La rivelazione in aula nel processo d’appello ‘Ndrangheta stragista
Di Aaron Pettinari
“Esiste un nastro registrato in una casa dove si nascondeva un latitante nelle colline sopra Archi. E’ un incontro fra Berlusconi, persone dei servizi segreti, uomini di ‘Ndrangheta”. “In questa cassetta c’è Berlusconi che ordinava alla ‘Ndrangheta tutto quello che dovevano fare, anche eliminare delle persone. C’è la sua voce, quelle dei servizi segreti, altre persone importanti, c’era Pasquale Condello“. A parlare dell’esistenza di un’audiocassetta è l’ex pentito Antonio Parisi, uomo di ‘Ndrangheta inserito all’interno del clan dei calabresi di Coco Trovato a Milano, questa mattina sentito nel processo d’Appello ‘Ndrangheta stragista che vede imputati (condannati all’ergastolo in primo grado per gli attentati ai carabinieri) il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e il mammasantissima calabrese Rocco Santo Filippone.
Una deposizione inizialmente non semplice a causa dei numerosissimi “non ricordo” forniti dal teste, specie a diverse domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Una difficoltà dovuta in parte ad una malattia che lo ha colpito nell’anno 2019, ma anche al timore di possibili ritorsioni personali.
Più volte, infatti, durante la deposizione ha ricordato alla Corte di “abitare a poca distanza da dove vivono i Coco Trovato” e di avere “otto figli”. Ed alla domanda secca, se si sentisse intimorito ancora oggi ha risposto di Sì. Del resto non potrebbe essere altrimenti dopo aver subito, in passato, il rapimento della moglie e della figlia di pochi mesi, ed altre intimidazioni.
Più incontri con B.
Di quei nastri, ha detto Parisi, gli parlò in carcere Vittorio Ierinò, pluripregiudicato ed ex pentito della Locride. “Mi disse che c’erano due copie – ha proseguito rispondendo alle domande del Presidente della Corte d’Assise d’Appello Bruno Muscolo –, ma non so dove sono. In quella cassetta ci dovrebbe anche essere un’altra riunione fatta a Roma nella casa di Berlusconi, oltre quella di Archi. E sono andati anche latitanti là. Almeno così mi ha detto Ierinò. Sono parole a me riferite e così le sto dicendo a voi. Ma non mi ha mai detto come faceva ad averle. Poi non ci siamo più rivisti”.
Delle riunioni, in via generica, Parisi aveva parlato anche in degli appunti, consegnati all’autorità giudiziaria proprio dopo quei dialoghi avuti con Ierinò in cella.
E così Lombardo lo aveva anche sentito nel giugno 2013. Allora, però, l’esplicito riferimento a Silvio Berlusconi non venne fatto, mentre aveva riferito che vi sarebbe stato un uomo di Berlusconi: Giuseppe Valentino. Oggi Parisi ha precisato: “Valentino c’era, ma c’era anche Berlusconi. C’era anche una donna dei servizi segreti, che non mi ricordo il nome, ma l’ho scritto. E c’era Pasquale Condello che prendeva l’incarico”.
Alla domanda specifica su quando sarebbe avvenuto l’incontro il teste ha ricordato: “Fu un anno prima che fu ucciso il vice presidente del Consiglio Regionale, Francesco Fortugno (ucciso nell’ottobre 2005). Quindi gli incontri sarebbero avvenuti nel 2004. “Collego il fatto all’episodio di Fortugno perché mi dissero che un anno dopo ci fu questa cosa – ha dichiarato Parisi – Se Condello era il latitante che si nascondeva nella casa di Archi? Non lo so. So che era presente”.
Il finto attentato al Comune
Quanto raccontato da Parisi non è di poco conto. Perché un anno prima il delitto Fortugno Berlusconi arrivò davvero in visita a Reggio Calabria. E qualche giorno dopo ci fu il rinvenimento di esplosivo in uno dei bagni del comune di Reggio Calabria, quando era amministrato dall’ex presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti.
Un episodio, quest’ultimo, su cui da tempo si stanno compiendo accertamenti. Quell’attentato mancato non si verificò in quanto, come venne scoperto durante la rimozione dell’ordigno, il tritolo non poteva esplodere per mancanza dell’innesco.
In presenti interrogatori Parisi disse che “tre o quattro giorni prima che l’onorevole Berlusconi arrivasse a Reggio Calabria, un appartenente al Sismi decideva di simulare un attentato al sindaco di allora Giuseppe Scopelliti“.
Ed è noto che l’esplosivo fu ritrovato grazie a tre dettagliatissime informative firmate dall’ex capo della prima divisione del Sismi, Marco Mancini, che proprio in quel periodo aveva coordinato in Calabria una serie di sequestri di C4 che, si diceva, fossero legati ad Al Qaeda. Le indagini successive hanno poi dimostrato che quell’esplosivo proveniva dalla Laura C, la nave militare affondata davanti alle coste joniche calabresi, che decine e decine di pentiti hanno indicato come fonte di approvvigionamento costante per i clan.
Tra mafia e ‘Ndrangheta c’è Stato
Nel corso della deposizione sono stati diversi gli argomenti affrontati. Anche perché quando fu sentito dal procuratore aggiunto Lombardo, nel 2013, Parisi ha parlato di “fatti seri” che a suo dire dimostravano che fra “Mafia-‘Ndrangheta c’è Stato”. “Io non me la ricordo più questa cosa – ha detto oggi in aula mostrando di avere diversi timori – So di averla detta. Cosa significa? Che lo Stato è d’accordo con la mafia. Sono tutte cose che ho sentito in carcere”. Tra una parola e l’altra, però, i timori sono stati continui (“Lei sa dove abito io. Sa i miei figli, i miei nipoti. Mi capisce dottore?”).
Nel corso della deposizione ha anche confermato il ruolo di Antonio Schettini (che salvo imprevisti sarà sentito nel processo il prossimo 18 maggio) come vice di Coco Trovato, quello dei De Stefano che “sono in Calabria, ma comandano a Milano”; di rapporti tra uomini di ‘Ndrangheta e 007 (nell’appunto consegnato all’autorità giudiziaria faceva riferimento al maresciallo dei carabinieri Francesco Spanò, deceduto qualche tempo fa ed appartenente ai servizi di sicurezza).
Altro elemento di rilievo offerto alla Corte è quello di un numero ristretto di famiglie che in qualche maniera, come ha evidenziato Lombardo, “contavano più di altre”. Oggi Parisi ha fatto fatica a ricordare le cose con esattezza, ma il 3 maggio 2019 disse che “in Calabria ci sono cinque famiglie che sono le famiglie più potenti della Calabria”.
Sul punto vale la pena di ricordare le parole dette in primo grado dal pentito catanese Giuseppe Di Giacomo che fece un chiaro riferimento ad un “livello supremo” della ‘Ndrangheta
che sarebbe stato composto dai capi crimine: Pino “Facciazza” Piromalli, Luigi Mancuso, Franco Coco Trovato, Pasquale Condello “il Supremo”, Giuseppe De Stefano. A questi nomi si aggiunsero anche Nino Pesce (di Rosarno) e Peppe Morabito.
E’ quello il piano alto che, secondo la ricostruzione dell’accusa, decise la partecipazione della ‘Ndrangheta nelle stragi.
Tratto da: Antimafiaduemila
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