Mentre sembra essersi trovata una soluzione, almeno temporaneamente, alla crisi del Credit Suisse, le banche americane continuano a essere scosse da onde sismiche, alimentando il nervosismo globale. Dopo il fallimento della Silicon Valley Bank il pronto intervento del governo sembrava aver evitato il peggio.
Tutto a posto, avevano assicurato, come se quanto avvenuto fosse un fatto isolato, con causali accidentali aggravate dalla miopia delle autorità di vigilanza, da una gestione improvvida della dirigenza dell’Istituto e dallo sciacallaggio di Jp Morgan, che, alle prime avvisaglie della crisi, aveva allargato il buco della banca regionale invitando i suoi correntisti a passare a essa.
Bolla o singola scossa
Quest’ultima dinamica è stata descritta da un articolo di Bloomberg, interessante anche per quanto scriveremo successivamente. Ma prima occorre notare che la crisi non era affatto isolata come volevano far credere. Lo indicava, peraltro, la parallela chiusura da parte delle autorità della Signature Bank di New York, fallimento gestito anch’esso nel riserbo e senza eccessive scosse, dal momento che le autorità in questione avevano provveduto ad assicurare ai clienti un servizio alternativo.
Ma la crisi di Credit Suisse ha portato la criticità in Europa e a un livello più alto. Troppo grande per fallire, è stata salvata da un intervento pubblico, ma c’è già chi dice che il suo destino è segnato e dovrà essere inglobata in altri istituti finanziari. Troppo grande anche per essere inglobata tutta intera, dovrà essere prima scissa in bocconi digeribili da banche diverse.
Al di là dell’incerto futuro della banca svizzera, appare più che significativo quanto accaduto nel suo passato prossimo, cioè il niet dei sauditi, ai quali, quando si è palesata la criticità, l’istituto ha chiesto un aiutino. Richiesta respinta al mittente con inusitata ruvidezza, ad evidenziare che Riad sta ormai navigando in altri mari, dichiarando la propria indipendenza, anche finanziaria, dai suoi vecchi padroni occidentali.
Ma le scosse sismiche non sono finite. Standard & Poor’s ha tagliato il rating della First Republic Bank, altra banca americana, dichiarando che i suoi titoli sono ormai “Junk”, cioè spazzatura. Ormai è palese che siamo di fronte a una crisi sistemica. Riprendiamo dalla Cnbc: “Moody’s riduce l’outlook del sistema bancario statunitense a negativo, definendolo ‘un ambiente operativo in rapido deterioramento’”.
Il sistema finanziario è al collasso. Meglio, lo era da tempo, con soldi creati dal nulla mandati in circolo per tenere in vita un sistema che sembra non tenga più.
Può essere che la bolla sia scoppiata in faccia agli apprendisti stregoni che hanno tenuto in piedi il sistema con le loro magie o può essere che il collasso attuale sia pilotato dagli stessi, nell’idea che sia ormai inevitabile, e per loro profittevole, una ristrutturazione del sistema finanziario d’Occidente.
Ristrutturazioni e nuove concentrazioni
Oppure ci troviamo di fronte a un mix tra le due possibilità, cioè che la bolla sia scoppiata senza che nessuno abbia lavorato di ago, ma che, come per ogni crisi, gli squali della finanza vogliano approfittarne per dare una nuova forma, più verticista, al sistema.
Che ci sia un’ipotesi di ristrutturazione in atto lo denota l’articolo di Bloomberg succitato che, dopo aver denunciato lo sciacallaggio di Jp Morgan, che ha innescato o quantomeno accelerato il fallimento della Silicon Valley Bank, spiega che occorre riformare il sistema bancario eliminando dal tavolo le banche piccole, per lo più regionali, e concentrando tutto nelle mani di pochi Istituti (lo sciacallaggio di Jp Morgan è in tal modo benedetto).
Infatti, in Cina gli Istituti finanziari sono subordinati alla Politica, negli States si tratterebbe invece di subordinare definitivamente la Politica alla Tecnofinanza, dal momento che chi controllerà i dieci – quindici mega Istituti di credito risultanti dall’eventuale riforma, controllerà in via definitiva la Politica, ponendo fine alla sua residuale indipendenza.
Al di là delle possibilità future, è un dato di fatto che a tremare siano gli Istituti finanziari di dimensioni ridotte. Così titolava il Nyt del 13 marzo: “Banche regionali colpite dal timore di una crisi finanziaria più ampia”.
Il termine Tecno-finanza, usato altre volte nelle nostre note in senso più generico, va in questa inteso in un’accezione più precipua, dal momento che un’altra prospettiva di riforma, non necessariamente in contrasto con la centralizzazione di cui sopra (anzi), prevede il passaggio dall’attuale sistema finanziario a un altro nel quale le criptovalute abbiano un ruolo istituzionale o addirittura vadano a sostituirsi alla valuta corrente.
Anche in questo caso si tratta di una banale evoluzione di sistema, che vede l’attuale finanza virtuale perdere l’ultimo, seppur aleatorio, legame con la realtà e diventare qualcosa di totalmente altro da essa, senza ovviamente perdere il suo ruolo di dominus del mondo e restando sempre saldamente nelle mani dei soliti ignoti.
Sul punto è da notare che il 6 marzo, quattro giorni prima del crollo della Silicon Valley Bank, la Federal Reserve, come riporta Cointelegraph, ha istituito un team di esperti ‘per seguire gli sviluppi del settore delle criptovalute’“.
Fonte: PIccole Note, L’Antidiplomatico