di Salvo Vitale
La scandalosa notizia della richiesta di 120 milioni di compenso, per un anno di amministrazione giudiziaria dell’Italgas, avanzata da parte di quattro “esperti” nominati da a suo tempo dal collegio che decideva le misure di prevenzione, composto da Silvana Saguto e dai suoi collaboratori Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte, è l’ennesima conferma di quanto avrebbe bisogno di essere rivista la legge che dà in mano a un giudice il potere di sequestrare preventivamente, lasciando a successivi accertamenti, a carico del “preposto”, l’onere della prova, cioè la dimostrazione d’innocenza. Praticamente una condanna senza sentenza. E di condanna si tratta, dal momento che le aziende messe sotto sequestro, nel 90% dei casi sono destinate al fallimento e alla chiusura, proprio a causa dell’amministrazione giudiziaria che non provvede alla prosecuzione dell’attività, ma alla sua messa in liquidazione. I quattro “cavalieri”, in questo caso sono Andrea Aiello, avvocato, Sergio Caramazza, ingegnere, Marco Frey, docente universitario di Pisa e Luigi Saporito, commercialista milanese: dovendo scegliere tra un minimo e un massimo, hanno scelto naturalmente di chiedere il massimo, sostenendo che la loro richiesta, che consentirebbe di dividersi 30 milioni a testa dell’intero compenso, sia stata fatta nel rispetto scrupoloso del dpr 177 del 2015, secondo il quale le parcelle sono rilevabili da due parametri, lo 0,5% dei ricavi e il 5% degli utili. La Italagas è una grossa azienda di Bergamo, di dimensioni nazionali, legata alla Snam, che conta, in Italia, 1.500 concessioni, una rete di distribuzione di 53mila chilometri e 6 milioni di utenze a cui fornisce gas per quasi 7,5 miliardi di metri cubi. Inoltre è titolare di una serie di società controllate operanti in Argentina, Brasile, Grecia, Portogallo, Spagna, Ungheria, al punto da diventare un gruppo internazionale che supera i 10.000 dipendenti. In Italia conta 3300 dipendenti e milioni di utenti, con un fatturato di un miliardo e trecento milioni. Sulla base dei ricavi e degli utili sono state preparate le parcelle. In pratica, se si trattasse di mafia, sarebbe un vero e proprio pizzo, tenendo conto che, per contro, i compensi di amministratori giudiziari delle piccole attività sono o dovrebbero essere irrilevanti.
Sul GdS leggiamo che questi compensi dei quattro esperti dovrebbero essere a carico dell’Erario, previa valutazione e decisione dell’attuale giudice che presiede le misure di prevenzione, Raffaele Malizia, il quale potrebbe dimezzare o ridurre anche di tre quarti la richiesta, salvo ricorsi da parte dei “lesi”, ma anche in tal caso, si potrebbero calcolare una quindicina di milioni a testa, per un anno di “lavoro” dei quattro superesperti. Compensi da lasciare allibiti, non solo in Italia, ma in ogni parte del mondo. La tariffa, che avrebbe dovuto essere a carico dell’azienda, diventerebbe a carico dello stato poiché la Corte d’appello, a suo tempo presieduta da Maria Letizia Spina, è arrivata alla conclusione che l’amministrazione giudiziaria era ingiustificata, non essendoci condizioni né fatti presenti e passati a dimostrazione che la Italgas avesse favorito la mafia. Quindi, avendo lo stato sbagliato dovrebbe pagare lo stato e non l’azienda. L’azienda invece dovrebbe pagare, anzi ha già pagato a parte, per un ammontare di circa 6 milioni, 43 collaboratori nominati dagli amministratori, i quali da soli non ce la facevano, e un centinaio di coadiutori per le operazioni di immissione in possesso e altre adempienze.
Ma è il caso di dare un’occhiata a tutta la vicenda, dai contorni incredibili: l’operazione è preparata dal collegio del Presidente Saguto. L’antefatto risale al 1998, allorché Salvatore Vito Cavallotti e i suoi fratelli vengono arrestati per reati legati al 416 bis, da cui, nel 2001 vengono assolti e scarcerati, dopo 30 mesi di reclusione, dietro richiesta del rito abbreviato “perché i fatti non sussistono”. Nel 2002 la Corte d’Appello ribalta la sentenza con una condanna e, dopo altre vicende processuali, nel 2011 i Cavallotti vengono definitivamente assolti da ogni accusa: di conseguenza non sono ritenuti vicini ad esponenti mafiosi di alcun tipo. Parallelamente procede il sequestro dei loro beni, affidati all’amministratore giudiziario Modica de Moach, che in breve distrugge ogni frammento dell’azienda. I figli dei Cavallotti, rincuorati dall’assoluzione, a partire dal 2006 danno vita a una nuova azienda, la Euroimpianti plus, che viene posta sequestro il 22 dicembre 2011 dal collegio della Saguto e affidata in amministrazione giudiziaria ad Andrea Aiello, che si rifiuta di far lavorare in qualsiasi modo i figli titolari. L’accusa è quella della riconducibilità delle aziende ai fratelli Cavallotti, come al solito accusati di essere vicini ai mafiosi Benedetto Spera e Bernardo Provenzano, malgrado la definitiva assoluzione e la scomparsa, da tempo, dalla scena, dei mafiosi citati. Ma il colpo più grosso è messo a punto da Aiello, allorchè egli scopre che l’azienda da lui amministrata,ha eseguito in Sicilia dei lavori commissionati dalla Italgas, La EuroImpianti aveva vinto alcuni appalti in Sicilia e Liguria e si occupava della manutenzione di alcune reti controllate da Italgas. Il boccone è grosso, troppo grosso per lasciarselo scappare: nel luglio 2014, su sollecitazione di Aiello la Saguto e i suoi collaboratori dispongono il sequestro di Italgas, che secondo i giudici “aveva sicuramente cognizione del fatto che la Euroimpianti pur se formalmente intestata ai giovanissimi figli di Cavallotti Vincenzo e Cavallotti Gaetano, era di fatto gestita dai predetti imprenditori”. Intanto l’ufficio misure di prevenzione decide di cambiare amministratore e affida i resti della Comest ad Andrea Aiello, già amministratore della Euro Impianti che, nel 2014 è messa in liquidazione. Secondo i Pubblici ministeri la Comest avrebbe ceduto alcuni rami d’azienza alla Italgas, con la conseguenza che i Cavallotti, sempre in sospetto di mafia, avrebbero inquinato la Italgas. Si noti che al momento della cessione del ramo d’azienda, la Comest era in amministrazione giudiziaria. La cessione sarebbe stata disposta dall’amministratore giudiziario Modica De Moach con l’autorizzazione dei giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Attraverso numerose istanze i Cavallotti si erano opposti a quella cessione, nella convinzione che la stessa avrebbe impoverito il patrimonio aziendale. E tuttavia, su proposta del P.M. Dario Scaletta, dietro istanza fatta da Aiello, il trio Saguto, Licata, Chiaramonte non si lascia scappare il grosso boccone e , con la scusa o l’accusa di un ipotetico pericolo di infiltrazioni mafiose affida proprio ad Aiello, che intanto aveva già chiesto alla Italgas un milione e mezzo di euro per il pagamento di alcuni lavori eseguiti dalla Euroimpianti, l’incarico di “ripulire” l’azienda assieme ad altri tre amministratori, l’ing. Caramazza, Frey e Saporito, che nominano a sua volta altri 43 coadiutori, ai quali la Italgas è costretta a versare parcelle di circa 140 mila euro a testa. E’ chiaro che la Euroimpianti non avrebbe potuto sottoscrivere alcun accordo senza la firma dell’amministratore giudiziario, ma Scaletta e il terzetto di giudici delle misure di prevenzione non hanno preso in considerazione questa elementare considerazione. Per la Italgas non finisce qui: un anno di amministrazione giudiziaria, è costato circa sette milioni di euro, ma il tribunale-Saguto non vuole mollare il controllo e studia un sistema di “amministrazione vigilata”, cioè riconsegna l’azienda, nel luglio 2015, ma le applica la misura del controllo giudiziario per la durata di alcuni anni cos’ che la Italgas è indotta dal Tribunale a nominare un organo di vigilanza composto dai professori universitari Fiandaca, Perini e Varraso, cui si associano tre consulenti e coadiutori, naturalmente dello studio di Aiello, Amenta, Mesina e Giuffrida, che hanno assistito Aiello nel suo anno di amministrazione. La formula consente all’azienda di tornare a gestire direttamente le sue attività, e quindi esonera il tribunale da questo difficile compito, e nello stesso tempo consente di continuare a pagare una serie di persone che “vigilano”, cioè stanno a guardare, affinchè non si verifichino infiltrazioni mafiose, anche solo presunte. Con tante bocche da riempire, ad oggi questo scherzetto è costato all’Italgas circa 30 milioni. A parte i 120 milioni che dovranno essere pagati ai quattro “cavalieri”, tra i quali Aiello. Conclusione; è stata prosciolta da ogni accusa la Italgas, è stato giudicato immotivato il sequestro, sono stati riabilitati i Cavallotti, padri e figli, ma senza che sia stato previsto alcun rimborso per tutti i soldi sborsati dalla Italgas o per i danni causati alla Comest e alla Euroimpianti: quest’ultima è praticamente fallita , diverse famiglie sono rimaste in mezzo alla strada, lavoratori hanno perso il posto e qualcuno ha tentato il suicidio, mentre i fornitori aspettano ancora di essere pagati. Il tutto grazie all’oculata amministrazione di Aiello e soci che adesso chiedono 120 milioni di euro. Se uno si permettesse di dire che, svelato l’inghippo, toccherebbe alla Saguto e ai suoi soci (complici?) pagare i danni, sarebbe accusato di attentare alle regole intoccabili dello stato e all’amministrazione della giustizia in Italia. E naturalmente, guai a parlare di riformare la legge: si corre il rischio di vedersi calare sulla testa l’accusa di essere amico dei mafiosi o di voler fare i loro interessi.
Tratto da: Antimafiaduemila
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