Armi. La denuncia dei portuali genovesi, da anni in prima linea contro il traffico di armamenti nel loro scalo: «Sembra siano carri armati Ercules 882, prodotti negli Stati uniti. Potrebbero essere diretti in Arabia saudita, Kuwait o Marocco. O forse in Turchia: il prossimo scalo previsto è Iskenderun»
L’ultima volta era successo esattamente due mesi fa: il 17 febbraio una nave della flotta saudita Bahri attracca a Genova con a bordo – presumibilmente – armi o equipaggiamento militare. Partito dagli Stati uniti, direzione Medio Oriente.
Perché è questo che fa da anni la Bahri: la spola da una parte all’altra dell’Atlantico, tra il terminal militare statunitense Sunny Point in North Carolina e Gedda.
Venerdì è successo di nuovo: ad attraccare al porto di Genova, denuncia il Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp), è stata la Bahri Abha. A bordo carri armati, come dimostrano le foto scattate dai portuali.
Come ogni volta che una rappresentante della flotta saudita Bahri si è fermata nel loro scalo, denunciano il traffico di armi: in una nota su Facebook il Calp sottolinea come, in tempo di Covid-19, «molte categorie sono costrette a rischiare il contagio per non fermare la produzione e distribuzione di generi di prima necessità» in cui certo non rientrano gli armamenti.
A Genova, come in altri porti italiani, si continua a lavorare, sebbene il traffico sia diminuito e all’orizzonte appaia lo spettro della cassa integrazione. La Abha ha attraccato, è ora ormeggiata al terminal GMT di Ponte Eritrea.
«Sembra che a bordo ci siano carri armati Ercules 882, prodotti negli Stati uniti – spiega al manifesto Richi, membro del Calp – Non sappiamo dove siano diretti, se in Arabia saudita, Kuwait o Marocco. O forse in Turchia: il prossimo scalo previsto è Iskenderun».
Un porto a pochissima distanza dal confine con la Siria: «La nostra preoccupazione è che questi carri armati possano essere usati contro il Rojava, abbiamo tanti compagni là».
«La nave è arrivata ieri (venerdì) un po’ a sorpresa – continua – Sembrava non dovesse fermarsi a Genova. Le foto sono state scattate dai portuali che ci hanno lavorato dentro. Non siamo riusciti a organizzare nulla perché non lo sapevamo, poi in questo periodo c’è più polizia allo scalo».
In questi anni i portuali genovesi hanno scioperato, organizzato presidi, discusso con il prefetto e le autorità portuali per fermare il traffico di armi. In prima linea, insieme a movimenti e associazioni.«Dalla politica nessuna risposta. Ci danno pacche sulle spalle, ci dicono che è una battaglia importante. Ce lo dice anche la Digos. Ma poi non fanno nulla. Noi siamo solidali con gli altri popoli e continueremo a mobilitarci».
Tratto da: Il Manifesto, Chiara Cruciati
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo
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