Di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Graviano sentito dai pm di Firenze
“Parlo, non parlo. Scrivo, mi taccio. Riparlo”. E’ il modus operandi messo in atto da qualche anno a questa parte dal boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già condannato definitivo assieme al fratello Filippo per le stragi del ’92-’93 e per l’omicidio di don Pino Puglisi.
Quel “balletto” che lo scorso anno lo aveva visto rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista dove era imputato (poi condannato all’ergastolo) per gli attentati ai carabinieri in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, poi bruscamente interrotto prima di stendere un memoriale, è ricominciato davanti ai magistrati della Procura di Firenze, nelle persone del Procuratore capo Giuseppe Creazzo, del procuratore aggiunto Luca Tescaroli ed il sostituto Luca Turco, che indagano sui mandanti esterni delle stragi.
A riportare la notizia, così come era avvenuto per la “dissociazione” di Filippo Graviano, è stato il settimanale L’Espresso.
Nel fascicolo, è noto, vi sono i nomi dell’ex Premier Silvio Berlusconi e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri (già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e nel primo grado del processo trattativa Stato-mafia, ndr).
Un’inchiesta avviata dopo le intercettazioni in carcere tra lo stesso Graviano ed il camorrista Umberto Adinolfi in cui parlava della “cortesia” che gli sarebbe stata chiesta da Berlusconi ai tempi delle stragi. E si era appreso durante il processo d’appello Stato-mafia che l’accusa nei confronti dell’ex Cavaliere e Dell’Utri riguarda non solo le stragi di Firenze, Roma e Milano, ma anche gli attentati falliti dell’Olimpico, quello al pentito Contorno e al conduttore Maurizio Costanzo.
Ma ovviamente la ricerca della verità sulle stragi non si è esaurita in questi punti perché, come detto dalla Presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria nelle motivazioni della sentenza ‘Ndrangheta stragista, nelle dichiarazioni di Giuseppe Graviano vi sono alcune circostanze che “meritano certamente di essere valutate ed approfondite nelle sedi competenti nella speranza che possano giovare finalmente a fare completa chiarezza su avvenimenti che hanno segnato e continuano tuttora a segnare la storia dell’Italia”.
E il filone investigativo che i pm fiorentini stanno portando avanti partendo proprio dalle dichiarazioni che il boss stragista ha fatto davanti ai giudici della corte d’Assise di Reggio Calabria guarda ai denari che Berlusconi avrebbe ricevuto proprio da Graviano.
E così lo scorso novembre i magistrati di Firenze si sono recati nel carcere di Terni, dove Graviano è detenuto al 41 bis, per interrogare il boss di Brancaccio. La notizia clamorosa, dopo il silenzio in cui si era trincerato, è che il capomafia siciliano non si sarebbe negato e, assistito dal proprio legale di fiducia, avrebbe risposto alle domande che gli sono state poste.
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Solite accuse
Durante le deposizioni a Reggio Calabria, come ha poi ripetuto nella memoria depositata nel processo, Graviano ribadì di aver incontrato durante la latitanza Silvio Berlusconi a Milano per tre volte. Disse anche degli investimenti che la sua famiglia, a partire dal nonno, fece nelle imprese dell’ex Cavaliere nel Nord Italia, parlando anche dell’esistenza di una “scrittura privata” che sarebbe stata in mano del cugino. Ed è facile pensare che di questo ha parlato con i magistrati di Firenze, anche cercando di smontare le accuse a lui rivolte dai collaboratori di giustizia.
Ma perché sia Giuseppe che Filippo Graviano hanno deciso di parlare, seppur in forma diversa, con i magistrati?
Nessuno dei due è un collaboratore di giustizia. E questo già la dice lunga sull’attendibilità che possono avere le loro dichiarazioni. Nelle parole di Graviano il “vero” e “falso” vengono continuamente mescolati a proprio uso e consumo, tanto che allontana da sé ogni accusa (“io non sono responsabile. Non posso accollarmi cose dopo 26 anni di carcerazione che ho fatto e mi trovo in ‘area riservata’”), pur dicendo di “rispettare le sentenze”. Certo è che, come da lui stesso spiegato, “sul 41 bis, sul 4 bis, o l’ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione”.
Uscire dal carcere è l’obiettivo dichiarato di entrambi i fratelli sanguinari. E se da una parte la speranza è nelle sentenze della Corte di Strasburgo o quelle della Corte Costituzionale che ha recentemente aperto ai permessi premiali per i boss, dall’altra c’è anche la volontà di non essere più inerme nella costruzione del proprio destino.
E da qualche anno ha iniziato a muoversi ad esempio scrivendo nel 2013 una lettera di cinque pagine alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Era quello il Governo di Enrico Letta in cui, allora come oggi, erano stabilite larghe intese con il Popolo delle libertà di Berlusconi che vi era entrato a pieno titolo. Quella missiva è stata acquisita dai pm fiorentini.
Messaggi all’esterno
Certo è che Giuseppe Graviano ha inviato messaggi verso l’esterno.
A chi? Sicuramente a quegli apparati dello Stato e della politica che non hanno rispettato, nell’ottica del capomafia, i “patti”. Una minaccia, neanche troppo velata, verso il potere, come se fosse pronto a “vuotare il sacco”. Quasi a voler imbastire una nuova trattativa.
Del resto Giuseppe Graviano, assieme al super latitante trapanese Matteo Messina Denaro, a figure come Salvatore Biondino, i Madonia di Palermo, Leoluca Bagarella, o ancora Piddu Madonia di Caltanissetta, soprattutto per i segreti che portano sono ad oggi le figure di riferimento che comandano la mafia siciliana.
E la strategia di Graviano è proprio quella di confermare la propria leadership dimostrando che nessuno ha dimenticato gli antichi obiettivi: smantellare il 41 bis e l’ergastolo.
E da questo punto di vista non è un caso se l’altro piano, quello della dissociazione, che era tanto caro all’altro capomafia corleonese, oggi deceduto, Bernardo Provenzano, non sia lui, ma il fratello Filippo.
Ai magistrati fiorentini quest’ultimo ha fatto mettere a verbale: “Fino al 2009 il mio nome non era di interesse di nessuna procura; nel 2009 ci fu l’inizio della collaborazione di Gaspare Spatuzza, io mi ero reso conto che la mia vita passata non era corretta e stavo facendo un percorso interno. Lui sosteneva che nel carcere di Tolmezzo gli avevo detto che stavamo aspettando qualcosa dall’esterno”. Un fatto quest’ultimo totalmente negato dal capomafia di Brancaccio. Quindi avrebbe aggiunto: “Mi proclamo innocente rispetto ai reati che mi sono stati attribuiti nella sentenza di Firenze (quella sulle stragi del 1993, ndr) e ritengo che, per me, questa sia una questione pregiudiziale rispetto alle domande che mi avete posto. Il mio interesse è quello di ottenere una revisione della mia posizione giudiziaria. Non sono disponibile a rispondere alle vostre domande. Mi sono dissociato da Cosa nostra facendo una dichiarazione espressa di dissociazione. Ammetto la mia responsabilità in relazione alla partecipazione a Cosa nostra palermitana, mandamento di Brancaccio, non sono mai stato capo del mandamento neppure come sostituto”.
L’inchiesta va avanti
Lo scorso gennaio indiscrezioni giornalistiche avevano evidenziato come un nuovo impulso investigativo fosse giunto dalle propalazioni di Salvatore Baiardo, gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 curò la latitanza dei fratelli Graviano, e che è stato anche intervistato nel programma Report. A queste dichiarazioni si aggiungono quelle dei due fratelli stragisti. E la volontà non è quella di fermarsi alle parole, ma di cercare i riscontri. Proprio in questo senso, scrive sempre l’Espresso, che vi sarebbe stata una trasferta dei pm di Firenze, tra l’8 ed il 12 febbraio, nelle zone di Palermo per effettuare “accessi”, verifiche e sopralluoghi. Ma fare ipotesi di qualsiasi tipo è quantomeno azzardato. Dunque, non resta che attendere.
Nel frattempo Cosa nostra, la ‘Ndrangheta, la Camorra, le Mafie sono più vive che mai e sempre più inserite all’interno di un Sistema Criminale integrato.
Di fronte a tutto questo sul tema mafia e antimafia il Governo tace e dorme (nella peggiore delle ipotesi è in trattativa?). E la cosa più grave è che quel Movimento Cinque Stelle che doveva essere il nemico numero uno della mafia si trova di fatto al governo con quelle forze politiche fondate da uomini della mafia e soggetti che l’hanno costantemente pagata.
Tutto ciò grazie al “buffone di corte”, Beppe Grillo.
I Graviano, i Messina Denaro, i Madonia e gli altri boss Calabresi, possono ben sperare.
Tratto da: Antimafiaduemila
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