È atterrato a fine Novembre nella base Usa/Nato di Sigonella in Sicilia, dopo 22 ore di volo dalla base aerea di Palmdale in California, il primo drone del sistema Ags (Alliance Ground Surveillance) della Nato, versione potenziata del drone Usa Global Hawk (Falco Globale). Da Sigonella, principale base operativa, questo e altri quattro aerei dello stesso tipo a pilotaggio remoto, supportati da diverse stazioni terrestri mobili, permetteranno di «sorvegliare», ossia spiare, vaste aree terrestri e marittime dal Mediterraneo all’Africa, dal Medioriente al Mar Nero.
I droni Nato teleguidati da Sigonella, in grado di volare per 16.000 km a 18.000 m di altezza, trasmetteranno alla base i dati raccolti. Questi, dopo essere stati analizzati dagli operatori di oltre 20 postazioni, verranno immessi nella rete criptata che fa capo al Comandante Supremo Alleato in Europa, sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati uniti.
Il sistema Ags, che diverrà operativo nella prima metà del 2020, sarà integrato con l’Hub di Direzione Strategica per il Sud: il centro di intelligence che, nel quartier generale Nato di Lago Patria (Napoli) sotto comando Usa, ha il compito di raccogliere e analizzare informazioni funzionali alle operazioni militari soprattutto in Africa e Medioriente.
Principale base di lancio di tali operazioni, effettuate per la maggior parte segretamente con droni da attacco e forze speciali, è quella di Sigonella, dove sono dislocati droni Usa Reaper armati di missili e bombe a guida laser e satellitare.
I droni da attacco e le forze speciali, mentre sono in azione, sono collegati, attraverso la stazione Muos di Niscemi (Caltanissetta), al sistema di comunicazioni satellitari militari ad altissima frequenza che permette al Pentagono di controllare, attraverso la sua rete di comando e comunicazioni, droni e cacciabombardieri, sottomarini e navi da guerra, veicoli militari e reparti terrestri, mentre sono in movimento in qualsiasi parte del mondo si trovino.
Nello stesso quadro operano i 15 Predator e Reaper e gli altri droni dell’Aeronautica italiana, teleguidati dalla base di Amendola in Puglia. Anche i Reaper italiani possono essere armati di missili e bombe a guida laser per missioni di attacco.
Il sistema Ags, che potenzia il ruolo dell’Italia nella «guerra dei droni», viene realizzato con «significativi contributi» di 15 Alleati: Stati uniti, Italia, Germania, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia. Principale contrattista del sistema è la statunitense Northrop Grumman. L’italiana Leonardo fornisce due stazioni terrestri trasportabili.
Il «contributo» italiano al sistema Ags consiste, oltre che nella messa a disposizione della principale base operativa, nella compartecipazione alle spese inizialmente con oltre 210 milioni di euro. Altri 240 milioni di euro sono stati spesi per l’acquisto dei droni Predator e Reaper. Compresi gli altri già acquistati e quelli di cui si prevede l’acquisto, la spesa italiana per i droni militari sale a circa un miliardo e mezzo di euro, cui si aggiungono i costi operativi. Pagati con denaro pubblico, nel quadro di una spesa militare che sta per passare dalla media attuale di circa 70 milioni di euro al giorno a una di circa 87 milioni di euro al giorno.
I crescenti investimenti italiani nei droni militari comportano conseguenze che vanno al di là di quelle economiche. L’uso dei droni da guerra per operazioni segrete sotto comando Usa/Nato svuota ancor più il parlamento di qualsiasi reale potere decisionale sulla politica militare e di riflesso sulla politica estera. Il recente abbattimento di un Reaper italiano (costato 20 milioni di euro), in volo sulla Libia, conferma che l’Italia è impegnata in operazioni belliche segrete in violazione dell’Art.11 della nostra Costituzione.
Manlio Dinucci