Il figlio del banchiere dell’Ambrosiano intervistato su La Stampa
Con 85 morti e 200 feriti la strage di Bologna è a tutti gli effetti la strage più letale della storia della Repubblica italiana. Quarant’anni dopo la Nazione si stringe attorno alla città e ai familiari delle vittime che ancora aspettano verità e giustizia dopo una lunga serie di inchieste giudiziarie e depistaggi che si trascinano da decenni. La Procura generale, negli ultimi due anni, ha compiuto una serie di accertamenti che mostrano un quadro tanto drammatico quanto grave e che porta al disvelamento dei mandanti del delitto. Secondo gli inquirenti tra le “menti” di quell’attentato figurano Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica P2, e Umberto Ortolani come mandanti-finanziatori; l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato indicato come mandante-organizzatore; Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi considerato organizzatore per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica della strage – preparatoria e successiva – nonché nell’attività di depistaggio delle indagini. Un’inchiesta avviata proprio seguendo i flussi finanziari di Gelli.
In un’intervista a La Stampa Carlo Calvi, figlio di Roberto, il banchiere dell’Ambrosiano trovato morto impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra nel 1982, ha commentato così le novità dell’inchiesta: “Conosco molto bene i documenti di Gelli e da tempo li ho collegati alla strage di Bologna, insieme ad altri pagamenti, anche dal Lussemburgo, agli antiquari e ai neofascisti che a Londra hanno costruito imperi finanziari insoliti. Sono certo che Gelli abbia finanziato gli estremisti di destra con i soldi del Banco Ambrosiano versati da mio padre. S’incastra perfettamente nei miei ricordi personali”.
Nel flusso di ricordi Calvi ha raccontato degli incontri a Washington con un emissario di Ortolani, Bill Mazzocco, ed uno di Gelli, Philip Guarino. Questi erano “due oltranzisti repubblicani vicini all’amministrazione Nixon, platealmente anticomunisti. Una volta li incontrammo all’Hotel Mayflower, con il generale Vito Miceli, capo del Sid (servizio segreto civile) dal ’70 al ’74. Chiesi a mio padre di tenerli a distanza”.
Il motivo? Proprio per quei rapporti con ambienti neofascisti di cui non facevano mistero.
Così il figlio del banchiere ha spiegato che il padre era “minacciato” da Gelli e Ortolani che “intrattenevano rapporti molto pericolosi con il terrorismo di destra e la malavita”.
Quindi, rispondendo alle domande del collega Giuseppe Salvaggiulo, ha ricordato che il padre, che gli parlava della massoneria e della sua iniziazione, “era tra due fuochi”. Un esempio chiaro sarebbe ciò che avvenne “dopo l’interrogatorio notturno del 2 luglio 1981 in cui denunciò ai giudici di Milano ‘forti pressioni a carattere intimidatorio da parte di Ortolani’. Dichiarazione ritrattata sei mesi dopo a Roma”.
Tra gli argomenti affrontati anche i rapporti del padre con il terrorismo di destra sin dall’inizio degli anni Settanta. “Il suo solo interesse era crearsi una rete di protezione nel mondo politico e finanziario – ha detto Calvi – A tal fine distribuì 300 milioni di dollari, somma sproporzionata, a Gelli e Ortolani. In parte per scopi come la fallita ricapitalizzazione della Rizzoli, in parte no. In parte ai neofascisti? Credo di sì”. Quindi ha ricordato l’emersione di “enormi somme, quasi 10 milioni di dollari, versate da Gelli a Marco Ceruti“.
Secondo il figlio del banchiere è dunque possibile che Gelli finanziasse direttamente D’Amato, già capo dell’ufficio affari riservati del Viminale, (“Con i soldi dell’Ambrosiano si finanziava chiunque fosse utile alla causa. Di D’Amato c’è traccia negli scritti di mia madre”). Quindi ha concluso con una speranza anche nella ricerca della verità sulla morte del padre proprio su questo filone investigativo, a lungo rimasto coperto.
In foto: Carlo Calvi e il padre Roberto in una foto d’epoca
Fonte: Antimafiaduemila
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