L’età non è il solo elemento per stabilire se un lavoratore rischia di più dopo aver contratto il Covid-19.
Lo afferma una circolare interministeriale del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del ministero della Salute, che si è occupata di fornire aggiornamenti sui lavoratori e le lavoratrici fragili.
Si tratta della circolare n. 13 del 4 settembre nella quale si legge che “il concetto di fragilità va dunque individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto e può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche sia di tipo epidemiologico, sia di tipo clinico”.
Facendo uno specifico riferimento all’età “va chiarito che tale parametro, da solo, anche sulla base delle evidenze scientifiche, non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità nelle fasce di età lavorative”. Tra l’altro, in caso contrario “non sarebbe necessaria una valutazione medica per accertare le condizioni di fragilità”. Insomma, “la maggiore fragilità nelle fasce d’età più elevate della popolazione va intesa congiuntamente alla presenza di comorbilità che possono integrare una condizione di maggior rischio”.
Ancora una volta emerge che le dinamiche inerenti alla fragilità del soggetto sono da constatare e analizzare nello specifico sul soggetto contraente.
Questo ci conferma che non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, ma che comunque bisogna essere consapevoli di queste dinamiche e prestare la giusta attenzione.
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Fonte foto: enpam.it