Taurus. E’ questo il nome dell’inchiesta del Ros dei carabinieri di Padova che ha portato all’alba di oggi a 33 misure cautelari per reati che vanno dall’associazione di stampo mafioso, al traffico di stupefacenti fino a usura, estorsioni, rapina, riciclaggio, ha origine da un’attività di indagine, scandita da intercettazioni telefoniche e ambientali e da osservazione, pedinamento e controllo, avviata nel dicembre 2013 dopo le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Carmelo Basile. Il provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Venezia su richiesta della locale Dda al culmine di un’indagine compiuta dal Ros con il supporto dei colleghi dell’Arma del Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Calabria. Contestualmente, sono state notificate più di cento informazioni di garanzia ed effettuate numerose perquisizioni, nonché sequestrati beni mobili e immobili per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro. Svelata l’esistenza e la vitalità di una consorteria ‘ndranghetistica di base a Sommacampagna, nel Veronese, attiva almeno dal 1981 e riconducibile alle famiglie Gerace-Albanese- Napoli-Versace originarie della piana di Gioia Tauro, nel reggino e con ramificazioni in diversi comuni della provincia di Verona come Villafranca Veronese, Valeggio sul Mincio, Lazise e Isola della Scala.
Gli inquirenti hanno anche appurato i legami con il “Crimine di Polsi” in Calabria. Un’organizzazione dedita in particolare a estorsioni e usura; accertata la realizzazione di un vorticoso giro di false fatturazioni per operazioni inesistenti. Inoltre sono stati documentati diversi episodi di riciclaggio, commessi attraverso società di cui i formali titolari si servivano, avvalendosi anche della ‘mafiosità’ dei loro interlocutori, per trarre un personale tornaconto. Secondo gli inquirenti la cosca sarebbe stata capace di gestire e controllare le attività economiche nei più svariati settori (in particolare costruzioni edili e movimento terra, impiantistica civile ed industriale, servizi di pulizia e di affissione della cartellonistica pubblicitaria, commercio di autovetture e materiali ferrosi, nonché trasporti su gomma) anche in collegamento con soggetti contigui alla cosca “Grange Aracri” di Cutro di Crotone, e già stanziata nel Veneto. Dalle indagini sono emersi anche gravi elementi in ordine alla gestione, da parte dei sodali, di un traffico di stupefacenti, sviluppato nel Veronese attraverso due canali di approvvigionamento: uno in Calabria e l’altro facente capo ad appartenenti a gruppi criminali albanesi e sloveni. Infatti, nel corso delle attività, sono stati sequestrati ingenti quantitativi di cocaina e marijuana. Secondo la prospettazione accusatoria, come riportato nell’ordinanza del giudice del tribunale di Venezia, Francesca Zancan, “esiste un’associazione di stampo mafioso di matrice ‘ndranghetista radicata nel territorio veneto, operante in particolare nel veronese, autonoma rispetto all’organizzazione stanziale in Calabria da cui si è gemmata ma ad essa collegata, capace di porre in essere numerose attività criminali in diversi ambiti (armi, estorsioni, usura, furti, stupefacenti, riciclaggio), con le modalità tipiche del metodo mafioso, e al contempo capace di ingenerare nel territorio veneto assoggettamento e omertà”. Secondo le indagini le vittime spesso imprenditori che si sono intenzionalmente e consapevolmente rivolti ai sodali dell’organizzazione criminale per ottenere benefici e utilità, spesso partecipando loro stessi ai delitti da questi messi a segno contro altri imprenditori (ad esempio per ottenere il pagamento di un credito con modalità ritenute più efficaci rispetto alle vie legali) o per ottenere protezione a fronte di intimidazioni da parte di altri criminali. Mai spontanea, nel corso delle indagini, la collaborazione di questi imprenditori con le forze dell’ordine, quasi mai sono state presentate denunce e, quando sono state rese dichiarazioni contro gli estorsori è stato solo per la consapevolezza di non avere altre vie d’uscita, come messo nero su bianco dallo stesso giudice che ha firmato l’ordinanza per l’applicazione delle misure cautelari.
Reati messi a segno in modo frenetico e sistematico
Per quanto riguarda gli indagati ai quali viene contestata, tra gli altri, l’associazione di tipo mafioso è certamente ravvisabile, secondo il giudice Francesca Zancan che ha firmato l’ordinanza, il pericolo di reiterazione di reati specifici: “Il loro coinvolgimento in attività delittuose, poste in essere in forma associata e in modo abituale e sistematico, quasi frenetico, con le tipiche modalità mafiose, rende infatti pressoché certo il rischio che possano rendersi protagonisti di nuovi episodi delittuosi, in difetto di intervento cautelare”. Ma non solo, perché nello spiegare la scelta delle misure, il magistrato del Tribunale di Venezia ha evidenziato: “Le modalità e la tipologia dei fatti commessi, connotati da violenza e intimidazioni, inducono a ritenere inoltre sussistente il pericolo di inquinamento probatorio (…) e il perdurare dello stato di libertà degli indagati può rappresentare un ostacolo alla conservazione della prova”. Continui i contatti, praticamente quotidiani, tenuti con esponenti della ‘Ndrangheta calabrese, abituale tra gli indagati la propensione ad agire con violenza e prepotenza e con aperto disprezzo delle regole basilari della pacifica convivenza. “Certamente collegati a contesti di ‘Ndrangheta – ha scritto il giudice in riferimento agli indagati – risultano stabilmente e abitualmente dediti ad attività delittuose (…) adusi sistematicamente ad azioni criminose con l’uso del metodo mafioso”.
Tratto da: Antimafiaduemila
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