Chi è Baiardo? I fili che portano alle famiglie di Brancaccio e Ciaculli

Chi è Baiardo? I fili che portano alle famiglie di Brancaccio e Ciaculli

Spread the love
Tempo di lettura: 6 min

Luana Ilardo a ‘Non è l’Arena’: “La mafia ha fatto la mafia ma lo Stato non ha fatto lo Stato”

Di Luca Grossi

C’è un dato di fatto su Baiardo: lui è imparentato con le famiglie più importanti di Brancaccio (il quartiere i cui boss erano i fratelli Graviano, ndr) e Ciaculli. Cioè lui e imparentato indirettamente con Cesare Lupo che è stato reggente del mandamento di Brancaccio ed è stata anche la persona che organizzò quel famoso striscione nel 2001, secondo gli inquirenti“: ‘Uniti contro il 41-bis. Berlusconi dimentica la Sicilia’. “È anche imparentato con i Greco di Ciaculli, quelli del famoso ‘Papa’ della mafia” (Michele Greco, ndr). “Quindi immagino che per via famigliare possa sapere cosa bolle in pentola a Brancaccio e non solo”. “Quindi la cosa presumibile e che Baiardo utilizzi la televisione per mandare dei messaggi a persone importanti che hanno avuto rapporti con i Graviano“.
Sono state queste le parole di Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it e di Fq Millennium durante la trasmissione ‘Non è l’Arena’ (La7) condotta del giornalista Massimo Giletti.
Presenti anche Luana Ilardo, figlia del collaboratore Luigi Ilardo, Maria Augello, vedova del prefetto di Trapani Fulvio Sodano, il collaboratore di giustizia
Gaspare Mutolo, la giornalista Sandra Amurri e Alessandro Sallusti, direttore di ‘Libero’.
Sulle dichiarazioni di Baiardo dello scorso novembre non mi è parsa una profezia ma una conoscenza” ha detto l’avvocato Luigi Li Gotti. “Nella seconda intervista Baiardo aggiunge che l’urgenza si spiegava perché stava per accadere, cioè stava per accadere l’arresto“. La lettura? Data la possibile ed “estrema difficoltà di una comunicazione diretta con Matteo Messia Denaro si è utilizzato “uno strumento diverso anche televisivo per comunicare a Messina Denaro che il cerchio si stava stringendo”. Baiardo parla per conto dei Graviano? “Assolutamente“.
Dello stesso avviso è anche il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo: “Baiardo, per dire queste cose, vuol dire che gli hanno detto di dirle, questo è un fatto assodato“.
Baiardo “ha fatto un sussulto quando gli propongo il nome dei Guttadauro” ha detto Giletti ricostruendo lo schema della ‘famiglia’: “Chi è il punto di riferimento, il numero uno? Giuseppe Guttadauro (storico capomafia appartenente alla Famiglia del sobborgo Roccella di Palermo ndr) soprannominato il dottore perché ha fatto il medico chirurgo, a febbraio è andato in carcere, poi è stato riportato in carcere perché aveva ripreso i contatti con il mondo mafioso. Ha due fratelli: Carlo Guttadauro e “Filippo Guttadauro, condannato e detenuto a Tolmezzo al cosiddetto ergastolo bianco“. “Filippo Guttadauro è sposato con una donna importante, la sorella di Matteo Messina Denaro, Rosalia Messina Denaro. Hanno due figli“, Francesco Guttadauro e Lorenza Guttadauro, un avvocato. Più precisamente l’avvocato scelto da Matteo Messina Denaro come proprio legale.

ilardo luana la7

In questo modo” ha detto Giletti “ha un parente che va al di là del 41 bis“.
In seguito è stata anche riproposta la parte dell’intervista dedicata all’analisi dei messaggi che Graviano ha lanciato rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista. Dichiarazioni in cui ha raccontato dei rapporti economici che la sua famiglia avrebbe avuto con Silvio Berlusconi affermando di aver incontrato l’ex Premier, da latitante, in almeno tre occasioni. Inoltre, aveva anche riferito di “un imprenditore a Milano che non voleva che le stragi si fermassero”.

 

L’omicidio di Luigi Ilardo e quella latitanza di Provenzano protetta in modo ‘soft’


Preso Riina l’eredità di Cosa Nostra (i possibili accordi, i collegamenti e i contatti) assieme al comando passarono a Bernardo Provenzano, arrestato l’11 aprile del 2006 dopo ben 43 anni di latitanza. A coordinare le operazioni di indagine e di cattura fu l’allora questore di Palermo Renato Cortese il quale aveva raccontato che “dopo aver fatto terra bruciata attorno al latitante abbiamo ipotizzato che fosse tornato nella sua terra, a Corleone, e così era”.
Tuttavia lo Stato ebbe occasione di catturare Provenzano molto prima di quella data – precisamente il 31 ottobre del 1995, ben 11anni prima – grazie alle indicazioni di Luigi Ilardo, il noto confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, ucciso a Catania il 10 maggio 1996.
Qualche giorno prima di morire, Ilardo, aveva anticipato che avrebbe fornito all’autorità giudiziaria scottanti rivelazioni sulla strage di Pizzolungo, sul caso Agostino-Castelluccio, sui mandanti occulti delle stragi del 1992-1993, che riteneva essere connesse agli ambienti della destra eversiva ed ai servizi deviati che negli anni ’70 avevano posto in essere la “strategia della tensione”, e sulle scelte politiche della mafia palermitana, che nel 1994 aveva trovato in Forza Italia il progetto politico su cui puntare dopo il maxi scandalo di Tangentopoli e il sostanziale “azzeramento” dei suoi ex referenti politici.
Ilardo riuscì a fornire all’Arma il luogo preciso in cui si trovava il latitante ma quel giorno di ottobre, mentre era dentro al casolare assieme a Provenzano, gli ufficiali Mario Mori e Mauro Obinu decisero di osservare da lontano il luogo dell’incontro senza intervenire.
“Non c’erano le possibilità di intervenire in quanto il terreno era costantemente occupato da mucche, pastori e pecore” si era giustificato davanti ai giudici Obinu, mentre Mori aveva più volte specificato di non essersi occupato del caso Ilardo.
A seguito dell’episodio si aprì un processo a carico dei due ufficiali che furono portati alla sbarra nel 2007 sulla base delle dichiarazioni del colonnello Michele Riccio. Tuttavia l’8 giugno del 2017 Mori e Obinu vennero assolti.

ligotti biardo giletti la7

Papà ovviamente ha fatto una scelta coraggiosa e metteva in conto, ne sono più che certa, che in qualche modo la mafia gliela avrebbe fatta pagare perché questo comunque è il loro protocollo ed è quello che si prevedeva nel regime di Cosa Nostra. Il problema è stato lo Stato che non ha fatto lo Stato, perché mio padre dopo che aveva scontato per intero il suo debito con la giustizia aveva il diritto di avere una vita nuova. E questa vita gliela doveva garantire lo Stato al quale lui si era affidato” ha detto la figlia di Luigi, Luana Ilardo, raccontando le grandi sofferenze provate dal padre: “Il 30 ottobre, la sera prima di andare all’appuntamento con Provenzano, mio padre si incontra con il colonnello Riccio, noi avevamo già subito il furto della cassaforte a casa, quindi eravamo già stati privati di tutto quello che avevamo, si toglie l’unico bracciale che gli rimane al polso, lo consegna al colonnello Riccio e gli dice ‘colonnello se io domani mattina non torno da quell’incontro mi faccia la cortesia che questo lei lo fa avere alla mia famiglia perché è di valore'”. “La mafia ha fatto la mafia e lo Stato no ha fatto lo Stato”, ha ribadito Luana.
A distanza di ben sedici anni la sentenza d’Appello del processo Trattativa Stato-Mafia ha stabilito che la latitanza di Provenzano venne protetta e favorita in modo ‘soft’: “cioè limitandosi ad avocare a sé vari filoni d’indagine che potevano portarne alla cattura, ma avendo cura al contempo di non portare fino in fondo le attività investigative quando si fosse troppo vicini all’obbiettivo“.
Inoltre, hanno scritto i giudici di Appello, la mancata cattura a Mezzojuso (nel 1995) sarebbe stata dettata da “indicibili ragioni di ‘interesse nazionale a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l’egemonia di Provenzano e della sua strategia dell’invisibilità o della ‘sommersione’, almeno fino a che fosse stata questa la linea imposta a tutta l’organizzazione. Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”.

sodano dali la7

Maria Sodano e la storia del “Prefetto del Popolo”


Maria Augello
è la vedova del prefetto di Trapani, Fulvio Sodano, trasferito in 24 ore ad Agrigento quindici giorni dopo essere stato confermato nel suo incarico dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu. Fino a quel momento era stato il volto dello Stato a Trapani, determinato non solo nella confisca ma soprattutto nel riutilizzo dei beni della mafia, con la sua difesa della Calcestruzzi Ericina strappata al boss Virga, che Sodano ha difeso nel labirinto di commesse e appalti del mercato dell’edilizia trapanese.
Ma ha avuto anche un ostacolo sul suo cammino: il “senatore D’Alì” – ha detto Maria Sodano in trasmissione con la presenza del figlio, Andrea. “Oltre ad esserne certa io c’è anche una sentenza – ha detto Maria Sodano – a pagina 67/68 e anche più in là, dove si legge chiaramente che dagli indizi, tra loro concordanti e gravi e precisi, viene fuori che è stato l’ex senatore D’Alì su input del boss Pace a volere il trasferimento del prefetto Sodano“.
Per sapere chi fosse Antonio D’Alì non c’era bisogno di una sentenza – ha detto con forza Gomez – Una sentenza può dire se ci sono elementi per i quali una persona è da condannare o da assolvere, ma i rapporti familiari decennali di D’Alì con la famiglia di Messina Denaro erano noti a tutti sul territorio. Il punto politico è un altro: noi scrivevamo queste cose sui giornali prima delle sentenze e nonostante le scrivessimo e le ripetessimo, Silvio Berlusconi ha candidato quest’uomo, quando bastava andare sul territorio per sapere di chi si trattava. Non si può demandare alla magistratura il compito di selezionare le classi dirigenti. È la politica che deve farlo. E nel momento in cui accetti quel tipo di candidatura, dai un segnale preciso a Cosa Nostra”.
D’Alì è stato ritenuto colpevole di avere “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa Nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato”. Era la seconda volta che il caso arriva in Cassazione: la Suprema Corte aveva annullato l’assoluzione disponendo un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Palermo.

La puntata integrale sarà pubblicata sul sito: clicca qui!

Tratto da: Antimafiaduemila

Giustizia Italia