Di Emilia Cardoso
A 18 giorni dall’approvazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge sull’Interruzione Volontaria della Gravidanza (ILE), ieri, pochi minuti dopo le 16:00, è iniziato il dibattito al Senato, che si è concluso alle 4:00 del mattino con la storica approvazione.
Così come il giorno del dibattito alla Camera, la periferia del Congresso e le varie piazze e spazi pubblici di tutto il paese si sono riempiti di manifestanti a favore e contro la legge. Fazzoletti verdi per l’”aborto legale, sicuro e gratuito” e celesti per il “Sì alle due vite”, cristallizzano due slogan differenti che rispecchiano in gran parte la divisione dell’opinione pubblica.
Il progetto, già discusso nel 2018 con esito negativo, è stato ripresentato dal governo in carica, mantenendo la promessa fatta in campagna elettorale. Questo, insieme all’incorporazione del “Plan de los Mil Días” (Piano dei Mille Giorni) il quale prevede alcune garanzie per la tutela della gravidanza e della prima infanzia, ha indubbiamente fatto guadagnare voti e reso più flessibili indecisi e indecise.
Ma tutto ciò è stato possibile grazie alla pressione costante ed instancabile di donne che da anni, nelle strade, dalle istituzioni, invocano la necessità di questa legge.
Una questione di Diritti Umani
Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, tra altri organismi internazionali di Diritti umani, ha stabilito: “Gli Stati membri possono adottare misure volte a regolare le interruzioni volontarie di gravidanza, ma queste misure non devono rappresentare una violazione del diritto alla vita di una persona incinta, né del resto dei suoi diritti. Cioè le restrizioni non devono mettere in pericolo le loro vite, sottometterle ad un dolore o sofferenza fisica o mentale, discriminarle o interferire arbitrariamente nella loro intimità”. E ancora: “gli Stati non devono attuare misure come criminalizzare gravidanze di donne single o applicare sanzioni penali contro donne e bambine che abortiscono o contro gli operatori sanitari che le aiutano a farlo, poiché adottare tali misure obbliga donne, persone e bambine a ricorrere ad aborti pericolosi”.
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L’Argentina clandestina
In Argentina l’aborto era non punibile solo in determinate circostanze, come ad esempio i casi di violenza sessuale o di pericolo di vita della donna. Era così dall’anno 1921. Sebbene in termini stretti, l’atto è esattamente lo stesso, quando si tratta di aborto chiesto dalla donna o persona gestante, con il motivo di non voler portare avanti la gravidanza, la legge lo considerava punibile.
La risposta a questa situazione? La clandestinità. Si stima che ogni anno circa 50.000 donne finiscano in ospedale a causa di aborti clandestini.
La gravidanza non avviene al di fuori dal corpo gestante, e quel corpo non è un contenitore o un’incubatrice, è una persona concreta che soffre le conseguenze psichiche e fisiche di dover ricorrere alla clandestinità o di dover portare avanti una gravidanza in condizioni di violenza. Perché sappiamo che, nel caso in cui non si voglia sotto nessun punto di vista proseguire la gravidanza, si prenderà la decisione di abortire.
Il dibattito di legge in questione è proprio se lo Stato deve proibire o no questa decisione. Approvare una legge che non impone né promuove l’aborto. Una legge che non è una sfida a chi ripudia questa pratica, ma che tutela chi, per diversi motivi, decida di attuarla. Un trattamento umano e professionale con le condizioni e i risultati che solo la legalità può garantire.
Una questione di salute pubblica, “aborto legale, sicuro e gratuito”, perché la disuguaglianza causerebbe nuovamente la clandestinità, avendo come principali vittime le donne di basso reddito, mentre non avrebbero problemi le donne di reddito medio e alto.
Bambine, non madri
Si stima che in Argentina ogni anno 2.350 bambine, tra 10 e 14 anni, abbiano avuto un figlio, la stragrande maggioranza frutto di abusi sessuali, che a loro volta, in una scandalosa maggioranza, avvengono all’interno delle loro case. Costringere una bambina ad affrontare una gravidanza è una violazione totale alla sua integrità psichica e fisica. Con l’approvazione della legge si garantisce l’accompagnamento e la dovuta assistenza dei professionisti sanitari, perché sebbene, come ho detto prima, in caso di violenza l’aborto non è punibile in Argentina dal 1921, nella pratica questo diritto incontra moltissimi ostacoli, che variano da provincia a provincia (in alcuni di più, in altri di meno), ma che lasciano come opzione “più praticabile” la clandestinità, con le conseguenze già note, aggravate quando si tratta di bambine. Ancora risuona nella mia mente la frase della bambina di undici anni violentata a Tucumán: “Voglio che mi tirino fuori quello che quel vecchio mi ha messo dentro”.
Sulla data controversa del dibattito
Dalle voci contrarie alla legge si è sentito dire che il contesto della pandemia e le date prossime alla fine dell’anno non sono opportune per fissare una priorità nell’agenda del paese. Ma la realtà è che il contesto di pandemia aggrava la situazione dell’aborto clandestino, è così, le donne hanno abortito anche in quarantena, perché il problema continua, il dibattito è stato rimandato per anni, perché hanno sempre scuse per guardare dall’altra parte e dire che la priorità è un’altra.
La legge è sull’aborto e sull’educazione sessuale, per prevenire gravidanze non desiderate, abusi e violenza di genere, temi che sono prioritari in un paese che solo nel 2019 ha registrato 327 femminicidi, uno ogni 22 ore.
Con la stessa forza con cui è stata chiesta la legge, si rivendicano i diritti sessuali-riproduttivi. Non dimentichiamo che la legge contempla l’Educazione Sessuale Integrale, giustamente pensata per prevenire gravidanze indesiderate e malattie a trasmissione sessuale, oltre ad una salute affettivo-sessuale e riproduttiva sana, con tutti gli strumenti concettuali che offrono le informazioni aggiornate, frutto di studio ed esperienza professionale, liberi da tradizioni o credo che alimentano l’ignoranza su questi temi, radice di gravi problemi di sanità pubblica.
Come recita la campagna: “Educazione sessuale per decidere, anticoncezionali per non abortire, aborto legale per non morire”.
Un’Argentina che è maturata, e ha superato un po’ (solo un po’) le ipocrisie. Che ha capito che non poteva continuare a dare la stessa risposta di un secolo fa. Che ha capito che lo Stato è laico, che non ci possono essere delle imposizioni di credo o di altro tipo da parte di un settore cittadino ad un altro, che siamo sia donne che persone gestanti – le persone gestanti sono donne). Persone autonome che esigono di essere considerate tali.
Foto di copertina:infocielo.com
Tratto da: Antimafiaduemila