I cinque motivi per cui non possiamo fidarci di Mario Draghi

I cinque motivi per cui non possiamo fidarci di Mario Draghi

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Tempo di lettura: 4 min

Di Mattia Fossati

Incensato dalle elité. Applaudito dalla stampa internazionale. Elogiato come un sol uomo dal centro sinistra e dal centro destra (ma anche da Salvini). È Mario Draghi, l’uomo incaricato di traghettare l’Italia fuori dalla pandemia e di gestire la campagna vaccinale oltre ai 200 miliardi del Recovery Fund. L’irreprensibile burocrate mai sceso in politica ma da quasi un decennio al centro delle principali scelte economiche dell’Unione Europa.
Ci sarebbero quindi buoni motivi per fidarsi di Draghi, persona seria e competente. Eppure vi sono cinque ottime ragioni per guardare con molta attenzione il nuovo premier incaricato non tralasciando il suo passato, la sua visione della società e la variopinta claque che continua a spellarsi le mani ad ogni suo battere di ciglia.

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1 – La stagione delle privatizzazioni
Nel 1983 venne scelto come consigliere di Giovanni Goria, rampante ministro del Tesoro del primo governo presieduto da Bettino Craxi. Uno degli esecutivi che hanno portato all’esplosione del rapporto deficit/pil. Nell’anno in cui Draghi lavorò al fianco di Goria, questo indice passò dal 68,38% al 74,40%. Sarebbe una follia attribuirgli la colpa di ciò però è opportuno segnalare che dopo quel folgorante tirocinio, Draghi è stato addirittura promosso a Direttore Generale del Ministero del Tesoro nel 1991 e riconfermato da ben otto governi di opposti schieramenti politici, come Berlusconi, Prodi, D’Alema e dagli esecutivi tecnici Amato, Ciampi e Dini. Un ampio appoggio che gli ha permesso di dare il via alla stagione delle privatizzazioni, cioè alla vendita delle aziende di Stato. Alcune delle quali – dato che erano dei carrozzoni pieni di debiti (vedi la SME) – meritavano di essere scaricate ai privati, la vendita invece di altre società (come Autostrade, Ilva, Telecom) hanno generato più danni che benefici e dopo vent’anni ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

2 – Il passaggio a Goldman Sachs
Nel 2002 lascia il ministero e passa a Goldman Sachs, una delle più forti banche d’affari del pianeta sospettata di chiamare a sé personaggi che hanno ricoperto ruoli di spicco all’interno di varie istituzioni pubbliche dei Paesi del mondo. Nulla di illecito, sia chiaro. Ogni azienda cerca sempre di assumere i migliori nel proprio campo. Il problema sta nel rapporto pregresso che Goldman Sachs aveva con le figure a cui poi ha offerto un lavoro. E questo è anche il caso di Draghi. Difatti durante la vendita delle società statali italiane o nella fissazione dell’offerta pubblica, Goldman Sachs ha ricoperto il ruolo di Advisor, cioè di consulente per conto del Governo.

In questo modo, questa banca d’affari ha potuto aiutare determinate aziende ad acquisire a prezzi ribassati nuove società, aumentando così il valore di mercato delle stesse. In seguito, la Goldman Sachs incentivava i propri clienti ad investire in queste aziende incassando così laute percentuali su ogni compravendita dei titoli. Come per esempio accadde con il Gruppo British America Tobacco, il quale nel 2002 mise le zampe – grazie anche al parere positivo della Goldman Sachs – sull’Ente tabacchi italiani diventando così la seconda quota più larga nel mercato italiano del tabacco. Qualche mese prima, Draghi era stato chiamato a lavorare in una banca che grazie alle privatizzazioni stava facendo affari d’oro. Nulla di illecito, ripetiamo, forse però un po’ inopportuno.

3 – La gestione della crisi dei debiti sovrani
Tra il 2010 e il 2011 scoppia la crisi dei debiti sovrani. Gli speculatori iniziavano a scommettere sulla tenuta del debito pubblico dei cosiddetti Paesi Pigs, in particolare sull’Italia e sulla Grecia. Ed è proprio sul tavolo del Presidente del Consiglio, all’epoca Silvio Berlusconi, che venne recapitata una lettera firmata da Trichet e Draghi, rispettivamente l’ex e il futuro Presidente della Banca centrale europea (Bce). In questa missiva veniva chiesto all’Italia di effettuare “la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali (…) attraverso privatizzazioni su larga scala” e di “riformare il sistema di contrattazione salariale (…) in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende (…) rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”. Tradotto: delegare ai privati la gestione del servizio pubblico e limitare il ruolo dei sindacati. Una scelta sposata in pieno dai governi che si sono succeduti (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). Personaggi che ora – coerentemente – gli lucidano le scarpe al suo passaggio. Per non citare il caso greco che esplose in un vero e proprio braccio di ferro tra il governo di Atene e la Bce di Draghi, la quale ad un certo punto smise di erogare credito nei confronti della Banca centrale greca producendo quasi il collasso del sistema bancario ellenico.

4 – L’incognita sugli alleati ed il programma
Un altra grande incognita riguarda il programma. Quali sono le ricette che propone Mario Draghi? Austerità e rigore come hanno chiesto nel corso degli anni i suoi amici in Europa all’Italia? Tutto dipenderà dalle forze politiche che sosterranno il suo governo, Draghi però ha fatto appello a tutti i partiti presenti in Parlamento senza veti. Quindi per il premier incaricato sembra quasi indifferente governare con i 5 stelle oppure con Forza Italia. Dall’altro canto scegliere in anticipo i propri compagni di viaggio permetterebbe di delineare un chiaro programma di governo.
Qual è la visione di Draghi sul Recovery Plan? Dobbiamo prendere tutti i 209 miliardi oppure, come ha dichiarato Salvini, dobbiamo rifiutare la quota di fondi europei a debito? Qual è la posizione sul reddito di cittadinanza? Ne aumentiamo le risorse, come propongono i 5 Stelle, oppure lo aboliamo come tentò di fare Forza Italia con una raccolta firme? Sulla giustizia dobbiamo accartocciare la riforma Bonafede sulla prescrizione, come chiede a gran voce la quasi totalità dei partiti, oppure dobbiamo approvarla senza tante storie. I giornali ipotizzano che come prossimo Ministro della Giustizia potrebbe essere nominata Marta Cartabia, ex Presidente della Corte Costituzionale, la quale ha espresso un giudizio criptico sia sulla prescrizione che sulla gestione della pandemia affermando che “non esiste un diritto speciale per i tempi eccezionali”.

5 – I compagni di merende
Piace a Renzi, Salvini, Berlusconi, alla sinistra in barca a vela e alle cancellerie europee. Forse questo più di tutto il resto ci può far capire chi sia Mario Draghi e perché non possiamo fidarci di lui.

Tratto da: Antimafiaduemila

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