Giorgio Bongiovanni e Jamil El Sadi
Ospite di Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” su Rai3, il consigliere togato ha parlato dei fattori che minano la magistratura
“Credo che lo ‘scandalo Palamara’ non sia altro che l’epilogo di un lungo percorso in cui la malattia si è insinuata nel corpo della magistratura sotto varie forme: innanzitutto con la degenerazione correntizia”. Così Nino Di Matteo, già sostituto procuratore di Palermo e oggi consigliere togato del Csm, intervenendo su Rai3 – in collegamento da Palermo – nel programma “Mezz’ora in più”, condotto da Lucia Annunziata, in merito alla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura invocata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ai recenti scandali che hanno caratterizzato l’ultimo periodo della magistratura.
Il magistrato, che di recente ha pubblicato un libro per Rizzoli, insieme al giornalista e scrittore Saverio Lodato, dal titolo “I nemici della giustizia” – che verrà presentato per la prima volta mercoledì 1° dicembre a Palermo, alle ore 18, presso il Cinema Rouge et Noir (Piazza Verdi, 8) – assieme alla conduttrice del programma ha avuto modo di dibattere e affrontare in maniera dettagliata tutti i problemi legati al mondo giudiziario odierno, descrivendo anche i profili di quelle cordate e correnti che in questi anni hanno compromesso il respiro democratico del terzo potere dello Stato.
Lucia Annunziata, prima del consigliere Di Matteo, ha ospitato in videocollegamento il Ministro della Salute Roberto Speranza ed il presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco Giorgio Palù, per approfondire quanto recentemente emerso in merito alla variante Omicron: una nuova forma virale che ha già posto restrizioni sui viaggi, fatto crollare i mercati e turbato fortemente tutto l’establishment internazionale.
I nemici della giustizia
Come cappello introduttivo al primo intervento di Nino Di Matteo, è stato mostrato il video del discorso fatto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al decennale della Scuola superiore della magistratura, in cui ha fatto riferimento “alle radici deontologiche della magistratura”, alla valorizzazione dell’imparzialità, alla “irreprensibilità delle condotte individuali, rifuggendo dalle chiusure dell’autoreferenzialità e del protagonismo” e, inoltre, all’attività del Csm che “sin dal momento della sua composizione, deve mirare ad analizzare le indiscusse professionalità su cui la magistratura può contare senza farsi condizionare dalle appartenenze e dedicando particolare attenzione anche alla promozione della parità di genere”. Da queste parole il là per la conduttrice di chiedere “chi sono i nemici della giustizia?”.
“Sono tanti e non sono certamente soltanto i criminali, i corrotti e i mafiosi. Sono purtroppo anche nell’ambito istituzionale, politico e della stessa magistratura – ha esordito Di Matteo –. Sono coloro i quali vorrebbero approfittare del particolare momento di debolezza della magistratura per un regolamento di conti contro quei magistrati che hanno osato innalzare il livello delle inchieste. Coloro i quali vogliono vendicarsi della magistratura per questo motivo, vogliono spuntare e tarpare le ali alla stessa per renderla più collaterale e servente rispetto al potere politico”. Ma i nemici della giustizia, ha precisato il consigliere togato, “sono anche quei magistrati che dicono di voler cambiare ma in realtà trovano comodo e continuano a vivere nel sistema malato che si è determinato negli ultimi anni”. L’intervento del Capo dello Stato “è molto importante perché il Presidente Mattarella dimostra di avere veramente a cuore l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e sferza, con il suo monito, una magistratura che in certi momenti mi pare ancora in preda al torpore e ad una rassegnazione”. “Affermando che non sono sufficienti le sole riforme e che intanto dobbiamo auspicare ad un risveglio etico della magistratura, un ritorno ad un senso alto del proprio ruolo, un richiamo alla irreprensibilità delle condotte anche private, all’imparzialità, alla lontananza da ogni centro di potere, credo che quello sia l’incoraggiamento più importante che la più alta carica dello Stato possa dare a tutti i giovani magistrati”.
Il correntismo della magistratura
Altro tema dibattuto durante la trasmissione condotta da Lucia Annunziata è stato quello delle correnti della magistratura, “nate legittimamente come centri di aggregazione culturale nel dibattito sulla giustizia – ha spiegato il magistrato –, ma trasformatesi in centri di gestione di potere e sottopotere che vogliono condizionare la carriera del magistrato dalla nomina, ai trasferimenti, alle promozioni, agli incarichi direttivi”. Tra le varie forme di malattia di cui soffre la magistratura oggi c’è “il carrierismo”. C’è stata, e persiste ancora, “una corsa sfrenata agli carichi direttivi, quando invece la bellezza di fare il magistrato consiste nella consapevolezza dell’importanza di condurre le inchieste, fare le sentenze a tutela dei diritti dei più deboli, alla ricerca della verità processuale”. Un’altra forma malata di gestione del potere, che sempre di più si è infiltrata nella magistratura, “è quella del collateralismo con la politica”. Sempre più spesso, ha spiegato Nino Di Matteo, “le decisioni di alcune parti della magistratura sembrano orientate a seguire dei criteri di opportunità e non di doverosità giuridica. Come se ogni volta si valutassero dal punto di vista dell’opportunità politica le conseguenze di ciò che noi dobbiamo fare”. Ma il fatto che si è arrivati a questo punto, continua il magistrato, “nel libro che ho realizzato con Saverio Lodato lo abbiamo scritto, è un bene, perché solo toccando il fondo si può risalire. Noi non dobbiamo aver paura, non dobbiamo minimizzare, non dobbiamo nascondere la polvere sotto al tappeto e non dobbiamo dimenticare. Dobbiamo reagire e per fare questo è necessaria un’operazione-chiarezza che deve partire dal Csm e si deve estendere a tutti i settori della magistratura. Solo così potremo riacquistare quella credibilità e quell’autorevolezza verso l’esterno che è fondamentale per il nostro sistema democratico”.
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Delegittimare tutta la magistratura per distruggere processi ai poteri forti
A proposito di ingerenze e influenze politiche all’interno della magistratura, Nino Di Matteo con determinazione e convinzione afferma che “ci sono stati alcuni casi, molti casi, in cui, al di là delle inchieste più importanti conosciute dall’opinione pubblica, i magistrati sono stati in qualche modo orientati in un senso o nell’altro da propri convincimenti personali”. Ma in questa fase storica “sembra quasi che si voglia far credere che i mali e gli scandali della magistratura siano stati comunque la condizione essenziale che ha guastato i processi più importanti che sono stati fatti, soprattutto quelli che hanno coinvolto uomini politici e del potere in generale”. “Per me non è così – ha esclamato –. Una cosa sono quei mali della magistratura che vanno denunciati, debellati e fatti conoscere all’opinione pubblica, ma non va bene partire da quei mali e dire: ‘Guardate che i processi che sono stati fatti (esclusivamente i processi al potere) sono tutti processi frutto della politicizzazione dei magistrati’. Questo non è vero”, ha ribadito Di Matteo. “Quei processi sono stati imbastiti sulla base di elementi di prova, di inchieste portati avanti con grande sacrificio e grande dedizione. La verità è che la giustizia va bene a tutti fino a quando funziona in maniera efficace e spietata nei confronti dei poveracci. Appena si alza un po’ il tiro iniziano le delegittimazioni e le polemiche e oggi si tende a dire che non valgono nemmeno più le sentenze, perché sono il frutto malato di una magistratura malata. Ma non è così”. Quella del magistrato è una forte accusa “nel momento in cui critico ed evidenzio quanto di brutto avviene all’interno della magistratura” ma allo stesso tempo è una rivendicazione in quanto “la magistratura è stata nel dopo guerra il principale garante dell’attuazione dei principi della Costituzione, pagando con 28 magistrati uccisi – unico caso al mondo – il fatto di essersi accollata sulle spalle il patto principale della lotta al terrorismo, alla mafia e a tutte le forme di criminalità oscura”.
L’offensiva del potere ai danni della magistratura indipendente e autonoma
Quello della magistratura è un “corpo istituzionale” abbastanza grande ed eterogeneo con i suoi 1000 magistrati. E da 30 anni, sottolinea Di Matteo, “sentiamo parlare di una guerra tra la magistratura e la politica. Per me questo concetto è forviante. Non c’è stata una guerra, bensì un’offensiva unilaterale di una parte del potere politico, finanziario, economico e anche in parte della magistratura contro un’altra parte della magistratura che ha inteso esercitare le sue prerogative mirando ad una giustizia uguale per tutti”. Un’offensiva alla quale, secondo il consigliere togato al Csm, “non è stata estranea una parte della magistratura, che è proprio quella che viene fuori attraverso il sistema del condizionamento improprio dell’autogoverno, quella delle correnti, delle cordate, quella di chi vuole fare carriera e di quei magistrati che non esitano di andare contro i colleghi liberi e coraggiosi”.
L’obiettivo di tale guerra del potere è quello di andare contro chi, in magistratura, “ancora pensa di poter esercitare il controllo di legalità anche sulle modalità di esercizio del potere”. Ma nonostante tutto, per Di Matteo il corpo della magistratura nella sua maggioranza “è sano e penso soprattutto all’importanza dei giovani magistrati che per fortuna vengono immessi periodicamente nell’ordine giudiziario”. Ma nella parte sana è presente “la sfiducia e la rassegnazione come se questo sistema fosse ineluttabile e ognuno tendesse a richiudersi in sé stesso. Ecco perché credo che noi invece dobbiamo reagire perché il corpo è ancora sano e può bloccare le metastasi che stanno circolando all’interno”.
Per una politica sana andrebbe coltivato il “vizio della memoria”
Uno degli ultimi argomenti, su cui si sono incentrate le domande che la conduttrice Lucia Annunziata ha rivolto al Consigliere togato Di Matteo, è stata la politica. In modo particolare due soggetti politici: Silvio Berlusconi, leader indiscusso di Forza Italia e potenziale – secondo i sondaggi – futuro Presidente della Repubblica; e Matteo Renzi, leader di Italia Viva che di recente è finito sotto inchiesta a Firenze assieme alla sua Fondazione Open.
“Non ho titolo per esprimere giudizi politici – ha risposto il magistrato alla Annunziata in merito alla potenziale ascesa al Quirinale di Silvio Berlusconi –. Mi limito solo a ricordare due dati di fatto. Il primo è che il Presidente della Repubblica, per dettato costituzionale, è anche il Presidente del Consiglio superiore della magistratura. E in quanto tale nei confronti delle questioni di magistratura e giustizia dovrebbe sempre essere equanime, equidistante e soprattutto non avere interessi o rancori di tipo personale”. Mentre il secondo dato “che vorrei ricordare è che in una sentenza definitiva della Corte d’appello di Palermo, ma con il bollo della Corte di Cassazione, la sentenza che ha condannato per concorso in associazione mafiosa Marcello Dell’Utri, è sancito che quest’ultimo fu l’intermediario di un accordo, stipulato nel 1974 e rispettato da entrambe le parti fino al 1992, tra le famiglie di vertice della mafia palermitana e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e che quell’accordo prevedeva in cambio della protezione personale e imprenditoriale il versamento di somme molto ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa nostra”. Con ciò, ha precisato il consigliere togato, “non voglio commentare, non voglio esprimere giudizi politici. Ma questo sta diventando un Paese in cui ogni tanto qualche fatto emerso anche in sentenze definitive va ricordato. Il ‘vizio della memoria’ dovrebbe essere coltivato più spesso in maniera più incisiva e più generalizzata”.
“Mi piacerebbe vivere in un Paese in cui anche i politici nel momento in cui vengono indagati o incriminati si difendessero nel processo e non dal processo – ha concluso Di Matteo in risposta ad una domanda della Annunziata sul processo a carico di Matteo Renzi –. Mi piacerebbe che svolgessero tutte le loro considerazioni, le loro difese, le loro critiche nell’ambito del processo e non andando in tv e dai palchi delle manifestazioni politiche ad attaccare i pm. Da questo punto di vista mi sembra che non sia cambiato molto rispetto ad un passato meno recente”.
Non temo
In conclusione, dinnanzi a quanto dichiarato durante l’intera trasmissione Di Matteo non teme ripercussioni, delegittimazioni o attacchi personali. Cose che “si potrebbero verificare – ha detto –, ma dopo oltre 30 anni di magistratura non mi interessa ciò che può accadere. Penso che il magistrato, quando ritiene di fare cose giuste, non debba avere né timori né speranze. Deve fare semplicemente le cose giuste. Io non ho particolari ambizioni di fare carriera e non ho scheletri nell’armadio, quindi continuerò a dire ciò che mi sembra doveroso ribadire e far conoscere”. Un insegnamento di lontana memoria che affonda le sue radici, tesse la sua toga, negli anni ’90 quando i baluardi della magistratura italiana erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Insegnamento che quei martiri hanno tramandato con il loro sacrificio ai giovani magistrati dell’epoca, tra cui Nino Di Matteo: il quale indossò per la prima volta la toga “la notte fra il 24 e il 25 maggio 1992 alla camera ardente al palazzo di giustizia di Palermo, allestita per onorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della Polizia Schifani, Montinaro e Dicillo”. “Non ho timori – ha concluso Di Matteo – perché credo che ogni magistrato debba assumersi le proprie responsabilità con il lavoro quotidiano ma, soprattutto in un momento come questo, anche spiegando all’opinione pubblica ciò che è avvenuto e come si può reagire a queste situazioni. Per il resto accada quel che accada non mi interessa più di tanto”.
Tratto da: Antimafiaduemila