Come avevamo detto, come era ovvio, nonostante ci fossero tanti ottusi in malafede che tacciavano di sciacallaggio chi questo ovvio denunciava.
Le funivie, come i macchinari delle fabbriche, come qualsiasi impianto produttivo e di trasporto, oggi hanno tutti gli apparati e i sistemi di sicurezza per impedire che ci si faccia male o si perda la vita.
Se questi apparati a un certo punto non funzionano e accadono stragi come quella del Mottarone, del Ponte Morandi, delle fabbriche ogni giorno, è perché per criminale sete di guadagno la sicurezza è stata trascurata, ignorata, compromessa.
I vertici della società in appalto – ricordate questa parola – che gestiva la funivia dove sono morte quattordici persone, sono stati arrestati.
Sapevano che l’impianto aveva dei problemi, ma invece di fermarlo e metterlo in sicurezza hanno deciso di farlo funzionare lo stesso, per non perdere la ripresa“, per fare profitto, per contribuire al PIL.
Hanno fatto come nella fabbriche ove gli operai vengono uccisi perché il blocco di sicurezza dei macchinari viene escluso per far produrre senza interruzioni.
Se questo imprenditore avesse rispettato le norme, oggi il piccolo Eitan non starebbe lottando per la vita in attesa di sapere di non avere più la famiglia. Altro che errore umano, è strage di profitto.
Ecco: forse la feroce spettacolarità della tragedia, che replicava quella di Genova, ha contribuito a far agire in fretta e senza riguardo gli inquirenti, come altrove non avviene. Perché se un impianto non è sicuro, non è un segreto; tanti lo sanno, quelli che ne hanno la gestione e la responsabilità e anche coloro che ci lavorano, a cui magari vien fatti capire che è meglio tacere, se non si vuol finire in mezzo ad una strada.
C’è sempre chi sa e, se tace, è per convenienza o paura.
La funivia del Mottarone era in gestione ad un privato, come tanti servizi che sono pubblici, che dovrebbero essere anche in mano pubblica, ma invece sono sempre più spesso regalati agli affari privati.
Era uno di quegli appalti che Draghi e Bonomi vogliono oggi ancora più liberalizzare, privare di controlli, lasciar gestire al massimo ribasso. Più si ribassano gli appalti più si innalza il rischio della salute e della vita.
Oggi grazie ad una tempestiva indagine della magistratura viene definito ufficialmente ciò che sappiamo avvenire ogni giorno: il sacrificio delle vite agli affari.
È così all’Ilva, è così nei tanti luoghi di produzione che, se si applicassero rigorosamente le regole e le leggi, dovrebbero essere fermati.
Siamo diventatati una repubblica che ha scambiato il diritto al lavoro con quello al profitto, che mette il PIL davanti alla vita; e che copre con l’omertà ed il ricatto la strage.
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Non c’è tanto da stupirsi, allora, che un imprenditore decida di festeggiare la riapertura della sua attività ignorando che l’impianto non è sicuro… perché dovrebbe accadere proprio sul Mottarone?
Ora voi padroni e politici non fate gli ipocriti, non nascondetevi dietro i vostri proclami su un caso estremo di criminalità. La tragedia della funivia è l’Italia di oggi.
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Ultime di cronaca sulle indagini
Hanno “ammesso”. Lo riferisce il comandante provinciale dei Carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani. Il freno non è stato attivato volontariamente, “sì, lo hanno ammesso”, conferma l’ufficiale dell’Arma ai microfoni di Buongiorno Regione, su Radio 3.
“C’erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”, spiega ancora Cicognani.
La svolta nelle indagini sul disastro della funivia del Mottarone è arrivata nella notte. Tre persone sono state fermate: si tratta di Luigi Nerini, amministratore della società Ferrovie del Mottarone che gestisce la funivia, Gabriele Tadini, direttore del servizio ed Enrico Perocchio, caposervizio. Tutti e tre sono stati portati in carcere a Verbania.
Omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime (in relazione alle condizioni del piccolo Eitan ricoverato al Regina Margherita di Torino): queste, secondo quanto si é appreso, le ipotesi di reato in base alle quali la procura ha deciso di procedere con i fermi.
La cosiddetta ‘forchetta’ che serve per disattivare i freni di emergenza della funivia di Stresa è stata quindi volutamente inserita per evitare di dover fermare l’impianto. Già nella giornata di sabato c’era stato un blocco: “Da quanto ci è stato riferito – aveva detto la pm Bossi – sabato pomeriggio la funivia si è fermata e c’è stato un intervento per rimetterla in funzione”.
Secondo l’accusa, il meccanismo di emergenza è stato manomesso per evitare di interrompere il servizio in una giornata che lasciava presagire un buon afflusso di turisti.
Dopo il susseguirsi di ipotesi e indiscrezioni, il tema della cosiddetta ‘forchetta’ non azionata nel sistema di sicurezza della funivia, impedendo di fatto l’azionamento del freno di emergenza al momento della rottura del cavo traente, è diventato centrale: nella caserma dei Carabinieri di Stresa la pm Bossi ha quindi cominciato ad approfondire proprio questo elemento.
Rilevanti nella svolta sarebbero state le foto del relitto della cabina scattate il giorno stesso dell’incidente da vigili del fuoco e dal soccorso alpino, immagini che mostrano la presenza della “forchetta” in uno dei freni della funivia.
Nella sera di martedì alla caserma dei Carabinieri la pm ha sentito diverse persone, 7 in tutto, tutti dipendenti della società che gestisce la funivia. Poi, intorno a mezzanotte é stato convocato il titolare dell’azienda Luigi Nerini.
Alla caserma erano arrivati anche due legali. Il primo, Canio Di Milia, ex sindaco di Stresa e attualmente consigliere comunale, non si è trattenuto a lungo: per il suo ruolo di amministratore del Comune, parte lesa, non può avere un ruolo in questa causa. Successivamente è arrivata in caserma l’avvocata Anna Maria Possetti di Domodossola. Ad assistere Nerini è arrivato invece da Milano il suo legale Pasquale Pantano.
Fonte: Agenzia Agi
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La stato di salute dell’impresa
È un imprenditore locale, di Baveno, piccolo centro sulla sponda piemontese del lago Maggiore, il gestore della Funivia del Mottarone, lì dove domenica una cabina è precipitata da una altezza di circa 30 metri provocando la morte di 14 delle quindici persone a bordo, con unico superstite un bambino di 5 anni in gravissime condizioni.
Luigi Nerini, 56 anni e diploma di liceo scientifico, è il proprietario unico della Ferrovie del Mottarone, società che ha in gestione l’omonimia funivia. Una concessione dal Comune di Stresa valida fino al 2028 mentre Nerini, scrive il Corriere della Sera, ottiene dalla sua società un compenso di 95mila euro annui. La funivia Stresa-Mottarone è di proprietà del Comune di Stresa, mentre prima del 2016 era di proprietà della Regione.
A proposito di soldi, i bilanci della società sono solidi: il fatturato, ultimo noto è del 2019, è intorno agli 1,7 milioni di euro, mentre l’utile è passato dai 200mila ai 400mila. I debiti invece sono complessivamente 2,6 milioni di euro, comunque in linea per una società che realizza un utile pari a oltre il 20% del fatturato.
Fonte: Il Riformista
P. s. Tradotto in linguaggio corrente: non possono nemmeno accampare la scusa della “crisi”; hanno scelto di manomettere i freni per qualche euro in più di quelli che già guadagnavano… Criminali totali.
Tratto da: Contropiano.org
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