Aaron Pettinari
Con sé porta tanti misteri del passato e del presente. Fu condannato per il crac del Banco Ambrosiano e l’associazione segreta P3
Quando si guarda ai grandi misteri d’Italia c’è un nome che è spesso ridondante: quello dell’imprenditore e faccendiere Flavio Carboni. Aveva compiuto 90 anni da pochi giorni, ma due notti fa è deceduto a causa di un infarto.
Ed ovviamente c’è già chi ha iniziato a tessere le sue lodi, parlando di persecuzioni e accuse basate su dietrologie.
La realtà è ben diversa.
Quello di Carboni è un nome che è finito al centro di diversi interessi investigativi sin dagli anni Settanta.
Il suo primo arresto è datato 1982.
Figura discussa capace di muoversi nel mondo delle società immobiliari e finanziarie, ma anche nell’editoria.
Fu proprietario del 35% del pacchetto azionario della ‘Nuova Sardegna’ ed editore di ‘Tuttoquotidiano’, per il fallimento del quale era stato condannato in primo grado e assolto in appello, per vizio di forma.
Carboni ha intrattenuto rapporti con personaggi come l’agente segreto Francesco Pazienza, il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli (ma lui ha sempre negato di averlo conosciuto), il boss mafioso Pippo Calò e l’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Armando Corona.
Va ricordato che è stato imputato di numerose accuse (falso, truffa, bancarotta fraudolenta, riciclaggio), eppure l’unica sentenza di condanna definitiva è quella del 22 aprile 1998. Carboni venne condannato a 8 anni e 6 mesi di reclusione nel processo per il crac del Banco Ambrosiano, unitamente a Umberto Ortolani e Licio Gelli, ai quali vennero inflitti dodici anni, e a Francesco Pazienza, condannato a otto anni.
Diversamente fu assolto dall’accusa di coinvolgimento nell’omicidio del banchiere Roberto Calvi per insufficienza di prove.
Ma nell’inchiesta dei dei magistrati di Roma Tescaroli e Monterone emersero degli elementi che collegavano Flavio Carboni e Pippo Calò all’omicidio del banchiere Roberto Calvi. Flavio Carboni era infatti sospettato di aver intrattenuto rapporti di un certo spessore con il banchiere assassinato, del quale avrebbe — successivamente alla sua morte — ricettato la borsa e i documenti contenuti, vendendoli ad un alto prelato dell’Istituto per le Opere di Religione, monsignor Pavol Hnilica. Per tale ricettazione Carboni il 2 marzo 2000 fu condannato con il pregiudicato romano Giulio Lena, mentre monsignor Hnilica (che intendeva proteggere, dichiarò, il buon nome della Chiesa cattolica e di papa Giovanni Paolo II) fu assolto per aver agito in stato di necessità. La prima sentenza fu dichiarata nulla per vizio di procedura, ma ne seguì dopo poco un’altra che confermava i dispositivi della prima. In appello Carboni e Lena vennero assolti.
Successivamente, nel 1997 fu emessa un’ordinanza di custodia cautelare a carico di Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di essere i mandanti dell’omicidio. E’ così che nell’ottobre 2005 il noto faccendiere, con l’ex compagna Manuela Kleinszig, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi, esponente della Banda della Magliana, finirono a processo.
Venne assolto in primo grado dall’accusa di omicidio aggravato e premeditato in danno di Calvi, anche per effetto dello smascheramento del falso alibi inizialmente fornitogli da una parente residente nella capitale inglese.
Colpo di scena nel caso Rossi, la mail dove annunciava il suicidio creata dopo la morte
L’inchiesta del pm Luca Tescaroli
Nel marzo del 2007 il pm Luca Tescaroli aveva invece chiesto l’ergastolo per Pippo Calò, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor, accusato di essere stato uno degli esecutori materiali del delitto; assoluzione piena era stata invece richiesta per la Kleinszig. Nel giugno di quello stesso anno arrivò per tutti l’assoluzione per insufficienza di prove. Dal processo risultò comunque provato il dato che Cosa Nostra avesse utilizzato “il Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio”.
Sull’esito di quel processo il magistrato Luca Tescaroli, oggi procuratore aggiunto a Firenze, al ‘Corriere della Sera’ ha ricordato che l’assoluzione di Carboni avvenne ai sensi dell’art. 530 2 c. C. P. , ovvero ‘motivazione insufficiente o contraddittoria’. Cioé la vecchia insufficienza di prove, non dunque del tutto liberatoria”. Nel maggio 2010 le assoluzioni furono confermate anche in appello.
Nel 2016, sempre su richiesta del pm Tescaroli, venne archiviata un’altra indagine che vedeva indagati Licio Gelli (deceduto nel frattempo, accusato di essere l’organizzatore dell’omicidio), il finanziere svizzero Hans Albert Kunz, l’ex agente segreto Francesco Pazienza (condannato definitivamente per il crac del Banco Ambrosiano), Maurizio Mazzotta (segretario di Pazienza), Vincenzo Casillo (il braccio destro di Raffaele Cutolo morto sette mesi dopo Calvi) e di nuovo Flavio Carboni, tutti collegati alla fase esecutiva del delitto. Nel 2018 venne condannato in primo grado nel processo sull’associazione segreta P3.
Quell’inchiesta, in cui era indagato per concorso in corruzione nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti per l‘energia eolica in Sardegna, lo vedeva accusato in compagnia di altre figure di spicco come l’ex senatore di Forza Italia Denis Verdini, l’allora sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e l’ex parlamentare di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.
Tutti insieme indagati per violazione della legge Anselmi sulle società segrete attraverso una organizzazione volta a “condizionare il funzionamento degli organi costituzionali” intervenendo anche sul Lodo Alfano con pressioni sui giudici della Corte Costituzionale.
In base alla sentenza di primo grado del 2018 l’associazione P3 violava la legge Anselmi e puntava a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e apparati della pubblica amministrazione “con l’obiettivo di rafforzare sia la propria capacità di penetrazione negli apparati medesimi mediante il collocamento, in posizioni di rilievo, di persone a sé gradite, sia il proprio potere di influenza, sia la propria forza economico finanziaria”.
Nello stesso processo Verdini è stato assolto dall’accusa di far parte dell’associazione, ma condannato a un anno e tre mesi (e a una multa di 600mila euro) per il finanziamento illecito al partito.
Dell’Utri, diversamente, si salvò nel 2019 grazie alla prescrizione. Le accuse si riferiscono ai rapporti intercorsi con l’imprenditore Flavio Carboni (condannato in primo grado a 6 anni e mezzo nel processo principale), per la parte dell’inchiesta che riguardava il business dell’eolico in Sardegna.
La posizione nei confronti del fondatore di Forza Italia (già condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa), era stata stralciata a causa della sua latitanza in Libano e nei suoi confronti la stessa Procura aveva chiesto l’assoluzione per i reati associativi e la prescrizione per l’accusa di corruzione.
L’ultima sentenza a suo carico risale al 18 gennaio quando è stato condannato per riciclaggio dei proventi delle fatture inesistenti emesse dall’imprenditore Valeriano Mureddu, che nel 2014 fece da tramite tra lui e l’allora vicepresidente di Banca Etruria Pierluigi Boschi.
Ma non c’è solo questo. Perché il nome di Carboni compare anche in altri misteri come la morte di Pasolini e vi sono anche note del Sismi in cui si parla dei suoi rapporti con Abbruciati, boss della Magliana.
Durante il sequestro Moro, per esempio, avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l’intervento della mafia per la sua liberazione. Qualche giorno dopo Carboni riferì però che la mafia non voleva aiutare Moro perché troppo legato ai comunisti.
Carboni fu anche vicino all’allora imprenditore Silvio Berlusconi, prima che scendesse in politica. Ne è stato socio in affari per il progetto Costa Turchese, noto anche come ‘Olbia 2’. Nel 2010 è stato ascoltato anche come testimone per la scomparsa di Manuela Orlandi, per i rapporti che avrebbe avuto in Vaticano e con alcuni esponenti della banda della Magliana. Certo è che Carboni ora non potrà più testimoniare. E con sé si porta tanti segreti che avrebbero potuto far tremare in molti.
Tratto da: Antimafiaduemila