Per i giudici scrivere che la società di Berlusconi ha pagato Cosa Nostra, ed è stata in rapporti con la mafia, si può!
Terremoto in casa Berlusconi. “La Fininvest ha finanziato Cosa Nostra”. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, dopo un processo durato sette anni e dopo sentenze d’assoluzione già in primo grado e in appello. La Suprema corte ha rigettato anche il ricorso finale della Fininvest contro il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, il giornalista Ferruccio Pinotti e la loro casa editrice, la Rcs Libri, che – a seguito di alcune ricostruzioni e affermazioni contenute nel loro libro “Colletti Sporchi” (ed. BUR) – vennero accusati di diffamazione. A darne notizia stamane è Il Fatto Quotidiano. Ma, per comprendere l’importanza di quanto affermato dalla Cassazione, è necessario ricostruire la vicenda partendo dall’anno di pubblicazione del volume: il lontano 2008.
Luca Tescaroli: un nome, un bersaglio
Scritto a quattro mani 13 anni fa da Tescaroli e Pinotti, il volume ricostruisce la storia di “finanzieri collusi, giudici corrotti, imprenditori e politici a libro paga dei boss”, come si legge nel lungo sottotitolo riportato in copertina. Le oltre 460 pagine di Brossura, inoltre, tracciano “l’invisibile anello di congiunzione tra Stato e mafia” facendo viaggiare lettori e lettrici “nella borghesia criminale guidati da un magistrato da sempre in prima linea”: il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, appunto. Un magistrato che, tra i molti casi di cui si è occupato, ha rappresentato l’accusa nel processo per la strage di Capaci chiedendo 32 ergastoli (24 ne furono comminati); ha indagato sull’omicidio del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi (trovato impiccato il 18 giugno 1982 a Londra); ed è titolare dell’indagine che si sta svolgendo nella Procura di Firenze riguardante i mandanti esterni delle stragi del 1993: ovvero quelle di Roma, Firenze e Milano.
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Dei tre soggetti coinvolti nella vicenda (il magistrato, il giornalista e la casa editrice), però, il principale obiettivo dell’atto di citazione di Fininvest – notificato agli autori e all’editore a metà 2010 – sembra essere il procuratore Tescaroli: accusato anche di aver voluto screditare il lavoro di alcuni colleghi con il libro “Colletti Sporchi”.
Rispettivamente difesi dagli avvocati Fabio Repici e Caterina Malavenda, Luca Tescaroli e Ferruccio Pinotti vennero tacciati di “spregiudicata tecnica narrativa”, e accusati di “lanciare diffamatorie accuse contro la Fininvest (e non solo), tratteggiata come una società appartenente al sistema di collusione istituzionale e finanziaria” che “le consentirebbe di svincolarsi abilmente dalle inchieste giudiziarie”. Dal libro, sempre secondo la società, sarebbe emerso anche un “coinvolgimento della Fininvest per fatti di riciclaggio nel processo contro gli esecutori materiali delle stragi di Capaci e via d’Amelio”.
Per i legali Francesco Vassalli e Fabio Roscioli – firmatari dell’atto di citazione -, gli autori del libro vollero infangare la Fininvest. Come? Utilizzando, ad esempio, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi – reo confesso della strage di Capaci -, il quale nel processo sulle stragi di Capaci e via D’Amelio rivelò: “Riina si era attivato, dagli anni 1990-91, per coltivare direttamente (…) i rapporti con i vertici della Fininvest tramite Craxi”. E ancora: “Appartenenti al Gruppo Fininvest versavano periodicamente 200 milioni di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra”. E infine: “Riina, nel 1991, aveva riferito (a Cancemi, ndr) che Berlusconi e (…) Marcello Dell’Utri erano interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo e che lui stesso (Riina, ndr) si sarebbe occupato dell’affare, avendo i due personaggi ‘nelle mani’”. Affermazioni che Vassali e Roscioli considerarono “inattendibili” e “prive di riscontro”.
Ma, come si evince dalla sentenza di Palermo che ha condannato Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, le affermazioni di Cancemi a proposito delle “dazioni di danaro dalla Fininvest a ‘Cosa Nostra’” sono suffragate da “elementi di prova granitici ed incontrovertibili” la cui quantità ed eterogeneità “impediscono che si possa adombrare il sospetto che la mole di notizie acquisite agli atti possa avere avuto come unico punto di riferimento proprio le dichiarazioni di Cancemi”.
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“Colletti Sporchi”: Nessuna diffamazione. “Fatti esposti in modo veritiero e senza travisamenti”
Partiamo da alcuni presupposti. Che gli autori del libro “Colletti Sporchi” non avessero diffamato il gruppo Fininvest, in realtà, lo aveva già stabilito la quarta sezione civile della Corte d’Appello di Venezia (presieduta da Giovanni Callegarin) la quale, con la sentenza depositata il 7 settembre 2018, rigettò il ricorso della società, riconoscendo il “sostanziale rispetto dei parametri di verità, continenza e pertinenza. In particolare, l’esposizione, basata su riscontri ed emergenze processuali obiettivamente riscontrabili, non può ritenersi connotata da illazioni o accostamenti di carattere suggestivo, travalicanti l’esercizio del diritto di critica”.
La Fininvest, inoltre, aveva perso già in primo grado. Stesso pronunciamento, infatti, era stato quello del tribunale di Verona che ancor prima – il 26 settembre 2014 (a 6 anni dalla pubblicazione del volume) -, aveva respinto la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti degli autori e della casa editrice BUR stabilendo che: “I fatti indicati […] come diffamatori erano stati esposti nel libro in modo veritiero e senza travisamenti e che le opinioni espresse dagli autori costituivano legittima espressione del diritto di critica”.
Inoltre, quanto stabilito dalla Cassazione parla chiaro e sgombera il campo dalle opinioni. La Corte di Piazza Cavour ha, infatti, effettuato la “verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie”, nonché “della congruità e logicità della motivazione”. Al termine di questo esame, ha respinto il ricorso della Fininvest e l’ha condannata a pagare le spese.
Arrivati a questo punto, incuriosisce sapere l’idea che si è fatto il cavaliere Silvio Berlusconi assieme a quel bibliofilo di Marcello Dell’Utri, suo braccio destro e amico fedele. Il quale, dopo la sua assoluzione al processo Trattativa Stato-mafia presso la Corte d’Assise d’Appello di Palermo (attendiamo ancora le motivazioni della sentenza), disse – giustamente – che le sentenze vanno rispettate sempre. Bene. Anche questa va rispettata.
Scrivere, dunque, che la società di Berlusconi ha pagato Cosa Nostra ed è stata in rapporti con la mafia si può.
Ecco i “Colletti Sporchi”.
Foto © Imagoeconomica
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