilità. È il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà che rende credibili le democrazie”. Il tema della sicurezza e della libertà non posso essere distaccati da quello sulle carceri e della loro amministrazione. Se questo tema viene trascurato “amplifica tutti i disagi, le diseguaglianze e le ingiustizie presenti nella società libera. Per questo lo Stato deve essere sempre in grado di intervenire in questo mondo con attenzione e solerzia, per impedire che ulteriori mali si realizzino. Bisogna aiutare i detenuti e difenderli dalle loro grandi avversità e dalla incombenza delle gerarchie criminali di altri detenuti”.
Fonte: clessidra2021.it, Antimafiaduemila
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