Otto persone sono state condannate in via definitiva dal tribunale di Riad con l’accusa di aver assassinato il giornalista Jamal Khashoggi, sequestrato, torturato, ucciso e il suo corpo dissezionato nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018. Lo riferisce l’agenzia di stampa saudita “Spa”, citando il portavoce della Procura generale dell’Arabia Saudita. Delle otto persone coinvolte, cinque sono state condannate a 20 anni di carcere, mentre le restanti tre sono state condannate a pene tra i 7 e i 10 anni di prigione. Secondo il portavoce, le sentenze sono finali ed esecutive. L’emissione di tali verdetti comporta la chiusura della causa relativa all’omicidio Khashoggi. Giornalista dissidente critico del governo saudita, Jamal Khashoggi. Per cinque degli imputati coinvolti nell’omicidio la Procura generale aveva chiesto la pena capitale ma i giudici hanno optato per la detenzione. Immediate le reazioni di Hatice Cengiz, la fidanzata di Khashoggi, che ha definito la sentenza del tribunale “una farsa”. “Le autorità saudite hanno chiuso questo fascicolo senza che il mondo sappia la verità su chi è responsabile dell’omicidio di Jamal”, ha aggiunto Cengiz. “Una totale derisione della giustizia”.
Processo farsa anche per l’Onu e Reporter senza frontiere
Dello stesso parere sono l’ONU e Rsf (Reporter senza frontiere). Il verdetto saudita sul caso Khashoggi non ha alcuna “legittimita’ legale o morale”. Così ha commentato su Twitter la responsabile Onu per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie Agnes Callamard parlando di “parodia di giustizia”. “Il processo si è svolto a porte chiuse e quindi non ha rispettato i principi elementari della giustizia”, ha affermato il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire, interpellato dall’Afp. “Questo processo senza pubblico o giornalisti non ha permesso di conoscere la verità e di capire cosa è successo il 2 ottobre 2018 al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul (dove Khashoggi è stato assassinato, ndr). Non ci permette nemmeno di sapere chi aveva precedentemente dato l’ordine di commettere questo crimine di Stato”, afferma ancora l’Ong che si occupa della libertà di stampa nel mondo. L’unico motivo di soddisfazione per Reporter senza frontiere è “l’abbandono della pena di morte che era stata pronunciata contro alcuni degli accusati”. L’organizzazione aveva infatti ritenuto che le condanne a morte inizialmente pronunciate potessero essere “un mezzo per mettere a tacere per sempre i testimoni dell’assassinio”.
Tratto da: Antimafiaduemila