Giuseppe Perrone, condannato all’ergastolo e da 30 anni rinchiuso in una cella, ha conseguito la quarta laurea. Questa volta in presenza, nell’ateneo di Tor Vergata, grazie a un permesso speciale per discutere la tesi che è stato rilasciato per la prima volta in assoluto. Perrone, che oggi ha 56 anni, è originario di Trepuzzi, grosso centro del nord di Lecce, e come diversi suoi conterranei si ritrovò nella cosiddetta “quarta mafia”, la Sacra corona unita. Un momento storico spaventoso per le province salentine che diventarono teatro di una guerra di malavita con scontri quotidiani, caratterizzati da uccisioni e faide tra gruppi avversari, per l’affermarsi di una inedita, per il Salento, mentalità criminale. Tonio Perrone, detto “l’Italiano”, assurge a ruolo di boss della zona. Ma ben presto la parabola decade e viene arrestato e condannato a 49 anni di carcere.
Un percorso che agli occhi degli osservatori appare parallelo, per molti versi, è quello del fratello Giuseppe, classe 1966. Anche lui viene invischiato in vicende criminali e, soprattutto, in un omicidio di uno studente modello di terza liceo di Brindisi, che viene scambiato per un killer e freddato da una serie di colpi di arma da fuoco a Casalabate, alla viglia del ferragosto del ’92. Per quel delitto alcuni collaboratori di giustizia indicarono, come esecutore materiale, proprio il giovane Giuseppe Perrone che si professerà, sempre e continuamente, innocente.
Una vicenda giudiziaria intricata, composta come un puzzle da controverse dichiarazioni dei pentiti e da richieste di revisioni dei processi che non hanno cambiato il corso degli eventi: Perrone è passato, in 30 anni, da un carcere all’altro e in ognuno ha lasciato il suo segno. Con quattro lauree conseguite e alcuni esami sostenuti pure nella Facoltà di teologia a Parma. Si è laureato prima in Dams, poi in Discipline teatrali, infine in Lettere a Bologna e l’ultima laurea conseguita, quella di pochi giorni fa, in Editoria, Informazione e Comunicazione a Roma Tor Vergata. La tesi? Specialistica, ovviamente, e dettata dalla dura esperienza della reclusione, “Gli abissi di una pena a partire da Primo Levi”, che gli è valsa il massimo dei voti.
L’articolo completo di Biagio Valerio su Repubblica Bari
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