L’Italia si è accodata ancora una volta, ha voluto dare una prova di vergognoso servilismo agli USA e alle potenze occidentali in merito alle Presidenziali siriane definendole né libere, né eque. Potreste dire che ormai la politica estera italiana negli ultimi 30 anni sia peggiorata, però anche nell’essere servi ci deve essere una sua logica, altrimenti si cade nel ridicolo.
Lo dimostra l’articolo del Washington Post sul voto in Siria, per una volta, si va oltre la becera propaganda per analizzare dati di fatto. Lo avessero letto negli uffici della Farnesina, dove magari ci sono anche esperti o presunti tali di Medio Oriente, si sarebbe evitata un’altra figuraccia, non sola da servi, ma anche da sciocchi.
Cosa sostiene The Washington Post? Bene, analizzando le elezioni in Siria, le ha definite un fallimento per la politica estera di Washington. Interpellato in merito, l’ex ambasciatore Usa in Siri,a Roberto Ford ha confermato questa tesi.
Non è un parere a caso, dal momento che Ford fu uno dei sostenitori della rivolta in Siria e addirittura partecipò alle manifestazioni dell’opposizione, in dispregio a qualsiasi regola del diritto internazionale.
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“Le elezioni siriane e il voto del presidente siriano nella città di Douma danno indicazioni che non si possono nascondere a nessuno”, ha detto, spiegando che “è l’indicazione del fallimento della diplomazia americana che ha scommesso su un cambiamento, lontano dal regno della famiglia Assad, concentrandosi sul percorso politico di Ginevra, sotto la morbida tutela delle Nazioni Unite, per 7 anni, senza alcun risultato ”.
Esprimendo il suo voto nella città di Douma, che è stata uno dei focolai di contestazione durante la guerra che ha devastato la Siria in questo decennio, per l’ex diplomatico il presidente Assad ha dimostrato che “la visita di Douma e le elezioni sono una prova che la Siria non è una regione contro un’altra, né una comunità contro l’altra ”.
Secondo Ford, le elezioni “indicano l’assenza di qualsiasi influenza da parte degli Stati Uniti. Altrimenti Assad non avrebbe potuto organizzare una simile campagna con il pieno appoggio delle forze armate e di sicurezza”. Ha sottolineato che “le grandi potenze, come gli Stati Uniti d’America, non possono rimuovere questa persona”.
Il quotidiano nordamericano, da parte sua, ritiene che “la politica americana ai tempi del presidente americano Joe Biden non indica che intende impegnarsi attivamente in Siria” o fare di più che “sostenere gli sforzi per fornire aiuti umanitari”. “Non ha tuttavia ha nominato un inviato speciale per questo”, osserva il Washington Post.
Tratto da: L’Antidiplomatico