Già dimenticato “il rimbalzino” economico post pandemico
Di Coniare Rivolta
Dopo la pesante caduta provocata dalla pandemia nel 2020, l’economia italiana è già proiettata fuori dal rimbalzino che ha caratterizzato il 2021, il quale non era stato comunque in grado di riportare l’attività produttiva e l’occupazione al livello pre-crisi. L’inflazione iniziata nel secondo semestre 2021 aveva anticipato le nubi in arrivo, che si sono poi addensate prima di dar luogo alla tempesta scatenata dall’escalation in Ucraina.
Se la follia bellicista continua a lungo, come ormai appare probabile, l’erosione dei salari reali assumerà dimensioni tragiche e si materializzerà la terza recessione dell’ultimo decennio producendo ancora disoccupazione e povertà. Qualcuno ha stimato, ad esempio, che l’implementazione dell’embargo su gas e petrolio russo potrebbe provocare la distruzione di circa 600 mila posti di lavoro nel biennio 2022-2023: perderemmo in sostanza tutta l’occupazione (d’altronde in gran parte precaria) recuperata dall’inizio della pandemia, in una improbabile versione del gioco dell’oca, in cui non esiste una carta per uscire di prigione. L’ennesima mazzata per lavoratrici e lavoratori, così come per intere generazioni che ormai non conoscono altro rispetto alla crisi economica, divenuta normalità.
In questo bel quadretto familiare, il Governo Draghi ha appena varato il decreto Aiuti, un pacchetto di misure che dovrebbe avere, tra gli altri, l’obiettivo cruciale di sostenere il potere d’acquisto delle famiglie e tamponare l’impatto dei rincari energetici in bolletta.
Ma a quanto ammontano i nuovi interventi? Quali sono le misure specifiche previste nel decreto aiuti?
Il Governo ha varato due decreti, che mobilitano complessivamente circa 14 miliardi. Il primo è il decreto contro il caro benzina (2 miliardi), che proroga il taglio delle accise su benzina, gasolio e GPL all’8 luglio, estendendolo anche sul metano per autotrazione.
Il secondo, su cui ci concentreremo maggiormente, è il citato dl Aiuti, il quale contiene una serie di misure, tra cui un bonus per combattere l’inflazione, una pletora di interventi per le imprese, risorse per gli enti locali, sanità e profughi ucraini, per un ammontare di 12 miliardi.
La misura più consistente (si stima circa 6,5 miliardi) è il bonus una tantum di 200 euro destinato a dipendenti, autonomi e pensionati sotto i 35 mila euro di reddito annuo, per una platea complessiva di circa 28-30 milioni di percettori. Ulteriore intervento destinato alle famiglie è l’estensione del bonus bollette (elettricità e gas) a un numero maggiore di famiglie, grazie all’innalzamento della soglia ISEE che dà diritto al bonus, dagli 8 mila ai 12 mila euro.
Queste due misure sono sacrosante se adottiamo la prospettiva di una lavoratrice o un disoccupato, un precario o una pensionata, messi sul lastrico dalla stangata in bolletta, di cui si devono far carico contando sempre e solo su una retribuzione, una pensione o un sussidio del tutto inadeguati a garantire uno standard di vita dignitoso (anche prima della guerra). Peccato che un importo di 200 euro in un’unica soluzione sia del tutto insufficiente a coprire anche solo i rincari previsti per il 2022, figuriamoci a risolvere strutturalmente il problema. Chiunque abbia pagato una bolletta o fatto un pieno di benzina sa quale sia la portata di 200 euro una tantum.
Cosa succede se il conflitto prosegue e l’inflazione va in doppia cifra o dintorni, come previsto da Banca d’Italia? Il bonus bolletta si rivelerebbe per quello che è; una mancetta per tener buoni i lavoratori, in un periodo in cui il Governo lavora alacremente per conto di Washington per portare avanti una guerra che avrà effetti devastanti sulla vita di milioni di lavoratori di tutta Europa.
Il nuovo decreto aiuti contiene misure anche per le aziende
Il decreto Aiuti contiene inoltre una lunga sequela di misure destinate alle aziende, tra cui spiccano i crediti d’imposta energetici, le misure a sostegno della liquidità e le risorse destinate alle aziende colpite più duramente dal conflitto, in ragione dell’intensità dei loro scambi commerciali con Russia, Ucraina e Bielorussia. Solo per citarne alcune:
- l’articolo 2 aumenta dal 20 al 25% il credito d’imposta per le imprese, comprese quelle “gasivore”, per l’acquisto di gas, e dal 12% al 15% il credito d’imposta dedicato alle energivore per l’acquisto di energia elettrica (in sostanza, il credito d’imposta comporta che le imprese che acquistano gas si vedono attribuire un credito nei confronti dello Stato, nella misura prevista dalla legge, che possono utilizzare per ridurre i debiti o le imposte dovuti allo Stato).
- l’articolo 3 istituisce un contributo straordinario dedicato alle imprese operanti nei trasporti per ridurre l’impatto legato all’aumento eccezionale del prezzo del gasolio, sotto forma di credito d’imposta pari al 28% della spesa sostenuta (500 milioni per il 2022).
- l’articolo 4 prevede l’estensione al primo trimestre 2022 del contributo straordinario in favore delle imprese gasivore, sotto forma di credito d’imposta pari al 10% della spesa sostenuta per l’acquisto di gas per usi energetici diversi dagli usi termoelettrici.
- l’articolo 15 estende le misure di sostegno alla liquidità al 31 dicembre 2022 tramite le garanzie concesse da SACE spa sui prestiti in favore di banche e altri soggetti abilitati all’esercizio del credito per finanziamenti concessi ad imprese che fronteggiano le conseguenze economiche negative della guerra, tra cui la necessità di aprire credito a supporto delle importazioni di materie prime o fattori di produzione la cui catena di approvvigionamento sia stata interrotta o abbia subito rincari.
- l’articolo 16 riguarda le misure temporanee di sostegno alla liquidità delle PMI, prevedendo tra le altre cose che la garanzia del Fondo centrale di garanzia potrà essere concessa nella misura massima del 90% in relazione a finanziamenti che realizzino obiettivi di efficientamento o diversificazione della produzione o del consumo energetici.
- l’articolo 17 disciplina il sistema di garanzie concedibili da SACE S.p.A. a condizioni di mercato per supportare la crescita dimensionale e la patrimonializzazione delle imprese.
- l’articolo 18 istituisce presso il MISE un fondo di 130 milioni per sostenere le imprese il cui fatturato nel biennio in Ucraina, Russia o Bielorussia sia stato pari ad almeno il 20% del totale e che abbiano subito un calo di fatturato di almeno il 30% o che abbiano subito un aumento del prezzo delle materie prime o dei semilavorati di almeno il 30% rispetto al 2019.
Infine, una menzione speciale va ai 3 miliardi destinati, solo nel 2022, alla revisione dei prezzi per gli appalti pubblici, che diventano oltre 10 miliardi se consideriamo anche le risorse destinate a tale scopo nel periodo 2023-2026. Mentre ai lavoratori vanno le briciole, al parassitario sistema imprenditoriale italiano viene garantita una lauta ricompensa per continuare a realizzare tutte le opere, piccole e grandi, previste dal PNRR e dal Next Generation EU. Come se questi interventi europei non costituissero già di per sé, strutturalmente, un massiccio trasferimento di risorse dal pubblico al privato.
La favola dell’intervento di redistribuzione del reddito
Il bello è che nelle pagine dei giornali nostrani il decreto Aiuti è stato dipinto come un grande intervento di redistribuzione del reddito, in virtù del fatto che le risorse necessarie al finanziamento sono state reperite attraverso la tassazione degli extra-profitti, veri e propri profitti di guerra, realizzati dalle aziende energetiche a causa dell’esplosione dei prezzi delle materie prime energetiche a partire dal gas. Viene infatti elevata dal 10% al 25% l’aliquota del contributo istituito dal governo a marzo. Si tratta di un contributo calcolato sulla differenza tra i profitti (più precisamente, su una cifra costituita sostanzialmente dalla base imponibile IVA) realizzati dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, rispetto al medesimo periodo tra il 2020 e il 2021.
Le risorse così racimolate dovrebbero assicurare al governo circa 11 miliardi dei 14 necessari per finanziare il decreto. Questo significa che il governo quantifica in circa 44 miliardi i profitti aggiuntivi racimolati dalle aziende energetiche a danno dei consumatori, posti di fronte a rincari in bolletta sempre più insostenibili. Dopo aver tartassato famiglie e lavoratori, insomma, il governo decide che un quarto di questi profitti possono essere utilizzati per ristorare, almeno in parte, le famiglie più in difficoltà. E l’altro 75%? Quei profitti di guerra che non sono stati toccati e sono mero frutto di speculazione sono ritenuti leciti dall’ineffabile Governo Draghi? Evidentemente sì. Il Governo Draghi non sembra preoccuparsi particolarmente del fatto che mentre la maggioranza della popolazione soffre per l’aumento delle bollette e dei prezzi, una ristrettissima minoranza continua a macinare profitti, approfittando della tragedia della guerra.
C’è da stupirsi? Non più di tanto. Quello che dovrebbe farci più incazzare è che questa operazione di elemosina verso i lavoratori venga persino dipinta dai giornaloni italiani come una generosa politica di redistribuzione dall’alto verso il basso del governo dei migliori. Insomma, oltre al danno anche la beffa. Se non iniziamo a indirizzare la rabbia sociale verso un serio programma politico di rivoluzione dell’esistente, il futuro prossimo rischia di regalarci pessime sorprese, non solo nelle urne.
Tratto da: Coniare Rivolta (collettivo di economisti)
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