Lo stato tedesco non ha la volontà politica di contrastare la mafia
Un paio di giorni fa è giunta la notizia di una nuova (l’ennesima) pizzeria che in Germania sforna pizze al nome di “Cosa nostra” e “Riina”, per citarne alcune, “Pizzeria Mafiosi”, è il nome del locale.
Mentre dal fronte tedesco sono ancora attese delle spiegazioni (e delle scuse), dall’Italia si è innalzato subito un grido di protesta contro questo vilipendio alla memoria dei caduti in guerra contro la mafia. Un insulto alla storia italiana e, in quanto tale, alla storia europea.
Sulla vicenda abbiamo rivolto alcune domande alla giornalista e scrittrice tedesca Petra Reski. Tra le sue pubblicazioni è bene ricordare “Palermo Connection”, “I volti dei morti” e “Con tutto l’amore”. Tutti romanzi (scritti in italiano e tedesco) con cui racconta la storia della mafia e i rapporti della stessa con il potere. Quella di scrivere romanzi non è stata una scelta. Petra Reski è stata costretta a trasformarsi in romanziera, perché parlare di mafia in Germania non solo è pericoloso, bensì è reso impossibile da leggi, politiche e da un’omertà istituzionale che odora di compromesso. Ma procediamo per ordine.
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Cosa pensa in merito alla vicenda della “Pizzeria Mafiosi”?
Penso che si sarebbe dovuto sviluppare una certa sensibilità da parte dei tedeschi, ma la mafia viene considerata tuttora un problema italiano di natura folkloristica. Purtroppo, questo non mi sorprende più perché seguo queste vicende da decenni. Impressionante è, per esempio, come in Germania la musica della mafia sia stata venduta per decenni con grande successo. Da quando ho iniziato ad occuparmi della mafia in Germania trent’anni fa, non è cambiato nulla.
Ma la responsabilità, come scrissi in un articolo in merito alla pizzeria “Falcone e Borsellino”, non è dell’ignoranza tedesca, ma tanto più delle leggi tedesche, applicate inoltre da giudici ignoranti. Era allucinante l’affermazione da parte del giudice di quel processo che scrisse praticamente che la lotta antimafia fosse solo un fenomeno di decenni fa e che Giovanni Falcone fosse conosciuto solo agli addetti ai lavori. Un pensiero del genere espresso da un giudice è scandaloso. Per quanto riguarda la pizzeria a Colonia personalmente non so se i proprietari della “Pizzeria Mafiosi” siano italiani o tedeschi, dal sito si evidenzia solo che ci sia un certo “Kevin” che la gestisca. Ma l’ignoranza non è una giustificazione. Piuttosto sarebbe da vietare l’uso commerciale del marchio “mafia”, come tale uso è vietato come marchio europeo. Ma purtroppo sul territorio nazionale non è vietato l’uso del marchio “mafia”. Questo ci insegna il caso della catena spagnola “La Mafia se sienta a la mesa” (La mafia si siede a tavola): l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà̀ intellettuale (EUIPO) ha solo rifiutato la protezione europea del marchio. Questo significa che il marchio può essere tranquillamente utilizzato in Spagna – come lo dimostra anche il successo della catena spagnola che conta ormai quasi 50 ristoranti in Spagna. Dunque, finché non c’è un cittadino europeo residente in Spagna (o in Germania), che cita in giudizio l’Ufficio spagnolo (o tedesco), dei brevetti e marchi contro l’uso del marchio “mafia”, non succede nulla. Qualsiasi impresa si può chiamare spudoratamente “La Mafia” e può tranquillamente continuare a fare business con il suo marchio.
Con questa ennesima vicenda non si rischia di far passare un messaggio secondo cui l’Italia non sia parte dell’Europa? E quindi, che la sua sia una storia a sé?
Si, sembra che questi fatti riguardino solo l’Italia e non l’Europa. Ovviamente fuori dall’Italia la consapevolezza della mafia è praticamente assente. E questo è un grande problema. Non si tratta né di casualità né di ignoranza. Questa è una chiara volontà politica. La Germania non considera un problema la mafia. Il tutto è giustificato dal fatto che nessuno vuole preoccuparsi circa gli investimenti che la mafia ha fatto in Germania negli ultimi 40 anni: intendo Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. Grazie a vantaggi logistici, potendo creare “locali” (ovvero cellule sul territorio), la ’Ndrangheta soprattutto ha avuto un grande successo in Germania.
E dopo Duisburg?
La narrazione non è cambiata. Si è continuato a dire che era un fatto che riguardava solo italiani che si sono ammazzati tra di loro. Dunque, oltre all’immediato colpo mediatico è accaduto niente. I tedeschi si credono ancora intoccati dal problema perché in Germania manca la base: la comprensione del fenomeno della criminalità organizzata. In Germania si considera la mafia piuttosto come un problema di violenza fisica e non si capiscono né i rapporti economici della stessa né come funziona il riciclaggio. Non comprendono cosa significhi per la democrazia avere la mafia in casa. Per esempio, che un imprenditore onesto non potrà mai concorrere con quelli mafiosi.
Un altro problema è la mancanza di giornalisti che si occupano di questi temi. In Germania le redazioni hanno ormai capito che scrivendo di mafia rischiano di essere querelate e questo ovviamente non aumenta lo zelo investigativo. Il trattamento mediatico del fenomeno mafioso è praticamente assente. È più interessante descrivere un cadavere dentro una pozzanghera di sangue piuttosto che spiegare i rapporti della mafia con il potere. Ciò significa che noi giornalisti abbiamo una grande difficoltà: le redazioni sono poco disposte a finanziare le ricerche necessarie e ancora meno pubblicare i risultati di questa ricerca. Condurre una ricerca investigativa significa che i giornalisti si basano su documenti non pubblici (altrimenti non sarebbe necessario pubblicarlo), tipo i rapporti della polizia o documenti dei tribunali o di indagini. Secondo la legge tedesca, però, si possono citare solo sentenze già passate in giudicato (anche se io ho avuto la sfortuna, in un caso, di essere stata condannata nonostante abbia parlato di una sentenza pubblica).
Ciò dimostra che le leggi tedesche impediscono ai giornalisti tedeschi di parlare della criminalità organizzata in Germania. Infatti, ciò che viene pubblicato sono sempre e solo notizie di arresti avvenuti ma con un mandato europeo, in quanto non ci sono le leggi per arrestare i mafiosi in Germania.
E anche in queste pubblicazioni viene sottolineato solo il “grande successo” dell’operazione, senza però seguire ciò che dovrebbe avvenire dopo. La struttura in sé è la cosa più interessante, e dopo gli arresti dovrebbero esserci delle investigazioni strutturali. C’era un investigatore a Stoccarda che ha chiesto proprio questo – ed è stato trasferito. Anche questo è un segnale.
Servono gli allarmi lanciati da esperti della lotta alla mafia come il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri?
Purtroppo, finiscono nel nulla. Non ho sentito nessun politico tedesco mai pronunciare la parola “mafia”. Parlare di mafia non porta voti ed etichetta chi lo fa come soggetto che sporca l’immagine della Germania.
A partire dall’11 settembre 2001 è avvenuto un grande cambiamento perché le unità tedesche di Polizia che si occupavano di criminalità organizzata sono state spostate sul fronte terroristico. Al terrorismo islamico è stata data la priorità chiara su cui concentrare l’attenzione e le forze. La criminalità organizzata invece è meno visibile. Sa camuffarsi perfettamente. Sono soggetti che vivono in una determinata città da quarant’anni, lavorano ed hanno ottimi rapporti con il sindaco, con l’amministrazione, con imprenditori tedeschi e spesso anche con la polizia. La mafia è sottocutanea al tessuto sociale, economico e politico degli Stati.
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Cosa si può fare affinché in Germania si ponga maggiore attenzione in merito al fenomeno mafioso?
Io avrei sperato in una reazione da parte degli stessi giornalisti. È clamoroso il fatto che coloro che sono stati querelati, come me, hanno poi perso questi processi e queste querele. Ma fino adesso siamo una minoranza a portare avanti questa attività.
L’informazione è di fondamentale importanza. Fino a quando non ci sarà un’informazione adeguata il popolo tedesco non potrà farsi un’opinione ed arrivare ad un giudizio politico. Fino a quando non avrà a disposizione le informazioni inerenti ai fatti. Per non parlare di tutti i rapporti e gli investimenti della mafia e della ‘Ndrangheta soprattutto nella Germania dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino. Tema, questo, che è ancora un grande tabù soprattutto in riferimento al contributo alla ricostruzione della Germania dell’Est; ai rapporti politici celati dietro la svendita delle grandi imprese da parte dell’agenzia fiduciaria tedesca; e gli ottimi rapporti tra politici e mafiosi. C’è una struttura dietro a tutto questo su cui va fatta luce. All’epoca ci fu una vera e propria trattativa Stato-mafia in Germania, di cui nessuno ha mai parlato. E ci sono atti che se si vogliono approfondire necessitano una redazione che non abbia paura di nulla.
Tratto da: Antimafiaduemila
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