Le responsabilità della politica dietro l’inefficienza programmata della giustizia

Le responsabilità della politica dietro l’inefficienza programmata della giustizia

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Tempo di lettura: 12 min

Di Luca Grossi

Nicola Gratteri, Roberto Scarpinato e Davigo intervistati alla Festa de Il Fatto Quotidiano 2021

La crisi del sistema giudiziario italiano e gli interventi consapevolmente dannosi della politica sono stati gli argomenti trattati durante l’ultima giornata della Festa de Il Fatto Quotidiano 2021 intitolata ‘La giustizia al tempo dei migliori’, da Nicola Gratteri, attuale procuratore della repubblica a Catanzaro, Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e dall’ex consigliere togato del CSM Piercamillo Davigo. Con la giornalista Valeria Pacelli i magistrati hanno parlato delle cause a monte della crisi del nostro sistema penale, della riforma della giustizia firmata dal Guardasigilli Cartabia e, soprattutto, dall’attacco continuativo che la politica sta attuando ai danni della magistratura, con il solo scopo di rendere la magistratura docile, obbediente e servente al potere politico.

 

Assalto alla giustizia


Siamo ora all’assalto finale del sistema – ha detto Roberto Scarpinato – e le riforme di quest’ultimo periodo sono riforme di palazzo. Condizionate cioè dall’esigenze di battere il costo e il rischio penale per le classi dirigenti”.

La riforma Cartabia, ha detto Scarpinato “ha stabilito che il parlamentocomposto da nominati dove sostanzialmente a decidere sono le oligarchie dei partiti – ogni anno deve stabilire i criteri di priorità nella trattazione dei processi. Significa stabilire quali processi si debbono fare e quali possono essere lasciati diciamo a marcire”, ossia stiamo parlando di “una forma di amnistia strisciante e permanente. Poi l’improcedibilità dei processi di appello dopo due anni diventa chiaramente una forma di lavacro permanente e non dobbiamo dimenticare che ci sono dei referendum che sono stati proposti dalla destra ma che sono stati sottoscritti anche da pezzi importanti della sinistra” che hanno “come unico comune denominatore ancora una volta quello di garantire l’impunità della classe dirigente. Per esempio il referendum per abolire la legge Severino – fatta in attuazione dell’art. 6 della convezione dell’ONU contro la corruzione e che ha superato per quattro volte il vaglio della Corte Costituzionale – la quale stabilisce che i condannati definitivi per reati gravi e puniti con più di due anni non sono più candidabili“.

Inoltre i promotori del referendum “Riforma Giustizia Giusta” – Lega e Partito Radicale – vogliono introdurre la responsabilità civile del magistrato che, come ha ricordato Scarpinato, “non c’è nessun paese nel mondo. Oggi il cittadino che subisce un danno per una decisione abnorme del magistrato convoca lo Stato che lo risarcisce e poi lo Stato di rivale nei confronti del magistrato, invece in questo modo se chiunque potrà citare in giudizio il magistrato noi buttiamo i magistrati nella fossa dei leoni perché tutti i potentati politici, tutti i potentati economici e tutte le massonerie potranno arruolare schiere di avvocati per attaccare i magistrati scomodi i quali dovranno passare il tempo a difendersi“.

Oltretutto con il referendum si vuole anche introdurre la separazione delle carriere e portare il pm sotto l’esecutivo, ha sottolineato l’ex magistrato ricordando che oltre a questi attacchi c’è anche “la proposta di iniziativa di legge popolare dell’Unione delle Camere Penali che vuole modificare la composizione del CSM: invece che due terzi magistrati e un terzo politici vuole mettere cinquanta percento politici e cinquanta percento magistrati“.

La lettura del quadro è molto chiara per Roberto Scarpinato: “Insomma se noi guardiamo le cose una alla volta noi ci rendiamo conto che la questione giustizia in questo Paese è una questione che è irredimibile a causa del gioco politico“.

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“Vogliono un pubblico ministero che sia sottoposto al potere politico”

Rispondendo alle domande della giornalista Valeria Pacelli in merito alla crisi della giustizia e allo scandalo venuto alla luce con il caso Palamara, Scarpinato ha detto che “la competizione per l’assegnazione degli incarichi direttivi della magistratura giudicante alla politica non interessa” poiché “un presidente di tribunale o un presidente di corte di appello” non “ha potere sociale perché c’è una assegnazione automatica dei processi ai vari giudici“, cosa completamente diversa invece è per “gli incarichi della magistratura requirente, perché mentre un presidente di tribunale o un presidente di corte di appello non ha nessun potere sociale”  un procuratore capo controlla tutta la politica giudiziaria del distretto di riferimento.

Questa gerarchizzazione estrema delle procure è stata fatta dalla “politica nel 2006” quando Castelli, Mastella, Berlusconi e tutto l’establishment “hanno introdotto una riforma – dopo Tangentopoli e Mafiopoli, quando le procure finalmente dopo il crollo della prima repubblica erano diventate procure plurali – con cui avevano deciso che bisognava porre un freno all’anarchia delle procure. Come lo hanno trovato questo freno? Hanno riportato indietro l’orologio della storia e hanno stabilito che il procuratore capo è il capo esclusivo dell’azione penale e il padrone assoluto della procura della repubblica.  Ciò significa che basta la scelta di una persona per condizionare la politica giudiziaria di Palermo, di Milano o di Roma. Tant’è che oggi si parla della procura di Pignatone, di Graco o di Mellillo. Questa è una cosa che io trovo patologica perché una procura della repubblica dove c’è un procuratore capo, dove ci sono dieci aggiunti e settanta sostituti non può essere la procura di tizio o di Sempronio. Perché questo è importante?

Perché è lì che è nato il risico delle procure della repubblica. Alla politica non interessa niente degli incarichi direttivi della magistratura giudicante, ai potentati locali, ai potentati nazionali, gli interessa sapere che il procuratore capo delle procure nevralgiche sia un procuratore che ha interiorizzato la cultura della compatibilità sistemica dell’azione penale con il sistema politico, cioè che si sa autocensurare”. Infatti alla riunione dell’hotel Champagne chi c’erano? Due politici che discutevano con i magistrati. E io credo che se si potessero scoprire gli altarini ci si accorgerebbe che per le nomine delle procure che contano, i rapporti della politica con i magistrati per selezione procuratori affidabili sono la costante. E allora la soluzione non può essere la virtù media del magistrato. Come diceva Sant’Agostino: la somma dei vizi è costante. Siamo tutti peccatori. Quello che conta è eliminare un sistema per cui chi si prende un capo della procura si prende tutta la procura. Bisogna ripristinare un sistema che garantisca che il procuratore della repubblica è un coordinatore ma che non abbia discrezionalità. A Milano il problema è sorto perché il procuratore può decidere se iscrivere o non iscrivere un indagato di reato. Non può esserci questa discrezionalità, ci sono processi contro ignoti che sono processi contro ignori, sono notissimi ma vengono iscritti a distanza di tempo“.

Infine Scarpinato riprendendo dal discorso di Palamara ha detto che secondo lui è “un problema che va sdrammatizzato per quanto riguarda tutti gli incarichi direttivi alla giudicante e che non può trovare una soluzione se non eliminiamo una figura come quella del procuratore capo della repubblica, che è il padrone della politica giudiziaria di interi distretti. Ci deve essere una gestione collegiale ma responsabile ci deve essere un sistema di controllo sulle procure della repubblica che attualmente non c’è“.

L’ex magistrato ha ribadito poi che è stata la politica a volere questo problema, “l’ha voluto creare per controllare il procuratore della repubblica, la politica è pienamente responsabile di questo sistema, non facciamo le vergini violate”. Invece di restituire “al pm la sua indipendenza stanno facendo esattamente il contrario“.

Ma alla politica ora sembra che non gli basti più nemmeno questo. “Ora vogliono un pubblico ministero che sia sottoposto al potere politico che sia sottoposto al parlamento. Io credo che quindi bisognerebbe capire che in realtà il problema è sempre quello dei reati dei colletti bianchi. Poco fa Gratteri ha detto ci sono dieci mila soluzioni, ma se andiamo a chiedere al politico il perché non le attuiamo non ti potrà rispondere. Perché se adottano le sue soluzioni e il sistema funziona le prime vittime sono i colletti bianchi. Quindi c’è un’inefficienza programmata. Quand’è che il processo penale diventerà efficiente? Quando il pm dipenderà dal potere esecutivo, a quel punto ci saranno due giustizie: una velocissima per i cittadini che non contano e un’altra che sarà gestita politicamente per quanto riguarda i colletti bianchi“.

 

“Le classi dirigenti sono il catalizzatore socio politico dell’illegalità”

Ci sono settori delle nostre classi dirigenti che sono le più corrotte del mondo, ha detto l’ex procuratore generale di Palermo – come ci dice la stessa Unione Europea, che sono state le più violente del mondo e che hanno impedito dalla strage di Portella della Ginestra fino alle stragi del 1992 – 93 di scoprire i mandanti delle stragi e che sono compromesse in modo sistematico contro la criminalità organizzata. Non è che le classi dirigenti di altri Paesi siano tutte fiori di giglio, anzi. In Messico abbiamo una classe dirigente profondamente collusa con il narcotraffico e in Francia e in Spagna c’è la corruzione ma noi in Italia abbiamo un problema” ossia “abbiamo una Costituzione che garantisce indipendenza e autonomia alla magistratura e questa miscela tra classe dirigente dedita all’illegalità e indipendenza della magistratura è una miscela esplosiva che ha fatto entrare il nostro sistema in fibrillazione negli ultimi cinquant’anni a questa parte“.

Per Scarpinato, “nella prima repubblica, il sistema aveva trovato gli anticorpi per mettere da parte questa anomalia: la negazione sistematica dell’autorizzazione a procedere che ha ritardato per tanti anni l’esplosione di Tangentopoli, le amnistie – 50 amnistie nella prima repubblica – e le avocazioni dei processi che scottavano da parte dei procuratori generali”. Nella seconda Repubblica tutti questi sistemi sono stati rimossi poiché come ha spiegato Scarpinato “l’autorizzazione a procedere non era più prevista, per fare l’amnistia ci vogliono due terzi del parlamento e i procuratori generali non possono più avocare nel corso delle indagini. Da quel momento questa classe dirigente, che è il catalizzatore socio politico dell’illegalità italiana, ha dovuto mettere in moto due distinte manovre.

La prima è stata la depenalizzazione selettiva dei reati della classe dirigente: dall’abuso d’ufficio, al traffico di influenza e così via. Hanno abbassato le pene, il che non consente più di fare intercettazioni ambientali, hanno ridotto i termini di prescrizione e riducendo i termini di prescrizione e allungando i termini dei processi si è creato un triangolo delle Bermuda che sostanzialmente ogni anno, come ha detto Davigo, continua a fagocitare migliaia e migliaia di processi. La seconda soluzione e che hanno tentato ripetutamente di sottoporre il pm al controllo politico e ci hanno provato e riprovato. Nel 2008 Violante propose una proposta di legge per cui soltanto la polizia poteva iniziare le indagini ma non più il pm. Nell’agosto del 2016, quando tutti gli Italiani erano al mare, il governo Renzi fece un decreto legislativo che stabiliva che tutte le forze di polizia dovevano riferire alla catena gerarchica – al cui vertice c’è il ministero della difesa per i Carabinieri, il ministero dell’Interno per la polizia e il ministero dell’Economia e delle Finanze per la Guardia di Finanza – tutte le indagini della magistratura, il che significava la violazione totale del segreto istruttorio“. E bene ricordare che per risolvere la situazione al tempo è dovuta intervenire la Corte Costituzionale.

E poi ancora, “nel 2017 Orlando ha fatto una riforma (successivamente modificata da Bonafede n.d.r) delle intercettazioni il cui fulcro fondamentale era che la selezione delle conversazioni rilevanti del processo non doveva farla più il pm ma la polizia giudiziaria e la polizia giudiziaria non doveva lasciare traccia né dei nomi né dei cognomi nell’oggetto delle intercettazioni“.

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Il sistema della criminalità di sussistenza come strumento politico

Durante il suo intervento l’ex procuratore generale di Palermo ha ricordato un dato essenziale, ossia che “il sistema penale è lo specchio e la cartina tornasole del sistema Paese, delle sue tare, dei suoi compromessi e soprattutto della realtà di rapporto di forza tra varie componenti sociali” e che se “partiamo da questo dato di realtà dobbiamo rimuovere una menzogna convenzionale e cioè che non tutti sono interessati ad un processo rapido ed efficace che coniugi garanzie e realtà, non è vero. C’è un’ampia parte di questo Paese, trasversale alle varie classi social che per motivi diversi non ha interesse ad una giustizia che coniugi garanzie ed efficienza“.

Pensiamo – ha continuato Scarpinato – alla vastissima area della cosiddetta illegalità di sussistenza” composta da “migliaia di masse popolari condannate al degrado e alla povertà” resa “irreversibile dalle politiche neo liberiste di questi anni, che usano l’illegalità come mezzo per mettere insieme il pranzo con la cena. Pensiamo dai parcheggiatori abusivi, che Salvini ha criminalizzato con l’apposita norma, quelli che vendono la frutta agli angoli delle strade senza l’apposita licenza a quelli che rubano l’energia elettrica con allacciamenti abusivi a quelli che sono inseriti nella filiera della criminalità organizzata“.

Questo mondo sommerso forma, ha detto Scarpinato “un’illegalità di sistema” possibilmente eliminabile tramite l’investimento in “politiche riformiste di inclusione, ma se i soldi non si vogliono investire” sul dire che si usa l’illegalità di sistema come ammortizzatore sociale: Io non intervengo per eliminare la tua povertà, tu fai quello che puoi“.

Da qui ne deriva un sistema penale di “pura esibizione muscolare” ha detto Scarpinato, poiché molte delle condanne inflitte a questo strato sociale non possono essere attuate. “I reati come le contravvenzioni sono destinati tutte alla prescrizione perché si prescrivono in quattro anni, le pene pecuniarie inflitte dopo tre gradi di giudizio non si possono riscuotere perché sono tutti poveri o impossidenti” e poi ci sono le condanne che vengono convertite in pene alternative il che significa “ti rispedisco nello stesso inferno sociale da cui sei venuto perché c’è un assistente sociale ogni cento carcerati. Diciamo questa illegalità di sussistenza fa parte dell’equilibrio del sistema“.

Infine, ha detto Scarpinato, “c’è l’illegalità diffusa. Dall’evasione sociale all’abusivismo edilizio. Che non è un problema ma una risorsa. È un immenso serbatoio elettorale conteso da tutte le forze politiche che fanno a gara per proporre senatori e indulti“.

 

I miliardi dell’Europa in mano alle mafie

Roberto Scarpinato si è anche soffermato a parlare dei soldi del piano Ripresa e Resilienza guidato dall’esecutivo. “Siamo in una fase in cui tutti parlano della necessità di approfittare dell’occasione storica dei miliardi del piano di Ripresa e Resilienza, ma questi miliardi dove finiranno? È diventata la stagione di mani libere. C’è una deregolarizzazone selvaggia” che si è scatenata “sull’onda di accelerare l’erogazione dei fondi pubblici: hanno eliminato o reso evanescenti tutti i controlli preventivi e successivi, gli appalti sotto i 150 mila euro si possono fare con affidamento diretto, quelli a 300 mila con procedure semplificate, hanno abolito l’uso d’ufficio, hanno abolito la responsabilità contabile anche per colpa grave, il che significa che mentre prima il pubblico amministratore doveva risarcire lo Stato se per dolo o colpa grave sprecava i soldi pubblici ora non è più possibile“.

E poi ancora “se è vero quello che dice l’Europa” ossia che “il costo della corruzione è di 60miliardi l’anno, cioè pari al 3,8 percento, possiamo dire che il 30 – 40 percento dei fondi europei finiranno nel buco della corruzione, nel buco nero dei sistemi criminali e mentre noi siamo qui a cercare di difendere quello che resta degli anticorpi di questa democrazia, nel frattempo i soliti noti si prenderanno i soldi della ripresa e questo Paese continuerà ad avere una illegalità di sussistenza, di poveri che sono destinati a restare poveri perché si sono rotti gli ascensori sociali, e questa illegalità di sussistenza è figlia delle classi dirigenti perché se tu i soldi invece di investirli in sanità e di investirli nel recupero dell’emarginalità li dai ai grandi gruppi industriali la povertà si riprodurrà“.

Sul punto si è anche espresso l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo il quale ha ricordato che “tutto questo entusiasmo per i soldi europei che arrivano io non lo condivido, perché sono prestiti” e si sa che i prestiti vanno restituiti con gli interessi.

 

Le riforme non volute del sistema penale

Nei 57 minuti di tempo è intervenuto anche il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri il quale ha detto che “io mi sono sentito umiliato come italiano quando il presidente del consiglio Draghi e quando la Ministra Cartabia hanno detto che se non facciamo questa modifica l’Europa non ci dà i soldi. Io da italiano sapendo che l’Italia è stato uno degli Stati che ha contribuito all’istituzione dell’Europa, dovendo pensare che se non facciamo le riforme l’Europa non ci dà i soldi allora siamo ridotti all’elemosina, siamo quasi come accattoni“.

Ma come è stato già detto la riforma non vuol dire buttare l’acqua sporca col bambino – ha detto Gratteri – la riforma doveva essere fatta per velocizzare i processi non” per istituire “la ghigliottina“. “Allora ci è stato detto che ci hanno dato questi termini: due anni per il processo di appello e un anno per la cassazione. Allora hanno ascoltato i procuratori generali d’Italia e i presidenti di corte di appello in Italia i quali hanno detto che mediamente il 50 percento dei processi non poteva arrivare a conclusione, quindi né in appello né in cassazione. Quindi dal momento che i procuratori generali e i presidenti di corti di appello ti dicono questo perché insisti?” ha domandato Gratteri.

Inoltre “poi hanno fatto una sorta di elenco e io non ero d’accordo con l’elenco. Per due motivi. Intanto perché i reati di mafia, a meno che non sono maxi processi, sono quelli che si celebrano, perché sono quelli con detenuti, quindi non c’erano i problemi con i due anni, non c’era il problema della cassazione”. E poi ancora “questo elenco non mi convinceva – ha detto Gratteri – anche perché questo vuol dire che è la politica che decide l’agenda dei processi, quindi non tutti i processi sono uguali di fronte alla legge a questo punto. E io poi al sottosegretario Sisto in un’altra trasmissione ho detto: scusi ma i reati nei confronti della pubblica amministrazione, corruzione, concussione e peculato non le fanno impressione? Perché non li ha messi in quell’elenco?’ Non ho avuto risposta“.

Oltretutto Gratteri ha fatto poi un esempio in cui ha riassunto gli effetti della riforma, partendo dai casi più comuni: “Pensiamo all’omicidio colposo. Un operaio cade dal quarto piano, viene condannato il datore di lavoro, quel processo sicuramente non si celebrerà nei due anni perché sarà un processo senza detenuti. E allora a quel punto ai figli di tre e cinque anni e alla vedova cosa gli diciamo? La vedova per avere un risarcimento dovrà fare una causa a parte. Allora non mi pare a me questa la soluzione di un problema perché in Italia si procede sempre con la ghigliottina“.

Per Gratteri è necessario ragionare a monte per risolvere il problema, “facciamo lavorare tutti a regime, cioè mi spiegate perché in Sicilia con 5 milioni di abitanti ci sono quattro corti di appello? Mi spiegate perché in Molise ogni 12 chilometri e mezzo c’è un tribunale e ci sono procure con un procuratore e un sostituto? Mi spiegate perché ci sono circa 250 magistrati fuori ruolo? Cioè hanno vinto il concorso per fare il magistrato e per fare indagini e fanno i consulenti nei ministeri. Faccio un esempio: al ministero degli esteri a che serve un magistrato? Un professore associato di diritto internazionale e comunitario ti costa la metà in termini di stipendio e nel frattempo il magistrato può fare il lavoro per il quale ha vinto il concorso. Poi pensiamo ad informatizzare. Voi lo sapete che ogni mattina in Italia, 4mila carabinieri vanno in giro a fare i messi notificatori. Non si potrebbe dare ad ogni cittadino, come il codice fiscale, una PEC (posta elettronica certificata) e se indigente lo Stato gli paga la PEC? Quindi se noi ragioniamo in questi termini ed andiamo a cercare 10mila soluzioni a monte (sono tutte piccole medie e grandi cose) se le mettiamo a regime non c’è bisogno della tagliola“.

Infine il procuratore capo di Catanzaro ha detto che “questa riforma ci ha tagliato le gambe anche sul piano psicologico” e rispondendo alle domande di Valeria Pacelli sul caso Palamara ha detto che “Palamara non votava da solo. Io penso che a monte bisogna riformare il CSM per ridurre lo strapotere delle correnti. Penso che a questo punto il sistema migliore sia il sorteggio punto – anche a costo di cambiare se necessario la costituzione – perché anche facendo prima il sorteggio e poi i voti tra quelli sorteggiati hai sempre all’interno gli appartenenti alle correnti e quindi la corrente dice: votate quelli. Quindi la mamma di tutte le riforme deve essere quella del Csm e da lì partiamo“.

VIDEO Festa del Fatto Quotidiano – “La giustizia al tempo dei migliori”, rivedi la diretta con Davigo, Gratteri, Scarpinato e Pacelli

Tratto da: Antimafiaduemila

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