Di Jamil El Sadi
Doppia fiducia sulla Riforma Cartabia e il Movimento 5 Stelle ricompattato contro ogni pronostico. Sono i due risultati ottenuti al termine dei lavori della Camera dei Deputati.
Per ben due volte consecutive è passata alla Camera la fiducia posta dal governo Draghi sulla riforma del processo penale firmato da Marta Cartabia, con 462 e 458 voti favorevoli e una cinquantina di contrari. La proposta di legge, come uscita dalla Commissione Giustizia, consiste in due soli articoli, condensati dai 18 del testo base depositato dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede nella scorsa legislatura. Il primo contiene la delega al Governo sui vari aspetti della riforma; il secondo invece modifica direttamente alcune norme del codice di procedura penale. Quest’ultimo articolo è proprio quello che introduce il meccanismo dell’improcedibilità, ormai oggetto di ampio dibattito politico. Come già anticipato nei giorni scorsi, il Governo ha posto la questione di fiducia su entrambi gli articoli e il voto è stato di tipo nominale con l’ammissione di una sola dichiarazione di voto sui due articoli.
Quella di ieri è stata una seduta fiume. Il dibattimento, infatti, è proseguito ininterrottamente fino all’esaurimento dei punti all’ordine del giorno. E, una volta terminata a notte fonda, ha visto ricompattarsi il Movimento 5 stelle in cui solo 24 ore prima si erano fatte notare un quarto delle defezioni e un voto in dissonanza dal gruppo. Quello di Alessandro Melicchio: l’unico deputato di maggioranza a votare favorevolmente sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate dall’opposizione, ma che alla fine si è allineato ai suoi colleghi nel dare il via libera alla doppia fiducia. Era stato il leader pentastellato – ancora “in pectore” – Giuseppe Conte a chiedere ai suoi, al termine del primo giorno in Aula, un cambio di rotta. Le 40 assenze nei banchi del Movimento non gli erano piaciute e, men che meno, l’atteggiamento di Melicchio a cui aveva detto: “D’ora in poi queste cose devono cambiare”.
Infine, ci fu la promessa fatta alla ministra Marta Cartabia: “Oggi andrà tutto bene”. E così è stato. Basti pensare che la percentuale dei pentastellati partecipanti al voto dal 66,04% di domenica sera sulla pregiudiziale di costituzionalità ha raggiunto quota 87,42% di stanotte sulla prima fiducia. Su 159 votanti solo tredici non hanno preso parte al voto: l’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi insieme ai colleghi D’Arrando, Iorio, Mammì, Parentela, Segneri, Buompane, Federico, Frusone, Lorenzoni Gabriele, Misiti, Pignatone e Vianello.
Tra gli altri gruppi parlamentari, invece, quello che ha registrato la percentuale più alta di votanti è stato il Pd con l’89,5%.
C’è chi dichiara di aver lavorato con serietà alla riforma “contribuendo a superare estremismi inaccettabili, tra chi la etichettava come ‘schifezza’ e chi diceva ‘guai a toccarla”, come il democratico Walter Verini; chi invece ha protestato in aula esponendo alcuni cartelli con su scritto “Impunità di gregge”, come gli ex 5s ora in “Alternativa c’è”. Infine, c’è chi come il forzista Roberto Occhiuto ha sottolineato la grande fiducia nel Governo nonostante la necessità di ulteriori miglioramenti al sistema Giustizia.
Ma al di là delle chiacchiere e dei commenti, ciò che conta in una votazione sono i numeri. E i numeri parlano chiaro e senza il bisogno di essere commentati.
La Riforma Cartabia ha ricevuto una doppia fiducia alla Camera nonostante i numerosi moniti lanciati dal Csm, dal capo della Procura Nazionale Antimafia, dalle principali Procure della Repubblica, da esperti di diritto, avvocati professori, ex procuratori generali di Cassazione, ecc. Tra i nomi compaiono anche Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Sebastiano Ardita, Fabio Repici e tanti altri. Allarmi reiterati nel tempo circa la messa in pericolo dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura dal potere politico; il rischio di un vertiginoso aumento d’impunità per reati gravissimi a causa del regime dell’improcedibilità; la totale assenza di un effettivo rimedio dei tempi – spesso “biblici” – dei processi penali; e il pericolo di contribuire all’impunità dei colletti bianchi e dei grandi potentati dotati di avvocati prezzolati dimenticandosi delle vittime che, come ha dichiarato in una nostra intervista l’ex magistrato e avvocato Antonio Ingroia, “sono gli innocenti del processo”.
Tratto da: Antimafiaduemila