Di Giorgio Bongiovanni
A 58 anni di distanza restano ancora dubbi dietro il magnicidio del 35° presidente degli USA
22 novembre 1963, Dallas. Il presidente John Fitzgerald Kennedy con la moglie, Jacqueline Bouvier, si trova nella limousine presidenziale assieme al governatore del Texas John Connally e la consorte Nellie Connally. Giunto nella Dealey Plaza il corteo gira l’angolo in Elm Street. Poco distante dal convoglio del presidente statunitense, il magazziniere Lee Harvey Oswald si trova al sesto piano di un deposito in cui lavora quando alle 12:30, ora locale, spara diversi colpi di fucile verso il convoglio presidenziale: ferisce a morte il 35º presidente degli Stati Uniti d’America e gravemente il governatore Connally, passando così alla storia come l’attivista castrista ed ex marine che assassinò John Fitzgerald Kennedy.
Secondo la versione ufficiale dunque – in estrema sintesi -, ad aver assassinato il Presidente USA sarebbe stato un mentecatto senza arte né parte. Un signor nessuno in cerca di fama, già disertore e poi sedicente marxista (nonché autore di un attentato non riuscito ai danni di un militare di estrema destra) il quale avrebbe aspettato che l’auto di Kennedy girasse l’angolo in Elm Street, e che nessuno guardasse più nella sua direzione, per aprire il fuoco.
A distanza di 58 anni, però, le circostanze della sua morte non sono mai state del tutto chiarite e gli indizi finora acquisiti vanno in controtendenza alla versione ufficiale, suggerendo un retroscena ben diverso. Fin dagli albori del nostro giornale, ci siamo interessati anche di questo delitto: indagando e cercando di approfondire cosa si celasse dietro quell’assassinio, seguito anche da quello del fratello Robert. Tanti i documenti analizzati e le interviste realizzate. Tra queste anche a Gianni Bisiach, il giornalista italiano sicuramente più vicino alla famiglia Kennedy (in particolare a Ted), che ha avuto accesso ai segreti di una delle più importanti famiglie americane, proprio per quel rapporto di amicizia instaurato con i tre fratelli. Il primo in assoluto a dire, (come è scritto nel suo libro “Il Presidente”, nel suo film “I due Kennedy”) che John Kennedy era stato ucciso dalla Mafia, in collaborazione con alcuni settori della CIA.
Ed è proprio quella la combinazione che ha dato luogo ad un vero e proprio omicidio di Stato, passato alla storia come il più grande “magnicidio” degli Stati Uniti d’America – assieme a quello di Abramo Lincoln – che segnò profondamente la storia degli USA e non solo. Per questo riproponiamo un articolo di approfondimento datato 28 ottobre 2017 assieme all’intervista a Gianni Bisiach.
JFK e l’omicidio di Stato
La verità può essere ostacolata ma mai fermata
di Giorgio Bongiovanni – 28 ottobre 2017
Duemilaottocentonovantuno. Questo il numero dei documenti desecretati del National Archives di Washington riguardo l’assassinio del presidente Usa, John Fitzgerald Kennedy. Tanto è stato scritto in questi anni ed anche noi di ANTIMAFIADuemila abbiamo pubblicato un dossier in cui vengono illustrate nei dettagli le implicazioni della Cia, della mafia e di altri poteri economici nell’omicidio. Tra gli intervistati anche Gianni Bisiach, tra i giornalisti italiani sicuramente il più vicino alla famiglia Kennedy (in particolare a Ted), che ha avuto accesso ai segreti di una delle più importanti famiglie americane, proprio per quel rapporto di amicizia instaurato con i tre fratelli. Il primo in assoluto a dire, (come è scritto nel suo libro “Il Presidente”, nel suo film “I due Kennedy”) che John Kennedy era stato ucciso dalla Mafia, in collaborazione con alcuni settori della CIA. Un intervento che vi proponiamo integralmente. Ad avvalorare quella tesi di rapporti come quello della commissione Stokes, il Select Committee on Assassination of the U.S. House of Representatives, che conferma quelle che fino al 1979 potevano sembrare solo teorie. Non solo. Persino l’ex direttore della Cia William E. Colby, morto in circostanze misteriose, ha ammesso, durante una presentazione del libro di Gianni Bisiach, che la Central Intelligence Agency aveva collaborato con la mafia, pur escludendo categoricamente la sua partecipazione nell’assassinio del Presidente.
I nuovi documenti, desecretati su input di Donald Trump (a cui va dato atto del merito nonostante lo riteniamo ancora oggi inadatto al ruolo di Presidente con la sua politica razzista e di estrema destra) forniscono nuovi elementi che mettono in evidenza come la verità può essere pure ostacolata ma, prima o poi, viene sempre alla luce. E così emerge che ad assassinare il presidente Usa non sarebbe stato Lee Harvey Oswald bensì un agente di polizia, J. D. Tippit. Un soggetto, quest’ultimo, ucciso il 22 novembre 1963, a colpi di pistola, 45 minuti dopo l’attentato a Kennedy sulla Dealy Plaza di Dallas. Furono 12 i testimoni del delitto Tippit. Otto di loro riconobbero o credettero di riconoscere Oswald nel killer, sia durante i confronti sia con l’ausilio di foto segnaletiche.
Ma se questo dato era noto, la novità emersa è che Oswald e Tippit si fossero incontrati in un night-club di Jack Ruby, giusto una settimana prima dell’assassinio di Kennedy. Ruby, legato alla mafia locale, avrebbe poi ucciso Oswald nei sotterranei della polizia di Dallas. Diventa così più che un’ipotesi il fatto che Ruby sia intervenuto per tappare la bocca allo stesso Oswald ed evitare che lo stesso raccontasse la verità su quanto avvenuto.
Atti che si aggiungono all’inchiesta condotta dal giudice Jim Garrison, in cui si dimostrava che che la CIA era stata aiutata da “altri”, come la stessa FBI o, seppur marginalmente, la Mafia. Teorie che verranno anche riprese nel film “JFK” del regista Oliver Stone.
Si può ritenere sufficientemente provato che spararono al presidente Kennedy da quattro punti diversi, così come è sufficientemente provato che la mafia ha dato un notevole contributo al “magnicidio”, non solo avallando il progetto di morte (i Kennedy avevano voltato le spalle a Cosa nostra americana dopo i voti ricevuti in campagna elettorale), ma anche intervenendo con suoi uomini.
La verità, dunque, emergerà sempre, anche in un Paese come gli Stati Uniti d’America. Una Nazione di grandi contraddizioni, in grado di partorire grandi menti, intellettuali ma che, ancora oggi, è governata da lobby fasciste, autoritarie e razziste. E chissà che prima o poi non emergeranno nuove verità anche sul genocidio di massa dell’11 settembre 2001. Da JFK all’attentato alle “Torri Gemelle”. Sullo sfondo i segni di vere e proprie stragi di Stato.
Dossier Kennedy: intervista a Gianni Bisiach
Nella fierezza del suo sguardo e nelle sue parole, abbiamo compreso che quest’uomo non aveva mai avuto paura della morte…
di Giorgio Bongiovanni
Come è possibile convivere per anni con il pensiero di venire ammazzati…? Recarsi in luoghi dove si sa che i possibili assassini sono in agguato, apposta per far vedere che non si è perduta la dignità e che si è pronti a morire per quello in cui si è creduto…?! Probabilmente non esiste una risposta razionale, o forse c’è ma non è facile da comprendere… In una calda giornata d’autunno abbiamo incontrato un uomo che si è dato “quella” risposta, accettando tutti i rischi che un atteggiamento del genere comportava, con grande determinazione ed umiltà. Quest’uomo è Gianni Bisiach. Al di là del suo noto trascorso radio televisivo, Bisiach ha parlato del suo passato “a rischio” con grande lucidità e senza alcuna retorica. Al termine dell’intervista, si è intrattenuto ulteriormente con Giorgio Bongiovanni pranzando insieme a lui. E proprio in quel lasso di tempo, a microfoni spenti, il giornalista, lo scrittore e l’inviato… ha lasciato posto all’uomo, alle sue battaglie, alle sue sconfitte… alle sue aspirazioni e alle sue paure… La paura vissuta sulla propria pelle, respirata fino in fondo… quel senso di solitudine che non muore mai e che accompagna ogni uomo che cerca la verità, sfidando se stesso e tutte le avversità. E poi… la vittoria sulla morte… il suo “distacco” da questo evento così “naturale” ma ugualmente “contro natura” quando avviene nella sua manifestazione più brutale quale è l’omicidio. Nella fierezza del suo sguardo e nelle sue parole, abbiamo compreso che quest’uomo non aveva mai avuto paura della morte… Un sentimento di “devozione” nei confronti del Presidente Kennedy traspariva anche nelle espressioni più semplici da lui usate per commentare le foto che ritraevano John Kennedy durante i comizi, con i suoi figli, fino all’ultima, sul banco della camera mortuaria… Mentre nei confronti della mafia, degli sporchi giochi politici della CIA e di tutta la cospirazione creata per eliminare il Presidente, ha sempre mantenuto un atteggiamento di dispregio, deplorando apertamente le connivenze criminali e i depistaggi voluti dagli ‘alti vertici’. A mano a mano che passava il tempo, Bisiach ci ha fatto rivivere il suo excursus nella ‘trincea’ della lotta alla mafia. Il suo primo reportage per la RAI a Corleone, nel 1963, i “segnali in codice” dei mafiosi, quel linguaggio fatto di silenzi e di ammiccamenti… L’incontro con l’avvocato del mafioso Luciano Liggio e quella sua intimidazione <<… Dott. Bisiach… nel suo reportage si limiti a parlare dei morti e lasci in pace i vivi…>>, quello stesso avvocato che lo farà incontrare con Luciano Liggio (che all’epoca era latitante e si nascondeva in una clinica psichiatrica ndr), con Totò Riina e con Bernardo Provenzano (un incontro storico per l’unico giornalista che è riuscito ad incontrare l’attuale latitante numero uno). Ricordando i tanti nemici che aveva in RAI e che dopo il suo reportage sulla mafia gli hanno impedito di svolgere bene il suo lavoro, non si è mai espresso con rancore, ma con il sorriso di chi sa che alla fine è la storia che condanna o assolve. Al momento dei saluti, un abbraccio spontaneo ha racchiuso l’essenza dell’incontro con un uomo sereno, che ha portato a termine il compito che si era prefisso, felice di aver trovato un amico per continuare una battaglia piena di insidie e non ancora vinta.
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D. Vorrei iniziare a chiederle se oggi, nel 1999, ha mai avuto paura di essere ucciso così come nel 1969?
R. Io non ho mai avuto paura di essere ucciso. Ho sempre affrontato la morte coscientemente e credo che proprio questo mi abbia salvato, perché “loro” sapevano che non mi interessava… Non è che io vada a cercare la morte, ma ho messo in gioco anche questa possibilità… Probabilmente oggi le cose sono cambiate, la situazione mondiale è cambiata. In genere rischia di essere ucciso colui che è il solo a conoscere una certa realtà… che disturba il potere. Per un certo periodo mi sono occupato del caso Kennedy e “loro” avevano tutto l’interesse ad eliminarmi, così come decine di persone che sono state eliminate in quel periodo…
D. Lei è stato, in qualità di giornalista della Rai, il primo in assoluto a dire, (come è scritto nel Suo libro “Il Presidente”, nel Suo film “I due Kennedy”) che John Kennedy era stato ucciso dalla Mafia, in collaborazione con alcuni settori della CIA. Fece i nomi di Carlos Marcello, Santo Trafficante… A quell’epoca, quando lo disse, quali furono le reazioni del nostro Governo e degli americani? E’ noto che il Suo libro venne presentato dal senatore Andreotti che poi lo lesse…
R. Lei mi sta parlando del libro, ma il film uscì molto prima, nel 1969, e si faceva il nome di Carlos Marcello che all’epoca era ‘sconosciuto’. Sono stato molto attento, durante la ricerca delle immagini, a non far uscire mai il suo nome. Cercavo i filmati in cui c’era Marcello con dei pretesti diversi, chiedevo per esempio panorami di New Orleans o altre cose… L’importante era che nessuno sapesse… Chiunque avesse saputo che io mi stavo occupando di Carlos Marcello, avrebbe fatto in modo che io venissi eliminato all’istante. Tutta la lavorazione del film venne fatta in modo da rimanere un mistero fino all’uscita nelle sale cinematografiche, così che sarebbe stato anche inutile eliminarmi. Non avrebbero attentato alla mia vita… cosa alla quale io andavo incontro con lo spirito di chi è pronto a sacrificarsi. In ogni caso l’importante era che il film uscisse. Feci l’inchiesta sulla mafia ‘Rapporto da Corleone’ che andò in onda prima di TV7, nella rubrica RT, rotocalco televisivo di Enzo Biagi. Sono stato il primo a parlare della mafia a Corleone e dei corleonesi, quindi di Luciano Liggio, Totò Riina e Provenzano. All’epoca fare questo significava essere il ‘primo’, essere colui che era a ‘conoscenza’ di questi fatti, colui che ‘loro’ ritenevano utile eliminare.
D. Perché la CIA ha chiesto aiuto alla Mafia per uccidere Kennedy e perché John Kennedy è stato ucciso?
R. La CIA aveva chiesto aiuto alla Mafia per uccidere Fidel Castro. Quando Fidel Castro prese il potere a Cuba, in un primo tempo l’America lo aveva appoggiato, così come la CIA che gli aveva fornito le armi, lanciate con il paracadute. Questo perché gli americani non volevano più Batista al potere. Ma quando Castro arrivò al potere, la prima cosa che fece fu quella di nazionalizzare le società americane, quindi la United Fruit per quanto riguarda l’agricoltura, le società petrolifere ecc. Gli industriali americani si indignarono di fronte al comportamento di Castro, che aveva in precedenza usufruito del loro aiuto, e decisero di eliminarlo prima politicamente e poi fisicamente. Quando Castro andò al potere cacciò i mafiosi da Cuba, chiuse le case da gioco, le case di tolleranza, il traffico della droga e il traffico degli aborti (gli americani andavano ad abortire a Cuba). La mafia si infuriò con Castro perché aveva distrutto i loro affari e la CIA pensò di rivolgersi ai mafiosi che avevano ancora a Cuba alcuni uomini. Ad esempio Santo Trafficante, che all’epoca era in prigione a Cuba e con il quale la CIA aveva rapporti per conto di Sam Giancana di Chicago, con Jack Rubi, quello che poi uccise Oswald. Jack Rubi era un trafficante di armi e di droga e aveva diversi night club a Dallas. Era nel giro di Sam Giancana di Chicago (il braccio destro di Al Capone, che era passato da essere autista a suo luogotenente). Rubi andava a Cuba a portare le arance a Trafficante che stava in carcere. La CIA, sembra con l’appoggio dei Kennedy, decise di uccidere Fidel Castro, con dei modi anche abbastanza ridicoli… Kennedy aveva un comportamento contraddittorio, nel senso che come presidente degli Stati Uniti (come tutti i capi di Stato), doveva accettare anche certe operazioni infami dei servizi segreti, pur mantenendo una sua morale. John seguiva una certa linea e poi con il fratello, il ministro della Giustizia (Robert Kennedy ndr.) combatteva quegli stessi mafiosi che aiutavano la CIA. Ora ne sto parlando con semplicità ma i fatti furono molto complessi. Dopo la crisi dei missili di Cuba (quando il mondo si era salvato dal rischio della Terza Guerra Mondiale), Kennedy decise di rappacificarsi con Fidel Castro e con l’Unione Sovietica. Per questo aprì la ‘linea rossa’, il telefono con il Cremlino. Fece disdire “l’incarico” ai mafiosi, chiuse i campi della CIA dove venivano addestrati i cubani che si preparavano per lo sbarco a Cuba. Robert Kennedy cominciò poi al senato una inchiesta a tutto campo su Cosa Nostra e all’epoca non si sapeva ancora che si chiamava Cosa Nostra (ne parlò Joe Valachi nel mese di settembre del 1963, due mesi prima dell’assassinio di Kennedy). Questi grandi mafiosi decisero quindi di uccidere Kennedy. Alcuni settori della CIA erano sicuramente contro il presidente. In particolare lo era Allen Dulles, che Kennedy aveva cacciato via, insieme a quelle persone (citate nel mio libro, con tanto di foto) che fecero lo scandalo Watergate; quegli stessi che poi furono arrestati nella Dealy Plaza dopo gli spari contro Kennedy e che insieme a Calogero Minacori (alias Carlos Marcello ndr.) decisero di eliminarlo. Si è trattato di un “cambio di obiettivo”: la Mafia doveva uccidere Fidel Castro, quando Kennedy cambiò idea, la Mafia decise di uccidere lui durante il viaggio a Dallas… con un’organizzazione di tipo militare…
D. All’epoca, così come oggi, Cosa Nostra aveva una “commissione”, una “cupola”. Quando Carlos Marcello, Santo Trafficante ed altri decisero di uccidere Kennedy, Don Vito Genovese, il capo di tutti i capi, doveva esserne a conoscenza. Si tratta quindi solo di un’ipotesi il fatto che tutta la mafia americana acconsentì all’uccisione di Kennedy?
R. Non è un’ipotesi, è una certezza. Vito Genovese fu accusato dai fratelli Kennedy fin dal 1957, prima che John diventasse presidente.
D. Recentemente il direttore dell’FBI, Luis Fry, ha ammesso ufficialmente che la mafia americana, per paura delle persecuzioni della polizia, concedeva l’esclusiva della vendita dell’eroina nel mondo alla mafia siciliana in cambio di una buona percentuale sugli incassi. Nel 1957 all’Hotel Delle Palme a Palermo, Lucky Luciano era il “mediatore” fra la mafia siciliana e quella americana. In questa riunione venne ufficialmente sancita la questione. Ma quanto la Mafia siciliana era interessata all’assassinio di Kennedy? O ne venne esclusa completamente?
R. Non venne esclusa la Mafia siciliana e in particolare Luciano Liggio e i corleonesi. Durante il processo Valachi al senato, Valachi disse innanzitutto che si chiamava “Cosa Nostra” e poi che i due gruppi egemoni erano i corleonesi e i castellamaresi. Castellamare del Golfo fu battuta, fu vinta e la mafia vincente ancora oggi è quella dei corleonesi, quindi come tali appoggiavano i loro referenti in America. Non so se sia vero che Lucky Luciano avesse in mano tutto questo, io credo che il comando mondiale del traffico dell’eroina, da quello che a me risulta, era di Santo Trafficante. Il potere di Carlos Marcello e di Santo Trafficante era immenso. Santo Trafficante aveva in mano tutto il traffico mondiale dell’eroina, era d’accordo con la CIA all’epoca del Vietnam…
Ricordiamoci che il capo di tutti i capi era Vito Genovese, il quale aveva “strappato” a Lucky Luciano il potere. Quando si incontrarono a Cuba, mi pare nel 1948, in un albergo, Lucky Luciano andò in una stanza, incontrò Vito Genovese e lo picchiò selvaggiamente, quasi lo uccise, dicendogli che era stato scorretto nei suoi confronti in un momento nel quale si trovava in “disgrazia” in Italia. Successivamente cercarono in tutti modi di far “compromettere” Vito Genovese che era molto abile a dissimulare la sua ricchezza come risultanza del gioco dei cavalli ad Agnano. Proprio ad Agnano arrivò un personaggio folcloristico della camorra, Pascalone Nole, un uomo enorme. Lucky Luciano non era un uomo enorme e portava gli occhiali. Pascalone Nole andò da Lucky Luciano chiedendogli “l’onore” di giocare con lui. Luciano rifiutò rispondendo che non giocava mai con gli altri, bensì sempre da solo. Pascalone insistette dicendo che lui non si poteva rifiutare, mentre Lucky Luciano era irremovibile nel suo rifiuto. Pascalone gli diede allora due schiaffi, con la sua mano “gigante”, così forti da rompergli gli occhiali (Luciano aveva un forte problema alla vista). Lucky Luciano, senza proferire alcuna parola, si chinò a raccogliere i vetri, li mise in un fazzolettino e se ne andò. Quella stessa sera a casa di Lucky Luciano, che abitava sul lungomare di Napoli, si presentarono gli uomini di Pascalone Nole dicendo che gli mandava le sue scuse per quello che aveva fatto. Lucky Luciano rispose molto tranquillamente che Pascalone non doveva scusarsi di nulla, visto che non era successo niente… La mattina dopo, alle 10.30, al mercato ortofrutticolo di Napoli (come poi Francesco Rosi ha raccontato nel suo film “La sfida”) Pascalone Nole venne ucciso con due colpi di pistola. La moglie che prese il suo posto cercò in tutti i modi di scoprire l’omicida, ma inutilmente. I sospetti, ovviamente, caddero su Lucky Luciano, che comunque sapeva che lo stavano emarginando. Dapprima scrisse un libro (del quale non esiste nemmeno una copia, ma che io ho letto), da questo libro voleva trarre un film sulla sua vita. Andò all’aeroporto di Napoli per incontrare due produttori americani. Mentre aspettava l’arrivo dell’aereo, il maresciallo della Guardia di Finanza che stava con lui gli offrì una bibita, dopo averla bevuta morì stecchito. Non gli fecero l’autopsia, venne messo dentro ad un enorme cassa, fecero un funerale spettacolare e lo mandarono in America. Ecco perché io non so se in quel periodo lui avesse in mano tutto il controllo della situazione, credo piuttosto che fosse Santo Trafficante…
D. Ritornando a John Kennedy, lei è stato il primo nel mondo a dire che la Mafia aveva ucciso John Kennedy con l’aiuto della CIA o viceversa. Il giudice Jim Garrison, condusse un’inchiesta per alcuni versi strabiliante, dimostrando anche che la CIA era stata aiutata da “altri”, per esempio dall’FBI, nominando solo marginalmente la Mafia, anche se sapeva che la malavita organizzata era implicata nell’omicidio del presidente.
R. Essendo Garrison un giudice “elettivo”, nominato per elezioni, aveva bisogno di una “base elettorale”. La “base elettorale” di New Orleans era governata in gran parte da Carlos Marcello e per di più lui era molto amico di uno dei luogotenenti di Marcello. Quando ci fu quel noto processo al quale io ero uno dei pochissimi giornalisti ammessi, l’avvocato Alright di Dallas mi chiese di nascondere i testimoni che servivano a Jim Garrison nella mia stanza. Quella notte non dormii nella mia stanza, dormii nella stanza dei testimoni perché c’era il rischio che li ammazzassero. I testimoni erano l’autista di taxi Raymond Camings e un’altra persona. Quella sera l’avvocato mi invitò a cena al Playboy club di Dallas, c’era anche Garrison che era tutto bruciato dal sole. Gli domandai cosa fosse successo, mi rispose che era stato a Las Vegas e che si era addormentato sotto il sole, bruciandosi in tal modo in un hotel, che “stranamente” era gestito dal braccio destro di Carlos Marcello. La rivista “Life” pubblicò una serie di articoli, in parte riportati nel mio libro, dove si diceva che lui era sul libro paga di Cosa Nostra…
D. Quindi la figura “dell’eroe” che viene descritta nel film di Oliver Stone…
R. Forse era anche un eroe, ma aveva bisogno di essere aiutato da qualcuno… e cercava i soldi dove li trovava… Garrison non poté essere così esauriente, accennò alla Mafia, ma senza fare dei nomi… Il film di Oliver Stone è un film, per certi versi importante perché ha portato ai giovani di tutto il mondo la storia di questo assassinio, però manca “l’equilibrio” della partecipazione al complotto di Mafia e CIA.
D. Lindon Johnson, il 36 esimo presidente degli Stati Uniti, faceva parte del complotto o diede un “tacito consenso” all’assassinio di Kennedy?
R. Questo rimane ancora oggi un mistero. Secondo alcuni, Johnson non c’entrava direttamente, ma si dice che un suo collaboratore texano (anche Johnson era texano, nei modi di fare, era grossolano anche con la vedova Kennedy) abbia determinato lo spostamento della Motorcade. L’automobile doveva andare dritta su Daily Plaza e invece fece quel doppio giro e alla seconda curva, che era molto stretta, rallentò a 7/8 Km all’ora l’andatura dell’autoveicolo, favorendo quindi gli sparatori. Colpire un obiettivo su una “carovana” che va a 30/40 Km all’ora è cosa molto difficile…
D. E il petroliere Hunt?
R. Quello era sicuramente coinvolto, sia lui che il figlio, avevano incontrato proprio in quei giorni alcuni capi mafia della California e anche alcuni killer. C’è poi una cosa molto strana, molto misteriosa. Nixon si trovava a Dallas il giorno prima dell’assassinio di Kennedy, a partecipare ad una grande riunione della Pepsi Cola, della quale lui era un testimonial. Nixon partì dall’aeroporto di Dallas, la mattina fra le 8 e le 10 e Kennedy arrivò alle 11.30 con il suo aereo. Naturalmente questo non significa nulla… oppure significa molto… coincidenze strane…
D. Bob Kennedy venne ucciso più o meno per lo stesso motivo… Allora perché quando la famiglia Kennedy parlò con lei non voleva dire niente dell’assassinio?
R. Anche adesso non ne vogliono parlare. Io penso che abbiano paura di essere uccisi. Anche Ted Kennedy ha subìto tre attentati: dopo la morte del presidente è caduto con l’aereo, poi una donna armata di un coltello è stata fermata all’ultimo momento, poi lui venne portato a Chappaquiddick, non si sa bene come. Io ho dei sospetti su quegli amici che lo portarono lì, che drogarono le ragazze, che lo fecero ubriacare, una vittima di qualcosa che non fu molto chiaro…
D. E la morte di John John?
R. Anche John John in qualche modo voleva arrivare alla Casa Bianca. Quando gli venne chiesto da un intervistatore perché la rivista “George” non affrontava la morte di suo padre a Dallas, John John rispose che era inutile affrontare un’altra inchiesta sulla morte di suo padre. Avrebbe potuto anche dedicarvi 40 numeri di “George”, ma non avrebbe portato a niente… <<Per poter fare questo tipo di inchieste – diceva – bisogna avere il potere>>. Il potere significava la Casa Bianca. Lui voleva arrivare alla Casa Bianca, lo ha detto anche Salinger in una dichiarazione ufficiale, così come Schlesinger il giorno dopo la sua morte. John John non ci voleva arrivare tra 4 o 6 anni, ma piuttosto verso il 2008. Penso che la sua morte abbia fatto piacere a molti, l’aereo è caduto nel punto in cui, tre anni prima, è precipitato l’aereo della TWA. E si dice che l’aereo della TWA come l’aereo di Ustica sia caduto perché per errore gli hanno sparato contro dei missili militari. Proprio lì c’è una base militare che spara dei missili. Tutto questo l’ha detto anche Salinger, capo ufficio stampa di Kennedy; ci sono centinaia di persone che hanno visto questo missile che partiva dal basso e che ha colpito il TWA. Per quanto riguarda John John, è prevalente l’ipotesi della disgrazia, dell’incidente, visto che è stato molto imprudente a partire con quelle condizioni atmosferiche. E’ più difficile immaginare un complotto…
D. Quando venne a Roma, William Colby, il direttore della CIA, le disse che la Central Intelligence Agency aveva commesso l’errore di collaborare con la mafia ma negò che ci fosse un collegamento diretto della CIA nell’assassinio di Kennedy…
R. Non poteva che negarlo essendo il direttore, però era molto importante la sua ammissione. Lui era stato nel Vietnam; erano morti più di 30.000 vietnamiti, nel periodo nel quale si trovava lì con i gruppi della CIA. Colby ammise questa “collaborazione”… c’era Santo Trafficante… e proprio dal Vietnam e dal Laos, (le popolazioni degli altipiani del Laos), caricavano sugli aerei del AirAmerica, (una linea privata della CIA), i sacchi con l’oppio, con la morfina, con la base per l’eroina…
D. Un’organizzazione criminale come Cosa Nostra che riesce ad uccidere il presidente degli Stati Uniti. Cosa Nostra in Italia che uccide quando vuole: Falcone, Borsellino, per non parlare di tutti i magistrati e delle scorte… il fatto che la CIA chieda aiuto a questa gente fa pensare molto… La Mafia italo – americana, che poi è diventata la leader delle organizzazioni criminali del mondo… Ma perché i governi, o comunque i servizi segreti ne hanno bisogno?
R. Perché questa organizzazione ha due elementi che le danno questo grande potere: da un lato il terrore, perché “loro” sono spietati e quindi minacciano la vita delle persone e dei loro familiari, un potere di “persuasione” terribile, e poi perché hanno una ricchezza sconfinata. Il traffico della droga parte da un prodotto che costa pochissimo e viene venduto a prezzi altissimi. Una dose di eroina che può valere 300 lire, viene venduta a 100/150 mila lire. C’è un guadagno enorme e quindi loro hanno una enorme quantità di denaro liquido. Nessuna industria del mondo, nessun governo del mondo può disporre di una quantità di denaro pari a quella della malavita organizzata. La chiamo volutamente malavita organizzata perché si dice che oggi si sia differenziata dalla mafia russa… Io credo che predomini ancora la mafia siciliana, perché è organizzata meglio ed è ramificata ovunque… Poi c’è il potere del danaro… il fatto che qualcuno disponga di tanto danaro… è tutto. Gli industriali non dispongono di tanto danaro, gli industriali hanno materie prime, chi vende automobili, avrà milioni di automobili, ma non ha il contante… La Mafia invece dispone di questi contanti con i quali può corrompere persone in vari ambiti… “Loro” in genere corrompono coloro che sono al potere, corrompono i governi. Ovviamente non è detto che debbano corrompere il Presidente del Consiglio. Nella macchina di un partito ci sono persone che possono influenzare le decisioni anche da livelli vicini al vertice, in un modo che non è esplicito. In America si dice che John Kennedy abbia avuto dalla Mafia di Chicago il voto dell’Illinois, che gli serviva. Io non so se questo sia vero, se è vero forse è avvenuto in maniera indiretta. Frank Sinatra era “innamorato” della figura di Sam Giancana, che per lui era come un mito. Nel film “Il Padrino”, il padrino sarebbe Giancana e il cantante Fontane, Frank Sinatra. Può darsi che Sinatra, così come collegava le donne di Giancana a Kennedy, può aver collegato a Kennedy i mafiosi dell’Illinois che gli portavano certi voti. Non è che direttamente Kennedy andasse nell’Illinois a stringere la mano ai mafiosi… anche se devo dire che ci sono delle immagini nel mio film nelle quali si vede che Kennedy stringe la mano a dei mafiosi in giro per l’America, come Bonanno ed altri (che però faceva parte della comunità italiana e forse Kennedy non sapeva chi realmente fosse).
D. Perché per i governi è necessario che la mafia esista?
R. Perché la macchina politica ha bisogno di danaro. Ad esempio, adesso c’è la questione della par-condicio, degli spot ecc., è chiaro che chi ha gli spot vince più facilmente le elezioni. Non è detto che chi ha gli spot vinca alle elezioni, ma sicuramente ha più probabilità di parlare direttamente al pubblico e si trova quindi avvantaggiato. Masse di danaro così ingenti e la possibilità di usarle direttamente o indirettamente per corrompere personaggi appartenenti a “certe macchine politiche” danno effettivamente alla mafia un potere… Io credo che il mondo di oggi, con la circolazione dell’informazione, delle notizie, con Internet (mettendo a disposizione dei giovani, di tutti i cittadini una grande informazione circa quello che sta succedendo) renderà più difficile la vita alle organizzazioni mafiose. Più se ne parla meglio è… ma “loro” trasformeranno l’organizzazione, ci sarà una mutazione: “loro” diventeranno industriali, diventeranno capi di stato, “loro” entreranno dentro il potere… Mentre prima stavano fuori, avendo dei “referenti” (così come si accusa Andreotti ed altri di essere stati dei referenti della mafia), “loro” avranno il loro uomo che direttamente sarà eletto ai livelli superiori e quindi con il danaro potrà mantenere queste posizioni… Può darsi anche che venendo in possesso di grandissime organizzazioni industriali, possano trasformare in qualcosa di “onesto”, di “lecito”, di “legale” quello che prima era illegale, anche se questa è solo la speranza… Credo che battere la Mafia oggi, richiederebbe da parte di tutti quasi la “santità” e i santi sono pochi… le persone che vivono secondo dei principi morali, religiosi assoluti, sono pochissimi. In genere l’uomo è debole… C’è però la speranza che ci sia questa mutazione in positivo e che la Mafia venga lentamente schiacciata da organizzazioni politiche… Tutti noi che abbiamo attaccato la mafia, anche rischiando, lo abbiamo fatto ovviamente nella speranza che la si potesse battere e io spero che presto questo possa avvenire…
D. In questo momento è più forte la Mafia o i servizi segreti?
R. E’ una forza diversa. Il servizio segreto non ha danaro ma ha il potere dello stato, la mafia non ha il potere dello stato, deve corrompere, ma ha il danaro. Chi ha il potere, ottiene il danaro con la corruzione e chi invece ha il danaro corrompe chi ha il potere. In tutti e due i casi ci vuole una volontà di delinquere sia da parte del potere politico sia da parte della mafia e dei servizi segreti…
D. La ringrazio a nome della redazione per aver scritto il suo libro…
R. Quando ho fatto il film e poi il libro, speravo semplicemente di rendere pubblico quello che io avevo imparato, anche rischiando un po’… Per fortuna che il rischio poi non si è verificato, anche se c’era, io sono rimasto vivo… Ora ho la soddisfazione di verificare che le notizie sono circolate discretamente, non quanto pensassi… Non basta scrivere un libro, non basta fare un film, a volte la gente legge il libro, vede il film e poi continua a parlare come prima…
D. Cosa ne pensa del fatto che dei giovani editori parlino della mafia per attaccarla?
R. Devono spiegare, soprattutto ai giovani, che conviene essere onesti, oltre ad essere morali, è anche più utile, non conviene delinquere. Prendiamo ad esempio Totò Riina, che vive in un carcere, che vita fa? Proprio lui che era il “più grande”, il “più potente”, che poteva uccidere chiunque, ora vive da miserabile in una cella. Avrà pure corrotto qualcuno, ma vive male lo stesso… Un giovane invece che fa una carriera pulita, che ha degli obiettivi puliti, che utilizza la sua vita per degli scopi nobili, così come voleva fare il giovane Kennedy, ha una vita più giusta e più bella e la vivrà anche meglio di chi vive male, di chi delinque… E’ importante che il giovane editore coraggiosamente dica delle cose esplicite. E’ ugualmente importante che chi possiede dei grossi mezzi di comunicazione dica anche delle “piccole parole”, perché la piccola parola detta a una grande massa prepara il terreno a una conoscenza.
D. La ringrazio ancora per quello che ha fatto e per quello che sta facendo.
R. Buon lavoro…
Tratto da: Antimafiaduemila