Venticinquemila camici per operatori sanitari sono stati trovati dagli agenti della Guardia di finanza nella sede della Dama Srl, l’azienda guidata da Andrea Dini, cognato del governatore lombardo Attilio Fontana.
La perquisizione, avvenuta nella giornata di martedì (e di cui avevamo dato conto qui), ha portato dunque al rinvenimento della componente mancante dell’ordine di 75mila camici — giunto a Dama il 16 aprile scorso con una assegnazione diretta — che sarebbero dovuti essere consegnati alla Regione Lombardia per far fronte all’emergenza-Covid.
Dama aveva consegnato finora 49mila pezzi. La ditta varesina aveva interrotto le consegne dopo la trasformazione (mai ufficialmente registrata, anche per le perplessità dell’ufficio legale interno sulla semplicistica modalità mail e sulla non consegna del resto dei camici) del contratto con la Lombardia da vendita (il prezzo concordato era di 513.00 euro) a donazione a causa del conflitto di interessi tra Dini e Fontana, circostanza che ha portato la procura di Milano ad aprire sul caso un’inchiesta che vede ora indagati Dini, Fontana e il direttore generale dimissionario di Aria, Filippo Bongiovanni.
Le accuse sono, per Dini e Bongiovanni, di «turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente»; per i due, in concorso con Fontana, anche di frode in pubbliche forniture: in sostanza, secondo i magistrati, Regione Lombardia avrebbe acquistato un bene (i 75mila camici) e non avrebbe dovuto consentire che Dini si sottraesse all’impegno contrattuale di fornire comunque (in dono o in vendita) i 25.000 camici residui dopo i due terzi già consegnati. Secondo quanto indicato qui, Dini sta ora valutando l’opzione di metterli a disposizione.
La perquisizione del cognato di Fontana — come scritto qui — puntava anche ad acquisire chat, messaggi, mail e comunicazioni risalenti allo scorso maggio tra Dini e Fontana.
Come riassunto qui, oltre alle contestazioni penali, la vicenda che coinvolge il presidente della Regione presenta profili penalmente irrilevanti ma politicamente sensibili, sui quali si è scatenata la polemica: il fatto che Fontana avesse deciso di versare, all’insaputa del cognato, 250 mila euro alla Dama per rifondere l’azienda del mancato guadagno, e che avesse per questo ordinato un bonifico (poi annullato dopo una segnalazione arrivata alla Banca d’Italia) da un conto in Svizzera sul quale, nel 2015, aveva fatto uno scudo fiscale; il fatto che Fontana avesse affermato di non essere mai intervenuto sulla vicenda; il fatto che Fontana non avesse mai rivelato la voluntary disclosure con la quale aveva regolarizzato i fondi in Svizzera, che erano detenuti da due «trust» creati alle Bahamas e di cui la madre di Fontana era titolare.
Fonte: Corsera
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