“Gli incarichi extragiudiziali vanno limitati. Rischio di commistione impropria tra magistratura e politica”
“La commistione impropria tra magistratura e politica non si realizza, a mio avviso, tanto quando un magistrato abbraccia la carriera politica, ma anche attraverso incarichi extragiudiziali, per esempio nei ministeri, per molti magistrati. Io credo che questi dovrebbero essere limitati soltanto a pochissimi casi in cui è necessario che un magistrato dia il proprio apporto all’attività di un ministero. Dovrebbero essere pochissimi casi, altrimenti l’attuale sistema rischia di alimentare un intreccio tra politica e magistratura che può essere alla lunga dannoso”. E’ una considerazione forte quella del consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, intervistato ieri sera durante la trasmissione “Quarta Repubblica”, condotta da Nicola Porro su Rete 4.
Il magistrato ha ribadito alcuni concetti espressi nel libro “I nemici della giustizia” (ed. Rizzoli), scritto assieme al giornalista, scrittore e nostro editorialista Saverio Lodato.
Durante la trasmissione, si è parlato a lungo dell’emergenza sanitaria e dei provvedimenti adottati dal Governo Draghi. Quindi si è affrontato il tema della prossima nomina del Presidente della Repubblica.
Ma non vertevano su questo le domande poste al magistrato.
La vicenda Palamara
Nell’intervista Di Matteo ha evidenziato come vi sia un sistema che va oltre alle vicende che hanno riguardato l’ex magistrato Luca Palamara (“Palamara e gli altri erano soltanto delle pedine del sistema. Il sistema è più complesso e certamente la battaglia sarà lunga, dura e difficoltosa per poterlo contenere o addirittura, come spero, per poterlo sconfiggere”).
Parlando del Csm il consigliere togato ha denunciato come “il Csm nel tempo è stato espropriato dalle correnti. Un sistema che, quindi, privilegia un criterio, quello dell’appartenenza ad un gruppo, che di per sé è eversivo”. Proprio per questo motivo sarebbe grave “se la magistratura rientrasse nella logica corporativa di nascondere la polvere sotto il tappeto. Perché in questo particolare momento storico, sfruttando la crisi di credibilità della magistratura c’è una parte consistente del potere, non solo politico ma anche economico e finanziario, che vuole avviare regolamento di conti con la magistratura. E altre volte sono stati gruppi, che io definisco cordate, che si sono formate magari intorno a qualche magistrato particolarmente bravo e particolarmente autorevole, che hanno tentato di condizionare le scelte del consiglio. Cordate che si formano anche attraverso un legame particolare improprio, certe volte, tra il magistrato e certa stampa”.
Il magistrato ha dunque parlato della riforma dell’ordinamento giudiziario. Una riforma che “ha accentuato i poteri del Procuratore rispetto a tutti gli altri magistrati e ha portato, tra le altre, ad un’altra conseguenza nefasta: basta controllare quei cinque, sei, otto, dieci Procuratori della Repubblica più importanti per avere in mano la giustizia, per controllare la giustizia. E’ più facile controllare dieci Procuratori della Repubblica piuttosto che duemila pubblici ministeri”.
Rispondendo alle domande della giornalista, Di Matteo ha sottolineato l’importanza che si raccontino gli sviluppi di certe patologie, “ma non è vero che queste patologie abbiano sempre, o il più delle volte, inciso sui processi”.
Magistrati e politica
Infine ha detto la sua su un altro punto inserito nella riforma della Giustizia: le possibilità di accesso di un magistrato, o giudice, in politica. “Non sono contrario all’impegno in politica di un magistrato, – ha affermato – ma a due condizioni. La prima che la scelta di fare politica non riguardi il territorio dove il magistrato ha operato come pubblico ministero o come giudice. La seconda, forse ancora più forte, è quella dell’irreversibilità della scelta”.
Tratto da: Antimafiaduemila
Nino Di Matteo: contro la magistratura un’offensiva unilaterale del Potere
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