Di Giorgio Bongiovanni
Nessuna vergogna, nessun pentimento, nessun ravvedimento. Autostrade per l’Italia (Aspi), la società gestita dalla holding Atlantia, per il 30% (ovvero la fetta più grande) controllata dalla famiglia Benetton, è passata all’attacco. Con una lettera formale, spedita a Palazzo Chigi e ai ministeri dei Trasporti e dell’Economia, ha chiesto di modificare o cancellare l’articolo 33 del decreto Milleproroghe, in cui si stabilisce che in casi eccezionali si possa procedere con il trasferimento immediato del controllo delle strade e della rete all’Anas.
Se quel provvedimento non sarà modificato ha già annunciato di esser pronta ad avviare la risoluzione del contratto e chiedere il risarcimento del 100% del valore della concessione, ovvero 23 miliardi di euro. Se non è un ricatto poco ci manca. E pensare che pochi giorni fa proprio la Corte dei Conti ha stilato una relazione, pubblicata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, in cui si evidenzia come le concessioni siano troppo sbilanciate in favore dei privati. Vi sono commenti sul piano tecnico di gestione societaria e si evidenziano le numerose carenze nella gestione delle autostrade con criticità rilevate in merito alle tariffe (le più alte d’Europa), non regolate da un’autorità indipendente secondo criteri di orientamento al costo; sul capitale, non remunerato con criteri trasparenti e di mercato; sull’accertamento periodico dell’allineamento delle tariffe ai costi; sui controlli degli investimenti attraverso la verifica delle capacità realizzative e manutentive.
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Nonostante i giudizi dei giudici; nonostante l’inchiesta della Procura di Genova sulla sicurezza strutturale di sei viadotti, nata da quella sul crollo del Ponte Morandi, i Benetton arrogantemente si definiscono “vittime” e pilatescamente si lavano le mani su quanto avvenuto. L’unica responsabilità che gli imprenditori veneti si sono assunti è quella di aver “contribuito ad avallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo” mentre i viadotti che crollano e le decine di morti sono colpa solo di “qualche mela marcia”. Eppure le inchieste dimostrano responsabilità definite con “falsi report sulle condizioni dei viadotti anche dopo il crollo a Genova”. Documenti realizzati sulla pelle di 43 morti, sulla sofferenza delle loro famiglie, a cui vanno aggiunti anche quelle di Avellino, nel 2013, in cui a morire furono 40 persone.
Quando si gestisce una società come autostrade, da cui dipende la sicurezza di milioni di persone, non è accettabile che il “padrone” non sappia nulla di quel che accade nell’azienda. Quando avvenne il crollo a Genova Luciano Benetton, in un’intervista a La Repubblica, definì il fatto come una “disgrazia imprevedibile e inevitabile” e giurò sulla “buonafede” Giovanni Castellucci, il manager di Autostrade. Poi Castellucci divenne “mela marcia”, fu cacciato, ma prima garantì per 18 anni ingenti profitti. Non è la prima volta che i Benetton, in nome del denaro, sarebbero disposti a passar sopra alle vite della gente. Un esempio è la vergognosa ingiustizia che questa famiglia sta continuando a imporre al popolo Mapuche in Argentina, sottraendogli le terre in cui da millenni i nativi vivono. Terre che negli anni ’90, la famiglia Benetton acquisì, grazie all’allora presidente Carlos Menem ad un prezzo irrisorio, confinando i Mapuche in zone marginali e improduttive, o costringendoli alla migrazione nei centri urbani. Nel 2007 però il popolo nativo della Patagonia decise di recuperare il suo territorio ancestrale, e per anni ha dovuto affrontare continui e violenti tentativi di sgombero, nonostante più tardi, nel 2014, l’Istituto Nazionale degli Affari Indigeni (INAI) riconobbe il diritto dei Mapuche sul territorio.
Dei veri e propri atti criminali che si consumano da un lato all’altro dell’Oceano Atlantico. E a rimetterci la vita sono gli innocenti. I Benetton ad oggi non sono mai stati scalfiti da indagini per mafia o affini, ma tanto in Argentina quanto in Italia vi sono morti che parlano. Per riscattarsi gli imprenditori veneti in primo luogo dovrebbero risarcire le famiglie delle vittime, restituire la concessione gratuitamente e spendere miliardi di euro per risistemare le infrastrutture, con tante scuse allo Stato italiano per quanto avvenuto. Anziché cercare giustificazioni, pur di non pagare dazio, dovrebbero fare “mea culpa” davanti a Dio, se credenti; davanti alla magistratura, se laici. Così, confessando peccati e reati commessi, possono sperare nel perdono e nelle attenuanti generiche. Più volte abbiamo scritto che a nostro parere si dovrebbe indagare anche sulle responsabilità dei vertici dei Benetton. Abbiamo anche espresso la nostra opinione che, visti i fatti, ed il ripetersi di certi episodi, i Benetton andrebbero arrestati. La magistratura farà il suo corso e non resta che attendere confidando nella serietà dei giudici. Forse un giorno sarà così e sconteranno la loro giusta pena. Nel frattempo, ai Benetton, auguriamo buona sorte.
Di Giorgio Bongiovanni
Fonte: Antimafiaduemila
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