di Giorgio Bongiovanni
Non c’è niente da fare. Ogni tal volta che qualcuno osa ricordare i fatti indelebili della storia dell’ex Cavaliere Silvio Berlusconi ecco che i tanti lacché; i politicanti; i fascisti dell’era moderna; gli ex compagni comunisti folgorati sulla via di Arcore; compari mafiosi e non; devono necessariamente ergersi a strenui difensori.
A finire nel mirino delle loro assurde accuse, ancora una volta, è uno di quegli “ostinati” che non dimenticano: il magistrato Nino Di Matteo.
Domenica il consigliere togato del Csm è stato ospite di Lucia Annunziata nel programma “Mezz’ora in più”, per presentare il libro che ha scritto assieme a Saverio Lodato, “I Nemici della Giustizia” (ed. Rizzoli) ed affrontare i temi in esso contenuti.
Ad un certo punto, rispondendo a una domanda sulla corsa al Quirinale, ha ricordato in tv che lo storico braccio destro dell’ex premier è stato condannato per essere stato intermediario di un patto tra i clan e Arcore: “In cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra”.
L’immediata reazione dei berlusconiani di ferro non si è fatta attendere. “Il consigliere del Csm Nino di Matteo – hanno scritto in una nota i capigruppo delle commissioni Giustizia di Forza Italia alla Camera e al Senato Pierantonio Zanettin e Giacomo Caliendo, insieme con i componenti delle commissioni, la senatrice Fiammetta Modena e i deputati Matilde Siracusano e Roberto Cassinelli – si è scagliato contro la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, lanciando accuse tanto infamanti, quanto infondate. Occorre ricordare che nessuna sentenza ha mai accertato collusioni del presidente Berlusconi con la mafia. Forza Italia continua a ritenerlo il più degno candidato alla presidenza della Repubblica”.
Il giorno dopo la cassa di risonanza a cotante assurdità è stata data dai giornalini di famiglia e dal solito “Il Riformista”, insieme a quei giornalisti un tempo “comunisti”, come Tiziana Maiolo (ex lotta continua, poi anche portavoce di Futuro e Libertà, partito di Fini) o Piero Sansonetti, con le loro penne mediocri tornano a gettare fango ed insinuazioni contro il consigliere togato, accusato di fare politica e di aver detto il falso.
Del resto loro, dopo aver proposto Mario Mori come senatore a vita, sono pronti a tutto pur di spingere Berlusconi verso il Colle.
Un’idea che in un Paese normale sarebbe rigettata al primo pensiero. Invece, nel Paese dalla memoria breve, degli opportunisti, dei carrieristi e dei figuranti, se ne discute come se fosse normale essere un candidato pregiudicato ed avere bracci destri (Marcello Dell’Utri) condannato per mafia, o bracci sinistri (Cesare Previti) condannato per corruzione in atti giudiziari.
Ai libellisti del potere non piace che si ricordino certe cose e pur di compiacere il Re sono pronti a tutto. Anche, se serve, dire loro delle menzogne.
E’ vero che Silvio Berlusconi non è mai stato processato o condannato per fatti di mafia (anche se è ancora oggi indagato a Firenze per un reato ancora più grave come il concorso nelle stragi del 1993 assieme al solito Dell’Utri), ma nelle motivazioni della sentenza che ha definitivamente condannato l’amico Marcello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa (pena estinta) viene scritto nero su bianco che l’ex senatore fu il garante di un accordo tra i clan ed Arcore durato quasi vent’anni: dal 1974 al 1992.
Quell’accordo di protezione fu “stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Silvio Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, espressivo dell’importanza e della solidità dello stesso, dell’affidamento reciproco tra le due parti che lo avevano stipulato grazie alla mediazione dell’imputato, il quale rappresentava la persona in cui entrambe riponevano fiducia”. Sempre nelle sentenze è scritto che “in cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà”.
Infine non bisogna dimenticare che, come hanno sancito i giudici, quel rapporto è andato avanti negli anni, anche dopo l’omicidio di Bontade e l’arrivo al potere dei corleonesi di Totò Riina.
Per la Suprema Corte “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.
E’ ovvio dunque che il “Riformista”, “Il Giornale”, il “Foglio” di turno, o i berlusconiani di ferro, difendono l’indifendibile.
Per loro le sentenze vanno rispettate solo quando assolvono i “presunti innocenti” come Mario Mori (vedi processo sulla trattativa Stato-mafia)? E quando le sentenze sono conclamate con il bollo della Cassazione, in cui si attesta che Dell’Utri è un uomo della mafia e Berlusconi un imprenditore che la pagava? Tutte sentenze ingiuste?
La verità è che i fatti sono fatti e non si cancellano. Basterebbero questi per distruggere ed eliminare (politicamente parlando) definitivamente Silvio Berlusconi. Nella speranza che la memoria non sia definitivamente persa tra quei politici veramente onesti (pochi) che si trovano in Parlamento e quei cittadini che vengono continuamente chiamati ad esprimere il proprio voto.
E’ un dato di fatto che la politica, quella vera, è decaduta.
Al suo posto oggi abbiamo una politica nell’ipotesi migliore bieca e meschina, nella peggiore corrotta e prona verso altre logiche di potere.
L’incubo in questo Paese non è rappresentato solo dalla pandemia.
L’incubo si manifesta anche nel vedere girare il nome di Silvio Berlusconi, un pregiudicato, un perverso, uno che ha pagato la mafia, che si è incontrato con i mafiosi, che è anche arrivato a definire “eroe” uno di loro, come unico candidato ufficiale alla Presidenza della Repubblica.
Qualora fosse veramente eletto sarà davvero l’ora di migrare in altri Paesi.
Già altre volte abbiamo detto che questo è un mondo alla rovescia e dalla memoria corta.
Tanto corta che in piazza tornano le tensioni, animate da quel fronte fascista a lungo sopito ed ora tornato in auge.
Ci manca solo un ritorno alle stragi.
Per fortuna non tutto è marcio. Ci sono anche uomini che cercano la verità sugli anni bui delle stragi e che vogliono fare davvero giustizia contro questo folle sistema criminale. Magistrati che rischiano ancora una volta la vita e che con coraggio alzano il livello delle loro indagini senza guardare in faccia a nessuno.
Ovviamente ci auguriamo che non siano necessari altri sacrifici per destare l’animo del nostro popolo e gridare all’unisono “No mafia!” e “No Berlusconi come Presidente della Repubblica!”.
E la raccolta firme promossa da Il Fatto Quotidiano (“Berlusconi al Quirinale? No Grazie!) è un primo passo.
Ci vuole coraggio. Quel coraggio, segno di speranza, che risiede soprattutto nei giovani.
Perché, ne sono certo, loro sapranno trovare la giusta forza, non solo per fare memoria, ma per abbracciare la lotta alla mafia, alla corruzione e tutte le altre lotte per i diritti. Affinché il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità di cui parlava spesso Paolo Borsellino, possa essere definitivamente estinto.
Tratto da: Antimafiaduemila
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