Rinviata a lunedì l’udienza sul ricorso della Regione Lombardia sulla zona rossa. Nel ricorso di 23 pagine depositato martedì al Tar del Lazio, la Regione Lombardia chiede di annullare, «anche nelle forme del decreto presidenziale», tre provvedimenti: l’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza del 16 gennaio che applica al territorio le restrizioni da zona rossa, il Dpcm del 14 gennaio nella parte in cui definisce i criteri per la classificazione e il decreto ministeriale del 30 aprile 2020 sui criteri dell’attività di monitoraggio.
Un ricorso che potrebbe fare scuola se accettato, perché sotto accusa ci sono gli stessi fattori, e la rilevanza data a ognuno di essi, che portano alla classificazione cromatica di tutte le Regioni d’Italia.
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Nel testo depositato, la Regione chiede «una valutazione cautelare immediata» e «l’abbreviazione dei termini processuali nella misura massima possibile» visto «il regime temporale del provvedimento impugnato». Ieri, intanto, è arrivato lo stop categorico del ministro Speranza alla possibilità di un’intesa tra Regione e governo per ridurre a una sola settimana la durata della fascia più restrittiva.
La Lombardia rimarrà dunque in rosso fino al 31 gennaio, a meno che il Tar non accolga il ricorso. E qui temi e parole sono importanti: le nuove misure disposte sono «illegittime» e «costituiscono un vulnus gravissimo (ed ingiustificato) al tessuto economico, sociale e produttivo della Regione — si legge —: la classificazione in zona rossa preclude infatti, come noto, lo svolgimento di una vastissima platea di attività economiche ritenute non essenziali, oltre a limitare ulteriormente la possibilità di movimento dei cittadini e la fruizione del servizio scolastico».
La richiesta è quindi quella di «una tempestiva e rinnovata valutazione dei dati epidemiologici» a fronte dei criteri utilizzati e della scala d’importanza in cui questi sono tenuti in considerazione: «Incredibilmente — si legge nel merito — il dato dell’incidenza settimanale (nuovi contagi ogni 100mila abitanti) non assume alcun rilievo, o comunque, assume un rilievo del tutto recessivo rispetto all’indice di trasmissibilità Rt». Criterio che, invece, vede la Lombardia, con 133 casi, al di sotto della media italiana e lontanissima da Regioni come il Veneto (365,6) e per cui «ha mostrato preoccupazione» la stessa «cabina di regia». Eppure «sulla classificazione ha influito in modo pressoché esclusivo il dato dell’Rt».
Dunque, il verdetto: «Il Dpcm del 14 gennaio, dando peso prevalente all’Rt, non riesce ad intercettare le situazioni di reale rischio per la tenuta del sistema sanitario», con la Lombardia trovatasi «a sospendere pressoché tutte le attività di commercio al dettaglio e di servizi alla persona e ad inibire totalmente lo spostamento dei cittadini lombardi» in presenza «di un quadro epidemiologico finanche meno grave di quello delle Regioni limitrofe, come Emilia-Romagna e Veneto».
Sostegno al ricorso è stato espresso da Coldiretti Lombardia, che ricorda come «la zona rossa costerà in un mese 250 milioni di euro per la filiera agroalimentare».
Tratto da: Milano.corriere
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